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Semipresidenzialismo alla francese. La ricetta di Guzzetta per le riforme

Il coinvolgimento delle opposizioni sull’agenda delle riforme è “un fatto meritevole di apprezzamento nella grammatica costituzionale”, dice il costituzionalista di Tor Vergata. “L’instabilità in Italia è figlia della inveterata abitudine a fare e disfare i governi in Parlamento senza ricorrere alle elezioni. Se si vuole che i cittadini contino di più e sentano di contare, bisogna cambiare schema. Ecco perché il semi-presidenzialismo alla francese farebbe al caso nostro”

Il punto più difficile da far digerire alle opposizioni (anche le più dialoganti) sarà quello dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Domani il premier Giorgia Meloni ha convocato le delegazioni di tutti i gruppi di minoranza per un confronto sulla fitta agenda di riforme che il governo ha in animo di portare avanti. L’allineamento anti-presidenzialista vede sulla stessa linea il Movimento 5 Stelle e il Pd. Meno ostile è, invece, il leader di Azione Carlo Calenda anche se sull’elezione del Capo dello Stato fa sapere di essere contrario a “toccare” la figura del Presidente della Repubblica. Ma cosa, delle ipotesi emerse in questi giorni sulla riforma presidenziale, spaventa davvero le opposizioni? Abbiamo provato a rispondere attraverso l’analisi che Giovanni Guzzetta, ordinario di diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata, ha fatto su Formiche.net.

Professor Guzzetta, da parte di Giorgia Meloni c’è stata una grande apertura alle opposizioni sull’agenda delle riforme. Il presidenzialismo non piace alle opposizioni. Quale è secondo lei l’elemento che preoccupa?

L’apertura alle opposizioni è un fatto meritevole di apprezzamento nella grammatica costituzionale. Le riforme che riguardano tutti, sia chi è maggioranza oggi sia chi potrà essere maggioranza domani. Il problema è semmai come si svolge questo dialogo e soprattutto quale sia la disponibilità della maggioranza e dell’opposizione a intraprenderlo in uno spirito di leale collaborazione. La quale implica un atteggiamento di serietà e, per dir così, reale disponibilità nelle trattative. Ovviamente, prevedendo la Costituzione che le revisioni costituzionali possano adottarsi anche a maggioranza (salva la possibilità di referendum confermativo), la leale collaborazione non può interpretarsi nel senso che si consegna alla minoranza un potere di veto. Quanto alle preoccupazioni, sinceramente è difficile rispondere. Si intrecciano, infatti, considerazioni sia politiche che tecniche. E, riguardo a queste ultime è difficile valutarle in assenza di una proposta definita. Ho l’impressione che ci sia in questa fase una prevalenza della contrapposizione politica. Non voglio pensare che istituti come l’elezione diretta del Presidente della Repubblica o quella del premier possano essere di per sé una ragione di preoccupazione, atteso che casi di elezione diretta esistono in moltissime democrazie avanzate e consolidate.

C’è, in effetti, nell’ipotesi dell’elezione diretta del presidente del Consiglio e della Repubblica, un rischio di “sbilanciamento” dei poteri, come paventa qualcuno?

Come dicevo, una contrarietà in astratto, per ragioni tecnico-costituzionali, non ha ragion d’essere. Il problema è, in concreto, verificare come il modello viene applicato e con quali garanzie. Ma questo ad oggi non lo sappiamo, perché la proposta non si conosce.

L’opzione “alla francese” è percorribile secondo lei nel nostro assetto istituzionale?

Restando sempre sul piano puramente tecnico-costituzionale, senza entrare nel merito politico della preferibilità o meno della scelta, non vedo ragioni per cui essa non sarebbe percorribile anche in Italia. Ci sono molti Paesi, a cominciare dalla stessa Francia, che sono transitati dalla forma di governo parlamentare a quella semi-presidenziale.

Il punto di caduta sarebbe quello che, stando alle ricostruzioni del costituzionalista Francesco Marini, prevederebbe un rafforzamento dei poteri del primo ministro. Di cosa si tratta?

Non conosco i dettagli delle dichiarazioni di Marini. In linea di massima l’approccio dovrebbe essere quello di partire dai problemi e trovare le soluzioni. Quali sono i problemi della forma di governo parlamentare italiana. Mi pare fondamentalmente siano due. Il primo è l’instabilità che produce ingovernabilità e discende dalla tradizione italiana di governi di coalizione, in cui l’esecutivo ha durata intollerabilmente breve ed è vittima dei conflitti interni alle coalizioni. Il secondo problema è che, questa instabilità produce l’effetto di avere più governi nel corso della legislatura, sostenuti da maggioranze spesso diverse l’una dall’altra e, soprattutto, che queste maggioranze sono politicamente estranee agli orientamenti manifestati dai cittadini in occasioni del voto. La questione dunque è se vogliamo continuare con un sistema in cui i cittadini hanno il ruolo di distribuire le carte, ma la partita poi la fanno i gruppi politici in Parlamento, oppure vogliamo un sistema in cui i cittadini, con il proprio voto possano propiziare la formazione di una maggioranza, dissolta la quale si torni dagli elettori

L’obiettivo di queste riforme è chiaro: garantire il più possibile la stabilità dei governi. Quale sarebbe, secondo lei, la strada tecnicamente più efficace?

L’instabilità è un problema drammatico. Perché con una durata media dei governi di un anno e qualche mese non è materialmente possibile affrontare le sfide di una democrazia avanzata. Anche perché chi sa che non durerà (è dal 1861 che va così) non ha incentivi a impegnarsi in grandi e complesse riforme. Si limita tutt’al più a gestire l’esistente e la congiuntura. Le strade possono essere varie per invertire questa tendenza. Io personalmente, e non da ieri, sono convinto che, per una serie di ragioni, il modello semi-presidenziale francese sia il più adatto all’Italia, soprattutto adesso che i grandi partiti di un tempo si sono praticamente dissolti. Ci possono essere altre soluzioni, come un premierato forte, purché sia chiaro, come dicevo prima, qual è l’obiettivo che si vuole perseguire. L’instabilità in Italia è figlia della inveterata abitudine a fare e disfare i governi in Parlamento senza ricorrere alle elezioni. Se si vuole che i cittadini contino di più e sentano di contare, bisogna cambiare schema. Fin quando chi causa la caduta dei governi, e magari propizia ribaltoni, non ha nessun disincentivo, non corre il rischio che si torni dagli elettori a cui spiegare il perché dei propri comportamenti, o addirittura viene additato come salvatore della Patria, non credo che possa cambiare molto.

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