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Perché il futuro della terra è nelle nostre mani

L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che ci ricorda come le emissioni di gas serra nell’ultimo decennio siano state le più alte nella storia dell’uomo. Da questa situazione derivano eventi meteorologici estremi più frequenti e più intensi con impatti sempre più pericolosi su persone e cose. Nel frattempo, in Italia nel gennaio scorso è stato presentato il il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici

“Investi nel nostro Pianeta”: è questo il messaggio della Giornata Mondiale della Terra 2023 che il 22 aprile di ogni anno, a partire dal 1970, coinvolge gli abitanti di tutto il pianeta per chiedere maggiore attenzione da parte di governi, istituzioni, imprese e cittadini alle problematiche ambientali. “E’ giunto il momento di investire nel nostro Pianeta – ha dichiarato Kathleen Rogers, presidente mondiale di Earth Day Network – Le imprese, i governi e la società civile hanno la stessa responsabilità di agire contro la crisi climatica e accendere la scintilla per accelerare il cambiamento verso un futuro verde, prospero ed equo. Dobbiamo unirci nella lotta per la rivoluzione verde e per la salute delle generazioni future”.

Con gli anni questa giornata ha assunto sempre più importanza e continua ad essere l’occasione per conoscere e riflettere  sui tanti problemi ambientali che affliggono il nostro pianeta. Dall’inquinamento di aria, acqua e suolo alle migliaia di piante e specie animali che scompaiono, alla distruzione di interi ecosistemi. Cercando quelle soluzioni che permettano di rimediare agli impatti negativi delle attività dell’uomo, dal riciclo dei materiali alla conservazione delle risorse naturali, dal divieto dell’utilizzo di prodotti chimici dannosi alla cessazione delle distruzione di habitat naturali e alla protezione delle specie minacciate dall’estinzione.

Anche perché tutti i segnali degli ultimi tempi tendono al negativo. Primo fra tutti l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che ci ricorda come le emissioni di gas serra nell’ultimo decennio siano state le più alte nella storia dell’uomo. Da questa situazione derivano eventi meteorologici estremi più frequenti e più intensi con impatti sempre più pericolosi su persone e cose. “Le persone muoiono a causa di estremi di calore; l’insicurezza alimentare e idrica è destinata ad aumentare con l’aumento della temperatura”.

La crescita delle temperature a causa dell’aumento delle emissioni in atmosfera dei gas serra: questo è il problema. Il 2022 è stato il più caldo dell’ultimo secolo con temperature che hanno superato i 2 gradi rispetto la media degli ultimi anni. Un recente rapporto dell’Alleanza europea per la salute pubblica, una rete di organizzazioni non governative, effettuato su 432 città dell’Unione, del Regno Unito della Norvegia e della Svizzera, ha stimato in ben 166 miliardi di euro l’anno i costi dell’inquinamento atmosferico in Europa. Un costo monstre che deriva dall’inquinamento dell’aria  causato dal traffico stradale, aereo e marittimo e dalle emissioni di industrie e riscaldamento domestico che provoca effetti dannosi per la salute con morti, ricoveri, trattamenti sanitari e giornate di lavoro perse. Londra è la città più esposta con oltre 11 miliardi di euro l’anno. In Italia la palma spetta a Roma con più di 4 miliardi, seguita da Milano con 3 miliardi e mezzo.

E non incoraggiano i numeri per quanto riguarda il nostro Paese. Secondo l’ultimo rapporto di Ispra, il National Inventory Report 2023, tornano a crescere le emissioni di gas serra, dopo la battuta d’arresto dovuta al periodo pandemico: 11 milioni di tonnellate al di sopra dell’obiettivo stabilito per il 2021. Una situazione, si legge in un comunicato, che sembra destinata a continuare anche negli anni a venire. Poco promettenti gli scenari al 2030, per i quali è attesa una scarsa riduzione delle emissioni nei settori trasporti e riscaldamento. Responsabili di circa la metà delle emissioni nazionali di gas climalteranti rimangono trasporti e produzione di energia.

Il 25 settembre del 2015, è sempre bene ricordarlo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile nella quale si delineano le attività di uno sviluppo economico e sociale “che assicuri il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità di soddisfare quelli delle generazioni future”. I 17 Sustainable Developnment Goals (Sdgs) che compongono l’Agenda rappresentano il piano globale per combattere la povertà, proteggere il pianeta e garantire la prosperità di tutti.

