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I chip di Taiwan o la Via della Seta? Come si muoverà il governo Meloni

Bloomberg rivela una visita a Taipei di funzionari del ministero delle Imprese per valutare il rafforzamento della cooperazione sui semiconduttori. In cambio, Roma “potrebbe essere disposta” a non rinnovare il memorandum con Pechino. Ecco cosa racconta questa notizia delle importanti scelte internazionali che attendono l’esecutivo

Funzionari del ministero delle Imprese e del Made in Italy guidato da Adolfo Urso, già presidente del Copasir e figura di spicco di Fratelli d’Italia, sono volati a Taipei per valutare il rafforzamento della cooperazione su produzione ed esportazione di semiconduttori. A rivelarlo è Bloomberg, che evidenzia anche come i funzionari abbiano “lasciato intendere nel corso di colloqui privati” che l’Italia “potrebbe essere disposta” a non rinnovare il memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta “nel tentativo di assicurarsi un aiuto sui semiconduttori”. Sono diversi i potenziali interlocutori, a partire dal colosso Tsmc, che sta lavorando con Robert Bosch e altre due aziende tedesche per l’apertura di una fabbrica di microchip in Germania.

La decisione sul memorandum d’intesa con la Cina verrà presa da Giorgia Meloni, presidente del Consiglio. Che “non ha ancora assunto una posizione definitiva”, evidenzia Bloomberg citando le sue fonti. La stessa testata evidenzia anche che la scelta di Roma “sarà seguita con attenzione a Washington e nelle altre capitali, come un segno della capacità di Meloni di tradurre in fatti la sua convinta retorica pro Stati Uniti”. Per decidere c’è tempo fino a fine anno. Il rinnovo del memorandum quinquennale firmato nel marzo 2019 dal governo Conte (che ha reso l’Italia il primo e ancora unico Paese ad aderire al programma infrastrutturale di Pechino) è automatico a meno che una delle due parti comunichi all’altra la volontà di compiere un passo indietro e lo faccia entro tre mesi dal rinnovo automatico.

Roma e Taipei stanno lavorando per rafforzare le relazioni commerciali, come dimostra l’annuncio di un secondo ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia, a Milano. Ma, come raccontato su Formiche.net, il valore di questi uffici per Taiwan va di là del ruolo nella facilitazione degli scambi commerciali: servono a costruire legami effettivi con altri Paesi permettendo così a Taiwan di irrobustire il proprio standing internazionale.

Al netto dell’interesse che le aziende private taiwanesi possono avere verso il futuro del memorandum d’intesa sulla Via della Seta tra Italia e Cina, la rivelazione di Bloomberg porta con sé un forte messaggio politico. Anche perché arriva pochi giorni dopo che una visita di alcuni esponenti del Gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Taiwan presieduto e promosso da Lucio Malan, capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia, è stata rinviata a data da destinarsi. Una decisione presa all’ultimo minuto, dopo un consulto con la Farnesina sulle tensioni internazionali tra Cina e Taiwan.

Il presidente del Consiglio e i suoi appaiono decisi a non rinnovare il memorandum, anche davanti alla prudenza della Farnesina da dove arrivano suggerimenti a non compiere un passo indietro per evitare una dura reazione di Pechino. Inoltre, Sostengono diversi diplomatici che il memorandum sarebbe di fatto lettera morta visto, come si legge nel documento sottoscritto nel 2019, esso “non costituisce un accordo internazionale da cui possano derivare diritti ed obblighi di diritto internazionale”.

Ma, come detto, gli occhi degli alleati sono puntati sull’Italia, anche alla luce degli impegni di Meloni, che in campagna elettorale aveva definito l’intesa del 2019 un “grosso errore” aggiungendo che “se mi trovassi a dover firmare il rinnovo di quel memorandum domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche”. Parole pronunciate in un’intervista all’agenzia di stampa taiwanese Cna e in linea con altre affermazioni di figure di spicco di Fratelli d’Italia. A fine febbraio Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, ha sottolineato in un’intervista al Messaggero l’importanza di “muoversi di concerto con gli Stati europei e anche con gli Stati Uniti, con i Paesi Nato, perché un’alleanza è un’alleanza, non solo militare”. A dicembre, il ministro Urso, intervistato da Formiche.net, aveva messo in guardia sulle dipendenze dalle autocrazie: “Non possiamo passare da una dipendenza energetica dalla Russia a una tecnologica dalla Cina. Considerazioni geopolitiche si coniugano con interessi strategici industriali”. A novembre Guido Crosetto, ministro della Difesa e da sempre braccio destro di Meloni, aveva spiegato al Foglio che “la nostra posizione non cambierà, per cui un eventuale rinnovo lo vedo improbabile”. Prima delle elezioni di settembre, l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ora senatore di Fratelli d’Italia, aveva dichiarato a Formiche.net: “Non voglio neanche prendere in considerazione che al momento della scadenza non ci sia una revisione approfondita e una stretta consultazione con i partner europei ed atlantici, al fine di riequilibrare i pesi con Pechino”.

Ma in questa fase verso la decisione, il governo Meloni sembra preferire non parlare pubblicamente di Cina. Le ultime parole sono state pronunciate dal presidente del Consiglio a inizio marzo: il tema del memorandum è “ancora oggetto di valutazione”. La scorsa settimana Giorgio Silli, sottosegretario agli Esteri, ha illustrato durante un question time in commissione alla Camera la visione “inclusiva” dell’Italia per l’Indo-Pacifico senza citare la Via della Seta e limitandosi a spiegare che la Cina “rimane un interlocutore imprescindibile”, con cui serve “coltivare il dialogo”.


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