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Il Pd più liberal (e meno liberale) perde anche Cottarelli. La versione di Nicola Rossi

Il Pd si è spostato “in un’area lontana dai miei valori liberaldemocratici”, dice l’economista cremonese che ha deciso di lasciare il gruppo a palazzo Madama. Il precedente di Nicola Rossi: “L’anima della sinistra italiana non è liberale”

Anche Carlo Cottarelli abbandona il Pd. O meglio, lascia il gruppo dem al Senato (nel quale subentrerà Cristina Tajani), così come lascerà la politica. “Ho ricevuto un’offerta dall’Università Cattolica”, ha spiegato l’economista cremonese nella sua intervista al Corriere della Sera. In realtà il motivo di questa decisione è “lo spostamento del Pd in un’area lontana dai miei valori liberaldemocratici”.

Un’altra delle “vittime” del nuovo corso dem? Sì e no. Molto garbatamente Cottarelli spiega che Elly Schlein “ha fatto bene a spostare il Pd a sinistra”, ma chiaramente non può essere una linea nella quale un moderato come Cottarelli si può riconoscere. Così come non si potevano riconoscere in questa nuova era politica l’ex senatore Andrea Marcucci, che ora starebbe lavorando a mettere assieme ciò che resta del centro, e Giuseppe Fioroni. Lo stesso si può dire di Enrico Borghi, che ha aderito a Italia Viva e dell’europarlamentare Cateria Chinnici che ha abbracciato Forza Italia.

Il punto di fondo, per capire queste dimissioni, è cogliere l’essenza vera della sinistra italiana al di là delle narrazioni. In questo ci viene in aiuto una voce di un altrettanto autorevole economista, Nicola Rossi che, come Cottarelli ma nel lontano aprile del 2011, abbandonò il Pd.

“Nel Pd ci può essere questo o quel segretario, ma la verità è che l’anima della sinistra italiana non è liberale”, sentenzia Rossi. Ma senza alcuna vis polemica. “È una questione di Dna – prosegue l’economista – . Quando dico che la sinistra italiana non è liberale, non significa che sia illiberale. Significa che ha un’impronta socialista, che quindi ha ben poco a che fare con la visione di società e di economia che hanno i liberali”.

Non c’è dubbio che la linea impressa da Schlein sia molto più marcatamente sbilanciata a sinistra. “L’attuale segretaria – prosegue Rossi – ha il merito di aver chiarito una volta per tutte il reale orientamento ideologico della sinistra italiana. Ma lo dico con grande onestà. Evidentemente, però, due persone come me e Cottarelli non potevano stare all’interno di un ‘contenitore’ politico con queste sembianze”.

“Con Elly Schlein il Pd sta sempre di più diventando un partito liberal, non liberale. L’ispirazione è quella del modello di Ocasio-Cortez – continua nell’analisi l’economista -. L’idea che il Pd abbia tentato, in questi anni, di tenere assieme anime diverse da quelle fondative è falso. È una narrazione che si sono fatti tra loro. Ma il sedime è quello socialista e della vecchia componente ‘sinistra’ della Dc. Due visioni del mondo e della società senz’altro rispettabili, ma che nulla hanno a che fare con il liberalismo”.

Quanto incide l’essere assoggettati alle dinamiche dei social e del consenso “per like” sui partiti moderni e sul Pd in particolare? “Incide fino a un certo punto, nel senso che dipende dall’uso che se ne fa. I social sono strumenti (anche di consenso). C’è chi li governa e chi si fa governare. Ma è una questione di capacità politica che valeva anche quando i social non esistevano e la ‘line’ la dettavano (o la subivano) i giornali”.

Sulla sua decisione di lasciare il Pd, nel 2011, Rossi è molto sereno. “Chiamai Bersani e gli dissi che era una reciproca ‘liberazione’. Mi allontanai senza polemica, ma con la convinzione che quello non fosse il mio partito”.

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