Nel 2022 l’Istat ha pubblicato il quinto “Rapporto sugli Sdgs” che presenta l’aggiornamento e l’analisi delle misure statistiche finalizzate al monitoraggio dell’Agenda 2030 per il nostro Paese. L’analisi di breve periodo mostra un quadro complessivamente positivo: il 50% delle misure è in miglioramento, il 23% stazionario e il 27% segnala un peggioramento. Buone le prestazioni per consumo e produzioni responsabili, specie nella gestione dei rifiuti. Negativi i dati relativi all’acqua e alle infrastrutture. Le sinergie tra Agenda 2030 e Pnrr cercano di rispondere al principio di “non lasciare indietro nessuno” attraverso l’individuazione di pari opportunità intergenerazionali, di genere e territoriali come priorità trasversali.

Uno degli obiettivi chiave dell’Agenda 2030 è la tutela della biodiversità: “Proteggere, ripristinare e incentivare l’uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno e fermare la perdita della diversità biologica”. Il cambiamento climatico è una delle principali cause della perdita della biodiversità. “Riportare la natura nella nostra vita” è il titolo della strategia dell’Unione Europea sulla biodiversità per il 2030. Intende indirizzare la biodiversità europea verso la ripresa entro il 2030 a vantaggio dei cittadini, del clima e del pianeta attraverso la creazione di una più ampia rete di aree protette terrestri e marine; il ripristino degli ecosistemi degradati; lo sblocco dei finanziamenti a favore della biodiversità. La strategia è l’elemento centrale del Green Deal Europeo con il quale si vuole fare dell’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050.

E l’Italia? A gennaio è stato pubblicato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. L’obiettivo principale è “fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici nonché trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche”.

Siamo solo all’inizio. Il Piano indica la direzione, traccia il percorso da intraprendere. L’istituzione dell’Osservatorio Nazionale dovrebbe assicurare l’operatività delle misure previste dal Piano, suddivise in “misure soft” (policy, giuridiche, gestionali, finanziarie che possono modificare il comportamento e gli stili di vita); “misure verdi” (basate sulla natura/ecosistemi per migliorare la resilienza e la capacità adattiva); “misure infrastrutturali/tecnologiche” (interventi fisici utili a rendere gli edifici, le infrastrutture, le reti, i territori più resilienti ai cambiamenti climatici). Sono state individuate 361 azioni, alle quali, si legge nel documento “è stata applicata una metodologia di valutazione che ha portato all’attribuzione, ad ogni singola azione, di un giudizio di valore” rispetto ad alcuni criteri come l’efficienza, gli effetti secondari, la performance, l’implementazione politica.

Degli oltre 200 miliardi di euro previsti dal Pnrr, 70 miliardi circa sono destinati a finanziare infrastrutture green, economia circolare e mobilità sostenibile, attraverso le misure previste dalla Missione 2 “Rivoluzione verde e Transizione Ecologica”. Il Ministero dell’Ambiente ne gestisce la parte più rilevante con 34,7 miliardi di euro articolati su 26 investimenti e 12 riforme, suddivisi in quattro componenti: economia circolare e agricoltura sostenibile; energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile; efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; tutela del territorio e della risorsa idrica.

Eppure, nonostante tutto, il clima non fa notizia. Secondo il rapporto dell’Osservatorio di Pavia, realizzato per Greenpeace sui cinque quotidiani nazionali più diffusi, sui tg Rai, Mediaset e La7 nel corso di tutto il 2022, i telegiornali in prima serata hanno parlato di crisi climatica in meno del 2% delle notizie. E i quotidiani ne hanno parlato con una media di due articoli al giorno. La giornata della Terra vuole invece ricordare a tutti l’importanza di preservare e proteggere l’ambiente in cui viviamo, ne va della sopravvivenza del pianeta e di tutti i suoi abitanti, compresa la specie dell’homo sapiens. Per dirla con Papa Francesco : “E’ il momento di agire. Non abbiamo più tempo per aspettare. La nostra preoccupazione e quella di vedere che l’ambiente sia più pulito, più puro e che si conservi. Dobbiamo prenderci cura della natura affinché essa si prenda cura di noi”.



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