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Crosetto in Uzbekistan. Il ruolo italiano per la sicurezza in Asia Centrale secondo Cristiani (Gmf)

La visita del ministro Crosetto in Uzbekistan anticipa il rafforzamento delle relazioni tra Roma e Tashkent e ne segna il valore della sfera militare. Per Cristiani (Gmf) l’Italia dalla relazione e dalle dinamiche uzbeke ha molto da imparare. Ecco perché

Tra la conferenza a Roma per la ricostruzione dell’Ucraina, il contatto telefonico tra Volodymyr Zelensky e Xi Jinping, misere polemiche post-25 aprile, in Italia si è parlato poco della visita del ministro della Difesa, Guido Crosetto, in Uzbekistan (mercoledì 26 aprile). Un viaggio che invece ha notevole rilevanza, e segue una serie di attività avviate dall’Italia in Asia Centrale, per esempio il viaggio dell’allora ministro Luigi Di Maio nel settembre 2021 — Di Maio, che a breve riceverà la nomina a inviato speciale Ue per la regione del Golfo era stato in Uzbekistan, Tagikistan e Pakistan come parte di un viaggio che lo aveva portato anche in Qatar.

Secondo Dario Cristiani, analista del German Marshall Fund (Gmf) di Washington, la visita di Crosetto è particolarmente importante per una serie di motivi che definisce “transcalari”: cioè di rilevanza specifica per l’Italia, ma anche per l’Europa, per le relazioni transatlantiche e per le dinamiche più ampie dello spazio centro-asiatico e caucasico.

Il viaggio di Crosetto e la visita di Mirziyoyev

Partiamo dal primo livello scalare, perché questa visita è importante per l’Italia? “Perché il viaggio del ministro Crosetto ha valore complessivo, ma è anche indicativa della volontà di entrambi i Paesi di approfondire le relazioni nell’ambito della difesa. È stata un momento preparatorio per la visita che presidente dell’Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev, farà in Italia nel mese di giugno, quando avrà colloqui con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, segnando il passaggio che dovrebbe sancire l’inizio di un nuovo partenariato di lungo periodo con Tashkent”, spiega l’analista.

Crosetto ha incontrato prima il suo omologo, il generale Bakhodir Kurbanov e il rappresentante speciale per gli Affari di Politica Estera della presidenza, Abdulaziz Kamilov, per poi concludere la serie di incontri con il presidente Mirziyoyev. Per Cristiani, “appare chiaro, dalle personalità che ha incontrato e dal fatto che sia stato il ministro della difesa italiana ad andare a Tashkent per iniziare questo dialogo verso un partenariato più strutturato, che la cooperazione su questioni di sicurezza e di difesa saranno particolarmente significative.

Difesa e industria militare guidano le relazioni internazionali italiane

Non è il primo caso di relazioni internazionali italiane in cui il driver della difesa e sicurezza fa da propulsore. Questo genere di rapporti, come nel caso dell’India nel quadrante indo-pacifico, facilita l’Italia in ambienti geostrategici significativi. L’Uzbekistan ha una posizione geografica che lo rende attore fondamentale delle dinamiche centroasiatiche e, anche cercando di evitare di cadere nella tentazione del determinismo geopolitico spicciolo, tale posizione rappresenta un elemento rilevante.

”Tale rilevanza — continua Cristiani — diventa ancora più marcata se si prendono in considerazione altri fattori materiali, come ad esempio la demografia, essendo il paese più popoloso tra in cinque Stan emersi dall’implosione dell’Urss, e dal modo in cui l’Uzbekistan ha interpretato il proprio ruolo geopolitico nel post-indipendenza”.

L’autonomia strategica uzbeka

L’Asia Centrale è un sistema dove potenze regionali e esterne hanno grande influenze, con alcune di esse alcune, come la Russia e la Cina, che vogliono giocare un ruolo egemonico e trasformare l’influenza in dipendenza. “Vero, ma Tashkent, in particolar modo sotto la leadership del leader precedente, Islom Karimov, ha perseguito in maniera molto marcata una certa indipendenza strategica. Tale imperativo geopolitico è rimasto significativo anche sotto Mirziyoyev, sebbene l’attuale leader cerchi di perseguire tale obiettivo in maniera meno aggressiva, sia esternamente che all’interno dei proprio confini, visto che l’Uzbekistan si è anche aperto sempre di più al mondo esterno e ha cercato di implementare alcune riforme negli ultimi anni”.

