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Cina, colpo basso dalla Francia alla sovranità delle repubbliche ex sovietiche

In televisione, l’ambasciatore cinese in Francia nega la sovranità legittima delle repubbliche ex sovietiche. Difficile arrivare a tanto, pubblicamente, anche per Mosca. Anche perché Xi Jinping aveva cercato di usare il tema per imbonirsi i partner della Sco. Cosa porta il wolf warrior Lu Shaye a certe dichiarazioni?

Le repressioni sugli uiguri, “pettegolezzi”; le repubbliche ex sovietiche non hanno diritto di esistere. Intervistato venerdì da LCI, l’ambasciatore cinese a Parigi, Lu Shaye, ha oltrepassato linee rosse della narrazione strategica del Partito/Stato dimostrando che l’era degli “wolf warrior” è tutt’altro che finita.

Davanti alle domande dell’anchorman Darius Rochebin, la feluca cinese s’è lanciato in risposte molto spinte che hanno provocato reazioni dure in Francia e non solo, anche perché arrivate a valle delle polemiche innescate dalle dichiarazioni troppo China-friendly che il presidente Emmanuel Macron ha concesso nelle ormai notissime due interviste al ritorno da Pechino. “È essenziale convocare questo diplomatico per ricordargli come funziona il nostro Stato sovrano. Sia per ragioni etiche che strategiche”, suggerisce intervistato dal Journal du Dimanche il fondatore e direttore generale dell’Institut Open Diplomacy, Thomas Friang. “Se qualcuno si sta ancora chiedendo perché gli Stati baltici non si fidano della Cina per ‘mediare la pace in Ucraina’, ecco un ambasciatore cinese che sostiene che la Crimea è russa e che i confini dei nostri Paesi non hanno basi legali”, commenta su Twitter Gabrielius Landsbergis, ministro degli Esteri lituano.

In un’operazione di revisionismo in diretta, Lu Shaye ha accantonato fatti storici e tragici con angosciante disinvoltura. “Questi sono pettegolezzi”, “credi a queste canard?”, ha detto a proposito delle richieste di spiegazioni sulla situazione nello Xinjiang, la regione della Cina occidentale dove il Partito/Stato ha creato una campagna di rieducazione contro le minoranze musulmane – soprattutto gli uiguri turcofoni – per renderli “buoni cinesi” ed evitare che appoggino le istanze di alcuni gruppi separatisti e fondamentalisti islamici. Ma d’altronde, l’ambasciatore Lu è lo stesso che lo scorso agosto suggerì che dopo la “riunificazione” di Taiwan alla Cina – ossia l’annessione, anche con la forza, visto che Taipei non è mai stata amministrata da Pechino – si dovrebbe procedere con la “rieducazione”. In quell’occasione parlava su BFM Tv.

Venerdì è andato anche oltre. L’ambasciatore cinese non solo ha screditato la diplomazia basata sui valori che sempre più gli stati di diritto – le democrazie che si contrappongono al modello di governance globale proposto dai totalitarismi come la Cina – usano come vettore delle politiche internazionali. Lu non ha infatti messo in discussione solo l’universalità dei valori francesi, europei, italiani, democratici, ma ha colpito lo stesso diritto internazionale: “Gli ex Paesi membri dell’Unione Sovietica non hanno lo status effettivo di Stato sovrano nel diritto internazionale”, ha dichiarato testualmente. Che dire di quelle 14 ex repubbliche sovietiche, stati membri delle Nazioni Unite, che questo funzionario cinese ha letteralmente cancellato dalla carta geografica con un’affermazione da capogiro?

Il ministero degli Esteri francese ha diffuso una dichiarazione in cui si dice costernato, sostenendo che spetta a Pechino “dire se queste osservazioni riflettono la sua posizione, cosa che speriamo non sia così”. “Sottolineiamo la nostra piena solidarietà con tutti i nostri alleati e partner interessati, che hanno ottenuto l’indipendenza tanto attesa dopo decenni di oppressione [sovietica]”. La dichiarazione prosegue sottolineando il fondamento giuridico internazionale dei confini post-sovietici dell’Ucraina di cui anche la Cina, tra gli altri, ha evidenziato in altre occasioni le fondamenta. “L’annessione da parte della Russia nel 2014 è illegale secondo il diritto internazionale”, sottolinea Parigi. Nessuna convocazione dell’ambone cinese annunciata per ora. Ma probabilmente l’Eliseo aspetterà di vedere come Pechino risponde alle osservazioni dell’ambasciatore. Intanto tutti e tre gli Stati baltici hanno convocato ai rispettivi ministeri degli Esteri gli ambasciatori cinesi sul proprio territorio per chiarimenti.

L’aspetto molto interessante sta nell’incoerenza di parte delle affermazioni di Lu con quello che il leader cinese, Xi Jinping, ha cercato di trasmettere durante l’ultima riunione generale dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (la Sco) dello scorso agosto. In quell’occasione, Xi aveva la volontà di preparare il terreno per vettori strategici come la Global Security Initiative, e voleva farlo dotandosi della Sco come propulsore, e nella necessità di dimostrare che la Cina era qualcosa di diverso dalla Russia – sebbene i due Paesi fossero in qualche modo allineati. A distanza di sei mesi dall’inizio dell’invasione russa, Xi cercava allora di dimostrare ai partner dell’Asia Centrale, ossia a molte di quelle repubbliche ex sovietiche che sono membri della Sco, di rispettare le loro individualità e sovranità. Di poter contare su Pechino, perché (detto semplificando) non era come Mosca.

In quel contesto per Xi era importante farlo, per costruire fiducia e creare un firewall di distanziamento da Vladimir Putin, che ha invaso l’Ucraina perché fondamentalmente non ne riconosce il diritto alla statualità. Lu muove altre leve, attacca nella sostanza le repubbliche ex sovietiche europee che hanno difeso l’Ucraina; usa una retorica aggressiva come tipico dei diplomatici guerrieri utilizzati dal ministero degli Esteri per spingere la narrazione strategica cinese oltre le linee della potabilità diplomatica. Sono passati altri otto mesi da Samarcanda, l’intesa sino-russa si è ulteriormente saldata e Xi ha superato alcuni crucci sul rapporto con Putin, usandolo come proiettore delle sue ambizioni di leader in grado di gestire i dossier globali. E i suoi guerrieri diplomatici possono permettersi qualche uscita più spinta adesso; soprattutto farlo in certi contesti come la Francia può creare ulteriore caos all’interno del sistema rivale occidentale.

In definitiva: se Lu ha fatto quelle dichiarazioni, nonostante sia noto per posizioni spinte anche per farsi notare tra i notabili del Partito, è chiaro che certe idee circolino a Pechino. È altrettanto chiaro che la Cina non possa essere considerato un mediatore terzo sulla guerra russa in Ucraina. Come potrebbe esserlo d’altronde un Paese all’interno del quale circolano idee sulla Crimea come “storicamente russa”?

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