Spettacolo deprimente. Leader fragili alla disperata ricerca di un’identità fanno coriandoli della Storia d’Italia in un eterno carnevale della disunità nazionale. Il corsivo di Andrea Cangini
Alla vigilia di un 25 aprile che verrà presumibilmente ricordato come il più conflittuale e divisivo della storia repubblicana, non giova affatto, ma è necessario, constatare la strumentalità politica e la debolezza storiografica delle posizioni in campo. Cominciamo dalla Destra. Per diversi esponenti di Fratelli d’Italia sembra che il tempo si sia fermato a trent’anni fa. A prima della nascita di Alleanza nazionale, a prima dei governi di coalizione guidati da Silvio Berlusconi. Si pongono nel dibattito pubblico con la postura della minoranza maledetta come se fossero ancora collocati giocoforza fuori dall’arco costituzionale e non avessero invece alle spalle decenni di governo nazionale, regionale e locale. Ripudiano la retorica repubblicana antifascista come se nel 1995, a Fiuggi, sotto la leadership di Gianfranco Fini non avessero approvato la tesi secondo la quale “l’antifascismo fu il momento storicamente essenziale per il ritorno ai valori democratici che il fascismo aveva conculcato”.
Non si tratta di memoria corta, si tratta per lo più di miopi calcoli di tornaconto elettorale.
Calcoli uguali e contrari a quelli di Matteo Salvini, che fino a ieri occhieggiava al fascismo “che ha fatto anche tante cose buone” e che domani, pur di affrancarsi dall’ombra di Fratelli d’Italia, solennemente annuncia che celebrerà “la liberazione del nostro Paese” senza se e senza ma. Calcoli come quelli di Elly Schlein, che rende omaggio alla lucente figura storica del socialista Giacomo Matteotti fingendo di non sapere che Antonio Gramsci lo qualificava “un pellegrino del nulla”, che Palmiro Togliatti gli dava di “socialfascista” e che l’Unità lo definiva un “idiota insolente”. Possibile celebrare Matteotti senza deprecare la matrice antidemocratica e illiberale dei genitori politici, comunisti, del Partito democratico? Possibile. Così come è possibile celebrare la resistenza armata dei partigiani italiani e, è questo il caso del camaleontico Giuseppe Conte, al tempo stesso rifiutarsi di armare i partigiani ucraini minacciati dall’uomo che più di ogni altro incarna il fascismo contemporaneo: Vladimir Putin.
Spettacolo deprimente. Leader fragili alla disperata ricerca di un’identità fanno coriandoli della Storia d’Italia in un eterno carnevale della disunità nazionale.