Sebbene parlare di un Paese in via di democratizzazione è probabilmente esagerato, lo stile di Mirziyoyev è lievemente meno autoritario di quello di Karimov. Frutto di una volontà di affrontare i cambiamenti proiettandosi sul palcoscenico internazionale? Come sta muovendosi l’Uzbekistan alla ricerca del suo standing e della sua indipendenza strategica? “La guerra d’aggressione russa in Ucraina ha avuto un impatto particolarmente significativo in tutto lo spazio post-sovietico, in particolare in Asia Centrale, uno di quegli ambiti geostrategici dove la competizione tra potenze globali e regionali resta particolarmente marcato. Tan’è che relazioni uzbeke con la Russia hanno caratteri del tutto peculiari anche rispetto alle relazioni che molti paesi dell’area hanno con Mosca”, risponde Cristiani.

Il rapporto Russia-Uzbekistan 

Da un punto di vista economico, le relazioni sono estremamente solide: l’Uzbekistan resta dipendente dalla Russia per una serie di fattori, come per esempio le rimesse dei lavoratori uzbeki in Russia sono a dir poco fondamentali per Tashkent. Inoltre, il Paese resta dipendente dal gas e dall’energia russa. Nel febbraio di quest’anno, il presidente Mirziyoyev ha annunciato un pacchetto energetico del valore di oltre 1 miliardo di dollari per alleggerire il fabbisogno di riscaldamento ed elettricità uzbeki, piano che – nonostante riconosca la centralità russa nel fornire petrolio e gas naturale — al tempo stesso cerca rafforzare i legami energetici con i suoi vicini per non essereeccessivamente dipendente da Mosca.

Da un punto di vista strategico e militare, invece, la situazione è ben diversa, spiega l’analista. “Sebbene sotto Mirziyoyev le relazioni con il Cremlino siano migliorate, l’Uzbekistan continua a non essere membro dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) a guida russa o dell’Unione Economica Eurasiatica, il tentativo soft con la quale la Russia ha provato a ricreare una sorta di ‘Sovietsphere’ nello spazio post-sovietico. Inoltre, l’Uzbekistan si è espresso in più di un’occasione in favore del riconoscimento della sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Insomma, tale relazione ha quanto meno diverse sfaccettature, e credo che – nei prossimi mesi e anni – la Russia avrà difficoltà a mantenere la propria influenza in Uzbekistan”.

Italia, Europa, Asia Centrale

Per Cristiani, ci sono motivi legati ai problemi che la Russia sta avendo in Ucraina: sebbene l’Uzbekistan abbia perseguito, e continui a perseguire, la propria autonomia strategica, essendo storicamente uno dei paesi più esposti rispetto alle ondate di insicurezza proveniente dall’Afghanistan, tale problema strutturale forniva una motivazione significativa nel mantenere la cooperazione strategica con Mosca almeno rispetto all’Afghanistan. “Le difficoltà militari russe in Ucraina suggeriscono che la Russia ha, ed avrà probabilmente, molte complicazioni nell’essere considerato un partner affidabile in tal senso. E questo spingerà inevitabilmente l’Uzbekistan a guardare altrove, sia per trovare altri partner con cui collaborare in maniera di sicurezza, ma anche per rafforzare relazioni a livello industriale nel settore della difesa ed essere sempre più indipendente e autonoma. Secondo me, in questo secondo caso, l’Italia può giocare un ruolo significativo, sebbene servano alcuni accorgimenti”.

È difficile immaginare un impegno diretto italiano a livello militare in Asia Centrale, e difficilmente l’Unione Europea avrà maggiori responsabilità militari e di sicurezza in questo spazio: non è così? “Al netto della classica retorica euroburocratese che caratterizza l’approccio Ue focalizzato su democratizzazione e liberalizzazione economica, in questi ambiti geopoliticamente variegati alla periferia dell’Europa, Bruxelles ha un ruolo abbastanza marginale. Altre potenze, emergenti e non, hanno invece un ruolo del più marcato”.

