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Democrazia, libertà, spazio pubblico. Lo sguardo di Pandora Rivista

La ricostruzione dello spazio pubblico mediante la partecipazione. I sistemi democratici e le loro dinamiche che si oppongono alle autocrazie. Il concetto e la declinazione della libertà. Damilano, Amato, Ferrarese e Funiciello sugli ultimi numeri di Pandora Rivista

Democrazia. Libertà. Ma soprattutto l’esigenza di ricostruire “uno spazio pubblico” in un’epoca di disintermediazione e scarsissima partecipazione. Gli ultimi due numeri di Pandora Rivista hanno affrontato questi due temi, sviscerati in un incontro pubblico qualche giorno fa con ospiti di primissimo piano, nel solco di un impegno che Pandora si è data: “Costruire una comunità di pensiero”. Questo è l’intendimento esplicitato dal direttore Giacomo Bottos nell’introduzione all’incontro organizzato a palazzo Mattei di Paganica nell’istituto dell’Enciclopedia italiana.

La declinazione del progetto editoriale, di Pandora, è quella di “farsi carico dei problemi e della circolazione della conoscenza, sviluppando una riflessione sullo spazio pubblico in cui si inserisce”. Di qui l’idea di mettere a confronto “tanti mondi e cercare di dare un piccolo contributo al dibattito”.

I contributi di altissima qualità non mancano certo negli ultimi due numeri del periodico, a partire dalle riflessioni del filosofo Salvatore Veca, il cui pensiero riecheggia anche nei contributi degli altri ospiti. A partire da quello dell’ex presidente del Consiglio, presidente emerito della Consulta, Giuliano Amato, passando per quello di Marco Damilano giornalista e già direttore de L’Espresso, Antonio Funiciello ex capo di gabinetto di Mario Draghi e identity manager di Eni, e di Maria Rosaria Ferrarese, docente di sociologia del diritto all’Università di Cagliari.

Sul concetto di democrazia, l’ex premier e presidente della Corte Costituzionale, sostiene che la difficoltà nell’assunzione delle decisioni che permea in qualche misura il nostro sistema sia in larga parte figlia della “crisi dei partiti, senza i quali la democrazia non avrebbe potuto funzionare”. Erano luoghi di dibattito e confronto. Anzi, erano “collettori che riconducevano opinioni diverse a un’opinione comune”. “La fine dei partiti – dice Amato – ha fatto cessare un’attitudine a non decidere. Ora, la polarizzazione del dibattito, porta allo scontro aspro che porta spesso a non prendere decisioni”. Questo apparente immobilismo è spesso utilizzato come argomentazione a detrimento dei sistemi liberali al cospetti “modelli efficienti” ma per lo più autoritari. L’esempio più calzante è quello cinese. Ma Amato scocca la freccia dell’A1. “All’esempio di efficienza cinese posso affiancare la ‘mia’ autostrada del Sole, costruita in pochissimo tempo”. A ogni modo il modello democratico va coltivato attraverso il “dialogo e l’interazione”.

Ed è anche per questo che “in una società fratturata” occorrono organizzazioni (politiche) “che usano le procedure partecipative per consentire a tutti di esprimersi”. Lo spazio pubblico, insomma, va “occupato” nella ricerca di “opinioni convergenti”, anche per tentare di eliminare “il confine tra governanti e governati”. Un concetto, quest’ultimo, che si lega strettamente a quello della libertà. Su questo, l’ex premier lancia un monito. Perché “oggi siamo vessati dal rischio che la libertà individuale si estenda ovunque, anche a detrimento degli altri. Questo non è il top del liberalismo, bensì un ritorno alla brutalità dello stato naturale”.

Anche Damilano usa la metafora del “mosaico fratturato” per descrivere lo status dello spazio pubblico in Italia. L’orizzonte temporale parte dal 1993. Dalle dimissioni dell’allora premier Giuliano Amato, “all’indomani del referendum sul maggioritario”. L’anno clou di Tangentopoli, la crisi dei partiti. Lo spazio pubblico è stato “via via abbandonato e riempito da altro rispetto ai partiti”. E se lo spazio pubblico (e sociale) è disabitato deflagra e si trasforma in “spazio di rottura”. La conclusione è che “non si ricostruire il mosaico – osserva Damilano – se non si parte dalla ricostruzione di culture politiche, che sono l’inizio per il rafforzamento di un tessuto democratico che passa dagli strumenti di partecipazione che nel Novecento abbiamo chiamato partiti e di cui, come le uova, non possiamo fare a meno”.

Ferrarese ricorre alla metafora del cantiere. “La democrazia – dice la giurista – è un grande cantiere, in possibile revisione costante per consolidare la sua vocazione ad essere un sistema aperto”. A proposito di spazio pubblico, secondo la docente il sistema democratico rappresenta “un luogo di riconoscimento del dissenso”. Ed è questa la caratteristica peculiare che oppone il nostro assetto istituzionale a quelli autocratici in cui non sono possibili voci dissenzienti. Perciò la cornice in cui va letto questo concetto deve essere per forza di cose internazionale. “L’Occidente da una parte e tutto il resto del mondo dall’altra”. Ossia i luoghi in cui, sostiene Ferrarese, “si cerca di accreditare una versione apocrifa della democrazia”. Pur essendo comunque la democrazia un sistema “esposto” e con “molti elementi di problematicità”. Chiaramente nei contesti democratici e liberali “la voce dell’opposizione è fondamentale”. Così come è fondamentale che la democrazia “dialoghi con altri saperi, come la scienza e il diritto”. D’altra parte, conclude la giurista, “la definizione della democrazia non è sufficiente se non si aggiunge anche una grammatica normativa di cui essa si fa portatrice”.

Per quanto ancora in salute, la democrazia in Italia “negli ultimi vent’anni ha subito una contrazione”, osserva Funiciello. Si è persa quella “straordinaria capacità di rappresentanza, che avevano le associazioni politiche, finalizzata alla prospettiva di governo”. Globalmente, non solo in Italia quindi, la democrazia si è contratta a causa per lo più di “fenomeni interni ai sistemi liberali”, tra cui la “Supersocietà” di cui all’interno di Pandora parla approfonditamente il sociologo Mauro Magatti. Il contesto odierno, per i sistemi occidentali, “è profondamente problematico” anche a causa dello “scandalo della guerra, tornata a esplodere nel cuore dell’Europa”. A livello geopolitico questa situazione mostra che “le chiavi di risoluzione sono ancora da individuare”. Nell’incertezza generale, c’è un punto fermo che Funiciello individua. “Ora più che mai – conclude – è evidente che occorra credere ancor di più nelle soluzioni sovranazionali”.

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