Skip to main content

Radar Tunisia. L’arresto di Ghannouchi e i problemi di Saied visti da Melcangi

Secondo Alessia Melcangi, docente della Sapienza e non-resident senior fellow all’Atlantic Council, se uniamo l’arresto Ghannouchi, dunque l’autoritarismo di Saied, al recente rifiuto di voler continuare le negoziazioni con il Fmi per un prestito fondamentale e vitale per l’economia tunisina, si può intravedere il peggio

C’è un Paese che desta molte preoccupazioni e che sta pericolosamente invertendo un processo di transizione, avviato dallo scoppio delle rivolte del 2011, che fino a ieri rimaneva come esempio di laboratorio di confronto e dialogo: la Tunisia. Lo stato nordafricano sta attraversando una dura crisi economica aggravata da una complessa stagione politico-istituzionale che crea debolezze in termini di sicurezza alimentare ed energetica. E gli effetti della critica situazione tunisina si sentono direttamente sul Mediterraneo e sul Nord Africa, in definitiva sull’Italia.

Il contesto

Colpito pesantemente dalle conseguenze della pandemia sulla geo-economia globale, e dagli stessi prodotti dalla guerra russa in Ucraina, il quadro tunisino è stato aggravato dalle recenti virate in senso autoritario del presidente Kais Saied. Ultimo passaggio in ordine di tempo, l’arresto di Rachel Ghannouchi, 81enne ex presidente del Parlamento (finché è esistito, ossia fino a che Saied non lo ha esautorato da ogni potere sostanziale, arrogando sulla presidenza il controllo totale del Paese). Ghannouchi è il leader storico di Ennahda, formazione islamista inglobata nel processo di transizione democratica tunisino con un iniziale successo. Contro di lui pesa adesso un’accusa (strumentale) molto forte, cospirazione contro la sicurezza dello Stato, per aver pronunciato le seguenti parole durante una riunione del Fronte di Salvezza nazionale che raggruppa le opposizioni all’autoritarismo di Saide: “La rimozione dell’Islam politico è un progetto di guerra civile”.

Secondo Alessia Melcangi, docente della Sapienza e non-resident senior fellow all’Atlantic Council, se uniamo l’arresto Ghannouchi, dunque l’autoritarismo di Saied, al recente rifiuto di voler continuare le negoziazioni con il Fmi per un prestito fondamentale e vitale per l’economia tunisina, si può davvero intravedere il peggio.

Niente di buono in vista

“La Tunisia ha bisogno di importanti riforme economiche strutturali per riprendere i livelli di crescita del Pil precedenti al 2011 e ridurre i livelli di indebitamento del governo.”, spiega Melcangi. “La decisione di rifiutare l’aiuto del Fmi, interpretato come un’interferenza esterna, è di certo contraria agli interessi del Paese, e potrebbe far scivolare la Tunisia sull’orlo del baratro finanziario ed economico e provocherebbe senza dubbio una grave disaffezione del popolo che fino ad ora, almeno in parte, continua a sostenere Saied e le sue iniziative”.

Parte dei tunisini, infatti, continuano ad appoggiare Saied confidando nella sua intenzione di ripulire il sistema partitico tunisino dalla corruzione e dall’inefficienza, percezione condivisa dalla maggioranza del Paese. “Ma l’appoggio popolare non è un assegno in bianco, e se Saied non dovesse trovare in tempi brevi una soluzione alla profonda crisi economica del Paese, la sua leadership potrebbe essere davvero messa in discussione.”, aggiunge la docente.

La stabilità del Paese

L’attuale crisi tunisina va calata anche in un contesto più ampio, poiché l’intera regione del Nord Africa/Sahel sta scivolando rapidamente in uno stato di instabilità. Questo crea un fronte di disequilibrio alle porte dell’Europa che per Paesi come l’Italia si trasforma nel peso diretto delle dinamiche migratorie e a potenziali rischi di carattere securitario generale, nonché quelli sulle interconnessioni economiche e imprenditoriali con la regione oltre che con il Paese.

Melcangi ricorda che l’Italia resta il principale partner imprenditoriale di Tunisi. “Inoltre, la Tunisia ha il potenziale per giocare un ruolo centrale nello spazio geopolitico euromediterraneo e per favorire una cooperazione nordafricana più inclusiva, in primo luogo nel settore energetico. Infatti, la posizione strategica della Tunisia e la sua vicinanza all’Italia e ad alcuni Paesi africani ricchi di energia, come la Libia, l’Algeria e la Nigeria, consentiranno al Paese nordafricano di essere un naturale ‘percorso energetico’ tra questi Paesi”.

Per esempio, a dicembre 2022 l’Unione europea ha offerto un prestito di 307 milioni di euro per la realizzazione del progetto di interconnessione elettrica “El Med” tra le coste tunisine e la Sicilia. Rappresenta un progetto fondamentale per la Tunisia, che potrebbe accrescere il proprio ruolo di fornitore di energia, così come per l’Italia, che punta ad assumere il ruolo di hub energetico tra le due sponde del Bacino del Mediterraneo.

Cosa sta facendo l’Italia?

“L’Italia è attivamente impegnata per sostenere e aiutare la Tunisia a negoziare un piano di salvataggio con il Fondo monetario internazionale, proponendo l’avvio di una prima tranche di finanziamento e una seconda da erogare progressivamente in modo da incoraggiare il Paese nordafricano ad applicare quelle riforme richieste dal Fondo”, ricorda Melcangi. Riforme che però Saied ha per ora rifiutato: perché? “Perché vertono soprattutto sulla riduzione della spesa pubblica, quindi dei sussidi, sistema fondamentale sul quale si basa la maggior parte dei Paesi dell’area quale strumento di contenimento del malcontento popolare”, risponde la docente.

A ciò si aggiunga anche il progetto pilota per formare 4 mila cittadini tunisini direttamente in Tunisia in ambito lavorativo, da portare poi in Italia, annunciato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani in occasione di un incontro con l’omologo tunisino. Perché è importante? “La demografia africana, collocata dentro uno scenario di rapporto forte con l’Europa e dentro uno scenario di governo legale dei flussi migratori, rappresenta un’opportunità per l’Europa per affrontare il problema della recessione demografica, e può diventare un’opportunità anche per i Paesi africani”, risponde Melcangi.

Secondo l’esperta, soprattutto è necessario intervenire per prevenire una dinamica che si sta facendo sempre più evidente, ossia il rischio di un passaggio progressivo di alcuni Paesi dell’area verso l’orbita cinese e russa— queste penetrazioni strategiche sono state affrontate anche in un recente speech tenuto all’Atlantic Council dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore della Difesa. “Per questo la comunità internazionale non può sottovalutare l’importanza strategica della Tunisia nella regione del Mediterraneo e del Nord Africa. Per questo l’Italia deve rafforzare i propri legami con il Paese e con tutto il continente puntando sul Piano Mattei per l’Africa”.

×

Iscriviti alla newsletter