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Ecco a cosa serve il documento della Cina per l’Afghanistan

Un documento di posizionamento redatto da Pechino spiega come la Cina guardi a dossier regionali come quello afghano con intento strategico più ampio. C’è un piano di narrazione generale, un interessamento di carattere economico-commerciale e un’attenzione legata al contesto securitario

La Repubblica popolare cinese ha appena pubblicato un documento di posizionamento sull’Afghanistan: un testo fatto di principi e condizioni generali del tutto simile a quello uscito tempo fa sull’Ucraina, che arriva in netta controtendenza rispetto alla mosse delle Nazioni Unite. Mentre infatti il Palazzo di Vetro decide di rivedere al ribasso le attività di collaborazione con Kabul, come rappresaglia per la fatwa talebana che impedisce alle donne di lavorare con le agenzie onusiane, lo Zhongnanhai decide di delineare gli intenti di collaborazione.

Narrazioni e interessi

Quanto accade è rilevante perché la Cina è membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma sembra ignorare le linee prese dall’istituzione. Ma di più: andando in controtendenza con esse dimostra quasi di non esserne interessata, seguendo la volontà di creare un sistema alternativo della governance dell’ordine globale rispetto a istituzioni multilaterali che percepisce come eccessivamente inquinate dal controllo occidentale. È qui che il documento afgano assume maggiore rilevanza, perché si pone all’interno della strategia generale con cui il leader Xi Jinping vuole spingere le proprie iniziative globali, marcando differenze e distanza dalle mosse degli Stati Uniti e in parte dell’Unione europea. Paesi che, nello specifico dell’Afghanistan, due anni fa abbandonarono Kabul quasi fuggendo dalla riconquista del potere da parte dei Talebani — che invece Pechino, con pragmatismo, eleva a interlocutori.

Non è un caso chiaramente che la pubblicazione del documento di posizionamento coincida con il viaggio del ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, in Uzbekistan. Qin è stato a Samarcanda, dove la scorsa estate Xi aveva riunito i leader della Shanghai Cooperation Organization — sistema multilaterale eurasiatico che per Pechino è un utile sostituto delle attività onusiane quando si trattano gli affari regionali. Lì il numero due della diplomazia cinese incontrerà i colleghi della Neighbouring Countries of Afghanistan, altra organizzazione mini-laterali che si occupa del dialogo nella regione e con Kabul.

Sicurezza e mercato

L’interesse cinese viaggia su altri due livelli oltre a quello della narrazione strategica finora affrontato. Pechino vuole aumentare la sua presenza economico-commerciale in Asia Centrale. Lo fa a discapito della Russia, approfittando della debolezza mostrata da Mosca con l’invasione ucraina: Xi, nel vertice dello Sco di agosto 2022 aveva rassicurato i Paesi della regione sul diritto alle proprie sovranità, ed era un messaggio chiaramente indirizzato ai timori che quelle repubbliche post-sovietiche hanno provato vedendo cosa stava succedendo a Kiev. Inoltre, in quel contesto per anni in cima all’agenda politica statunitense, la Cina è chiamata a cercare equilibri securitari.

L’uscita Usa e Nato dall’Afghanistan ha infatti scoperto il fianco occidentale del limes cinese ai rischi connessi a dinamiche riconducibili al terrorismo di matrice jihadista. Chi garantisce che i gruppi estremisti dello Xinjiang, come il Movimento islamico del Turkestan orientale (Etim), non trovino coordinamento con lo Stato islamico del Khorasan o con il macro-cosmo qaedista sfruttando l’Afghanistan come centro logistico e indottrinamento? Ci sono precedenti, per altro. E allora, per essere più brutali: come evitare che dinamiche come quelle del 9/11 — quando il precedente regime teocratico talebano fece da centro di protezione per gli attentatori di al Qaeda — si ripetano a Shanghai, Shenzen o Guangzhou?

Tre paragrafi del documento sono dedicati al tema sicurezza: in sostanza i cinesi chiedono ai Talebani di prendere “maggiori misure effettive” per combattere le forze terroristiche – gli indipendentisti di Etim su tutte – che si trovano in Afghanistan con “maggiore determinazione”. Qin ha avuto rassicurazioni dirette dall’omologo del governo talebano, Amir Khan Muttaqi, ma è chiaro che non bastino. Per questo Pechino si propone di essere aggregatore tra la Comunità internazionale per aumentare il supporto all’emirato talebano affinché il Paese non torni a essere “un paradiso” del terrorismo. Un passaggio che sottolinea come la Cina sfrutti certi dossier di proprio interesse per darsi un ruolo di leadership regionale e internazionale. Su questo, la Cina rivendica un posto in prima fila anche riguardo alla lotta alla coltivazione, produzione e traffico di prodotti oppiacei per stupefacenti – business storico afghano.

Aiuto umanitario contro la democrazia forzata

Il paper di posizionamento afghano assume dunque un triplice livello strategico: generale, economico-commerciale, securitario. I tre piani sono sovrapposti e in continuità. È il testo cinese stesso a essere piuttosto chiaro descrivendo tre punti di “rispetto” e tre di “negazione”. Rispetto su indipendenza, sovranità e integrità territoriale; sulle scelte indipendenti fatte dagli afghani (anche se tanto indipendenti non sono state, ndr); sulle credenze religiose e usanze nazionali. Al che la Cina si impegna a non cercare mai interferenze negli affari interni di Kabul, “interessi egoistici” in Afganistan, a non voler creare una “sfera di influenza”. Il wording del testo racconta come sia stato creato abbinando la comunicazione politica alla narrazione contro l’Occidente.

La Cina pensa a una “governance prudente e controllata” per l’Afghanistan, e propone commercio, investimenti e assistenza finanziaria; aiuti al comparto medico-sanitario e a quello agricolo; piani per la mitigazione della povertà e per la prevenzione dei disastri naturali. Inoltre Pechino pensa a forme di cooperazione tra Kabul e i Brics – di cui ormai i cinesi si sentono gestori – e con il gruppo di contatto della Sco. Infine, per ulteriore chiarimento sugli intenti, c’è un passaggio in cui vengono criticati gli Stati Uniti come la principale causa esterna che ostacola un sostanziale miglioramento della situazione umanitaria nel Paese – attraverso quelle che vengono definite “sanzioni unilaterali” e il congelamento degli asset internazionali. Qui Pechino critica anche i tentativi di imporre una “trasformazione democratica” attraverso “forze esterne”.

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