Scontro tra potenze nella regione

Le dinamiche in corso questi giorni raccontano tale evoluzione. L’assistente Segretario a Tesoro statunitense con l’incarico per il monitoraggio del finanziamento del terrorismo e dei crimini finanziari, Elizabeth Rosenberg, è in visita in Asia Centrale. Washington vuole giocare con la regione la carta della cooperazione su difesa e sicurezza per sganciarla dal gioco di influenza russo — e dai tentativi di Mosca di usare l’ambiente centro-asiatico per aggirare le sanzioni occidentali. Gli Stati Uniti stanno cercando di recuperare dopo l’uscita dall’Afghanistan, tanto che prima di Rosenberg, in Kazakistan e Uzbekistan è andato in visita (a inizio marzo) il segretario Antony Blinken.

D’altronde la regione è parte della competizione con Pechino, che è un attore sempre più rilevante, sebbene ancora più da un punto di vista geoeconomico che non militare e strategico. Sebbene la Cina cerchi di avvantaggiarsi anche con forme di contatto minilaterali come la Shanghai Organizzaztion Cooperation, che proprio in questi giorni organizza a Nuova Delhi la riunione ministeriale difesa (a cui partecipa anche l’uzbeko Kurbanov. Nello specifico dell’Uzbekistan, l’influenza cinese è sempre più marcata, sia in ambito economico che di influenze e presenza culturale, tanto che molti osservatori regionali vedono Tashkent come uno dei perni della strategia di penetrazione cinese.

Turchia e spazi comuni

Cristiani fa notare anche il ruolo giocato dalla Turchia. “Nel corso degli ultimi mesi, l’Uzbekistan si è avvicinata molto alla Turchia e all’Azerbaijan dal punto di vista della cooperazione strategica e militare. Passaggio interessante, e dal punto di vista italiano notevole vista anche la partnership strategica di Roma con Baku e la convergenza di interessi con Ankafa in determinati teatri, come la Libia, che non sempre però le élite italiane apprezzano e colgono. Tali dinamiche potrebbero essere interessanti per l’Italia, anche se ci sono ulteriori aspetti che invece possono complicare un po’ le cose”.

Cosa lega Uzbekistan e India?

In Asia Centrale e nel Caucaso, c’è un riassestamento geopolitico in atto, infatti. Per esempio,  l’India, altro attore di peso in Asia Centrale, nell’ultimo periodo si è avvicinato all’Armenia e all’Iran, come dimostrato dal meeting trilaterale che l’Armenia ha ospitato recentemente a Yerevan. “L’asse armeno-iraniano si contrappone apertamente a quello azero-turco, come dimostrato in questi anni nel Nagorno-Karabakh. L’India, però, al tempo stesso, è un paese particolarmente corteggiato dall’Occidente, in particolare come contrappeso rispetto alla Cina.

Nell’ultima Strategia di Sicurezza Nazionale prodotta dall’amministrazione Biden nell’Ottobre 2022, la centralità di Nuova Delhi emerge in maniera limpida. Inoltre, l’India è un partner sempre più importante anche per l’Italia, come dimostrato dal nuovo partenariato strategico stabilito a inizio marzo. Però, nonostante questo, tra le sue relazioni con Mosca e la sua visione molto decisa di autonomia strategica, il subcontinente spesso gioca in un modo che non può essere chiuso in schemi ben definiti”.

La lezione per l’Italia

In definitiva, cosa passa della visita del ministro Crosetto? “L’Uzbekistan fa, su scala meno globale, ciò che fa l’India a livello globale. Entrambe sono pronte a rafforzare le proprie relazioni con molti attori, a patto che la loro autonomia strategica non ne venga scalfita e che anzi, ne esca rafforzata. Ciò presenta sia opportunità che problemi. Per l’Italia, ciò significa che Roma deve, da un lato, avere una certa elasticità e accortezza nel muoversi in questi spazi per ottenere il massimo dal rafforzamento di queste relazioni”.

I rischi? “Occorre mantenere l’allerta alta rispetto a questioni come il trasferimento di tecnologie militari o dual-use o di dati sensibili, appunto gli accorgimenti di cui parlavo prima rispetto alla cooperazione militare. Data la crescente influenza cinese in Uzbekistan, palese e riconosciuta da tutti, la cooperazione in chiave militare e di sicurezza deve necessariamente tenere questa dinamica in debita considerazione”, spiega l’esperto del Gmf.

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