Forbes è entrato in possesso dell’elenco dei termini di cui ByteDance tiene traccia, perché rivestono particolare interesse per il governo centrale di Pechino. Spaziano dalla geopolitica alla scienza, dalla cultura cinese alle questioni di politica interna. Un vero e proprio codice di condotta e censura, che conferma ancor di più il legame fortissimo tra il regime e l’app di video virali, smentito dalla società ma ormai indiscutibile
Ogni censura ha il suo codice di condotta. Quello di ByteDance, società madre di TikTok, è stato scoperto e pubblicato da Forbes dopo esserne entrato in possesso. Il tracciamento è capillare e alle parole più critiche vengono appiccicate etichette come “proibite”, “vietate” e “da eliminare”. I termini che ricevono queste segnalazioni vengono monitorati con grandissima attenzione da uno strumento interno all’azienda cinese, che ne tiene traccia su dove, quando e da chi vengono pronunciati.
Non si tratta di un modus operandi unico, ma ben diffuso. Con una differenza però sostanziale, visto che le altre Big Tech monitorano per lo più la diffusione contenuti illegali, per contenerla quanto più possibile. ByteDance, invece, si spinge oltre. A detta di William Evaniva, ex capo del controspionaggio del governo statunitense, si tratta della prova provata su come “ci sono elementi specifici di cui [a Pechino] sono preoccupati e vogliono controllare chi le stava pronunciando, quando e quanto spesso”. Insomma, non lo stanno facendo solo per una passione di collezionismo.
“Come piattaforma responsabile”, ha spigato il portavoce di TikTok Jamie Favazza, il social network “utilizza liste di parole per aiutare a proteggere la nostra comunità da incitamento all’odio, disinformazione e altri contenuti dannosi”. Anche di fronte al Congresso americano, il Ceo Shou Zi Chew aveva rassicurato su come la sua azienda non muoveva un dito su ordine del governo cinese, figurarsi la rimozione dei contenuti. Dei report che invece dimostrerebbero il legame tra TikTok e il governo centrale pechinese ne abbiamo già scritto su questo giornale, ma le liste di parole proibite pubblicate da Forbes sono un’ulteriore conferma.
Già, perché appare un po’ difficile credere che anche solo pronunciare, o meglio scrivere, parole come Taiwan, Hong Kong e Tibet possa essere considerato un illecito. O ancora, che i termini in riferimento alla regione dello Xinjiang o degli uiguri possano rappresentare una minaccia. Ma questa lista riguarda anche le discussioni che vertono attorno al Covid-19, alla sua nascita e diffusione, visto che è un tema su cui Pechino si gioca molto in chiave internazionale. Molto sensibili sarebbero anche le tematiche che trattano delle relazioni sino-americane e tutto ciò che ci ruota attorno, come ad esempio la guerra in Ucraina, Russia e la Corea del Nord. Non ci sarebbe neanche da segnalarlo, ma ovviamente anche tutte le parole che fanno riferimento alla cultura e alla politica cinese.
L’elenco è molto lungo proprio perché riguarda tante questioni, diverse tra di loro nella sostanza ma che rivestono per il governo centrale la stessa identica rilevanza. Il controllo maniacale sembra essere una peculiarità da parte di TikTok, come dimostrerebbe anche l’apertura di un’indagine federale da parte degli Stati Uniti per scoprire se davvero la società spiasse cittadini americani. Certo è che avere una lista di parole proibite, di cui tenere traccia, non aiuterà TikTok a rassicurare Washington.
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