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​Più tasse sulle big oil. La mazzata fiscale di Puti​n, in difficoltà per le sanzioni

Per compensare il vuoto di entrate causato dall’embargo europeo sul petrolio, il Cremlino alza le tasse sulle sue stesse compagnie. Ma così ipoteca i futuri investimenti nel settore. E dunque i futuri incassi

Alla fine, le sanzioni mosse dall’occidente contro la Russia e la sua guerra contro l’Ucraina, riescono in quello che Vladimir Putin proprio non voleva fare: alzare le tasse sulle grandi compagnie petrolifere del Paese, quelle che, per intendersi, vendendo oro nero ai Paesi amici, tengono ancora in vita l’ex Urss. Il problema è che l’embargo dell’Europa (ma non solo) agli idrocarburi russi, unitamente al tetto al costo del gas, ha nei fatti tagliato fuori dal mercato l’industria petrolifera nazionale.

Dunque, meno fatturato e meno introiti per l’azionista di riferimento, che risponde quasi sempre al nome di Cremlino. Il quale, per tentare di pareggiare i conti, ha deciso di aumentare la pressione fiscale sui colossi dell’energia. La mossa potrebbe tuttavia non pagare e finire con il ritorcersi contro le stesse industrie, “sacrificando la capacità del settore di investire a lungo termine per colmare una lacuna finanze pubbliche”, ha scritto il Financial Times. “È decisamente distruttivo per il loro settore”, ha spiegato una fonte. “Si tratta di un errore ridurre la futura capacità produttiva dell’industria russa del petrolio e del gas sottraendo entrate che potrebbero altrimenti essere utilizzate per investire in attrezzature, esplorazione e giacimenti esistenti”.

Il regime di Putin, pochi giorni fa, ha cambiato la metodologia dei prelievi fiscali sulle big oil russe, basandola sul prezzo di riferimento internazionale del greggio Brent, piuttosto che sul prezzo dell’Urals, il principale e tradizionale benchmark del Paese. Tutto questo per incamerare fino a 600 miliardi di rubli (8 miliardi di dollari) di entrate aggiuntive e tappare il buco delle esportazioni di petrolio causato dalle sanzioni occidentali. Il sapore è comunque quello della paura: “la scelta di un rialzo fiscale è la prova che i ricavi stanno soffrendo in modo significativo”.

Tutto questo mentre l’Europa ha proposto di sanzionare le società cinesi per il sostegno accordato alla macchina da guerra russa, per la prima volta dall’inizio dell’aggressione dell’Ucraina. La mossa irriterebbe Pechino, ansiosa di impedire che l’Ue si schieri con Washington nella lotta per l’influenza globale. Sette aziende cinesi, in particolare, sono finite nel mirino per la vendita di attrezzature utilizzabili negli armamenti e, di conseguenza, nell’elenco di un pacchetto di sanzioni che sarà discusso dai Paesi Ue in settimana.

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