Secondo alcune analisi, l’India rischia di non avere una struttura economica adeguata a sostenere la crescita demografica e a goderne del “dividendo”. Perché?
Le Nazioni Unite stimano che l’India sia diventata il Paese più popoloso del mondo, superando la Cina per questo complesso primato. Si tratta della conferma burocratica di una transizione inevitabile, in quanto la crescita economica e le politiche di pianificazione familiare della Cina hanno rallentato la spinta demografica fino a portarla quasi a zero negli ultimi anni, mentre la popolazione indiana aumentava. Ma a popolazioni più grandi corrispondono problemi più grandi. Una prospettiva malthusiana avverte per esempio che un maggior numero di bocche da sfamare potrebbe mettere a dura prova la capacità di un Paese di provvedere ai propri cittadini e che l’incapacità di farlo potrebbe generare instabilità politica e impoverimento economico. E però, la Rivoluzione industriale si è basata sulla crescita demografica occidentale, che è stata parte di quella stagione di sviluppo che ha dato all’Europa (e poi agli Stati Uniti) forza economica e miglioramento costante delle condizioni di vita. È questo l’aspetto dicotomico della situazione.
Dividendo e sviluppo
È consuetudine dei politici lodare il “dividendo demografico” dell’India, “che è una strana espressione per indicare il fatto che l’enorme popolazione indiana è anche una popolazione giovane, con il 52% dei suoi cittadini sotto i trent’anni”, spiega Irfan Nooruddin, senior director al South Asia Center dell’Atlantic Council e docente alla Georgetown University. I giovani sono una risorsa preziosa per qualsiasi economia. Sono nel pieno della loro vita lavorativa, sono consumatori accaniti e alimentano l’economia in generale, e alla fine avranno figli propri e compreranno ancora più cose. I Paesi dell’Europa occidentale, così come il Giappone e sempre più la Cina, sono via via più anziani e devono far fronte a mercati del lavoro più rigidi e a maggiori pressioni sui programmi di finanza pubblica come le pensioni (vedere il caos in Francia) o l’assistenza sanitaria. Ma la popolazione più giovane dell’India promette una classe media consumistica enorme e in crescita e un’offerta apparentemente infinita di laureati che non vedono l’ora di entrare nella forza lavoro.
Demografia senza lavoro?
Ma, spiega Nooruddin sull’Atlanticist, nel caso dell’India ci si trova davanti a una situazione particolare: quella che viene definita “crescita senza lavoro”. Per assorbire la domanda di lavoro, l’economia indiana deve creare oltre un milione di nuovi posti al mese. Attualmente ne crea molto meno e il processo sta rallentando ulteriormente. “La sfida — scrive l’esperto indiano — è più sistemica e strutturale e risiede nell’assenza di un settore manifatturiero vivace in grado di assorbire i milioni di giovani che entrano nell’economia ogni anno. La rapida crescita demografica è un fenomeno relativamente moderno a livello globale e la storia dimostra che la produzione industriale è stata la chiave per assorbire la manodopera in modo produttivo. L’India, tuttavia, ha saltato questa fase di rivoluzione industriale di massa. La sua crescita è stata alimentata da un settore dei servizi in piena espansione, specializzato nelle tecnologie dell’informazione. Mentre la Cina si affermava come fabbrica dell’economia globale, l’India aspirava a diventare il suo centro di elaborazione delle attività di back-office. Se da un lato ciò ha stimolato la crescita di una robusta classe media di impiegati istruiti che parlano inglese, dall’altro ha messo a nudo la mancanza di opportunità simili per le decine di milioni di giovani in cerca di lavoro che si contendono le scarse posizioni impiegatizie”.
Sfide e problemi
Ashoka Mody, economista di Princeton, sostiene che il fallimento del sistema educativo indiano è responsabile della situazione attuale. Altri colpevoli sono gli approcci esitanti e spesso contraddittori del governo agli investimenti esteri e al commercio internazionale, nonché le sue tendenze protezionistiche che soffocano l’innovazione e impediscono all’India di svolgere un ruolo significativo nelle catene di approvvigionamento globali come hanno fatto Cina, Vietnam, Malesia e persino Bangladesh. La produzione potrebbe spostarsi dalla Cina all’India, poiché gli Stati Uniti e altri cercano di ridurre la dipendenza dalle esportazioni e dalle catene di fornitura cinesi. “Ma non è chiaro se Nuova Delhi sarà in grado di cogliere il vantaggio su una scala tale da soddisfare le esigenze occupazionali della sua giovane popolazione”, commenta Nooruddin. “Ciò richiederebbe il coraggio politico di abbracciare le riforme economiche strutturali e le sfide del commercio globale per costringere le imprese indiane a essere realmente competitive a livello internazionale. Se l’India riuscisse in questo intento, potrebbe essere in grado di sfruttare la sua popolazione per promuovere gli alti tassi di crescita economica necessari a recuperare il terreno perduto nei confronti della Cina, anche se l’ultimo decennio di crescita perduta ha probabilmente già reso irraggiungibile questo obiettivo”.
Bomba demografica a orologeria?
Il dividendo demografico dell’India è quindi una bomba a orologeria demografica, per ora coperta dal successo del suo settore informatico, dalla classe media in gran parte non sfruttata, dalla crescente centralità geopolitica e dalle magistrali relazioni pubbliche dei suoi sostenitori? L’incapacità di sfruttare le energie della popolazione più numerosa del mondo rischia non solo di essere un’enorme opportunità mancata, ma potrebbe diventare un macigno che pesa sul futuro dell’India. Secondo Nooruddin una forma di arretramento è già iniziata: l’India non è più considerata una democrazia liberale da varie organizzazioni internazionali e i sondaggi di opinione indicano che l’impegno dell’opinione pubblica indiana nei confronti delle norme democratiche è preoccupantemente superficiale.