Skip to main content

Seul e Tokyo si incontrano sotto l’ombrello di Washington

La deterrenza estesa contro Kim permette agli Stati Uniti di consolidare il legame con Corea del Sud e Giappone e di rafforzare le relazioni reciproche tra i due principali alleati nell’Indo Pacifico. Anche pensando alla Cina. Ma con Pyongyang si può trattare? “Dall’ottobre 2019 tutto tace”, risponde Frassineti (UniBo/Ispi)

Giappone e Corea del Sud si accorderanno all’inizio del mese prossimo per collegare i loro radar attraverso un sistema statunitense con cui condividere informazioni in tempo reale sui missili balistici lanciati dalla Corea del Nord. La notizia passata alla stampa delinea il collegamento che unisce Tokyo e Seul: le preoccupazioni dirette riguardo alle intenzioni di Pyongyang, l’assistenza di Washington, le iniziative competitive di Pechino.

Incontri in corso

Il passaggio in cui si definirà il funzionamento tecnico e politico del meccanismo dovrebbe avvenire a inizio giugno, quando i rappresentanti dei tre Paesi alleati si vedranno a margine dello Shangri-La Dialogue di Singapore (la conferenza sulla sicurezza organizzata dall’IISS ogni anno). Incrementare la condivisione di informazioni è uno degli obiettivi di interesse comune, con sudcoreani e giapponesi che vedono le esercitazioni nordcoreane come una minaccia nel loro diretto spazio geopolitico, e gli americani che cercano di gestire la situazione attraverso gli alleati.

D’altronde, i legami tra i due principali partner asiatici degli Stati Uniti si sono riscaldati negli ultimi mesi di fronte alla minaccia nordcoreana. Riprendendo la “diplomazia della navetta”, il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, ha incontrato domenica 7 maggio (per la seconda volta in due mesi) il presidente sudcoreano, Yoon Suk Yeol, a Seul. Un vertice a conferma dei progressi nella cooperazione in materia di difesa, ma anche di condivisione di tecnologia. Se la Corea del Nord è la questione contingente da condividere, sul tavolo del dialogo per superare le divisioni del passato (legate agli strascichi sulla fiducia reciproca prodotti dal colonialismo nipponico) c’è anche il confronto con l’espansionismo commerciale della Cina.

Washington apprezza

I grandi temi sul tavolo di Seul e Tokyo sono condivisi con Washington, che sta cercando di consolidare i legami con i propri alleati come parte della strategia totale nell’Indo Pacifico. Nelle scorse settimane Yoon è stato alla Casa Bianca, dove Kishida lo ha preceduto di pochi mesi. La visita del sudcoreano arriva da un periodo in cui la minaccia nucleare del Nord si è rapidamente evoluta, soprattutto da gennaio 2021 quando Kim Jong Un ha presentato il piano quinquennale per la difesa per rafforzare l’arsenale nordcoreano dal punto di vista quantitativo e qualitativo, spiega Francesca Frassineti, ricercatrice dell’Università di Bologna e di Ispi, esperta di penisola coreana e regione indo-pacifica.

Il 2023 è già un anno in cui il ritmo delle dimostrazioni militari del Nord è piuttosto alto, e quello che vediamo sembra essere la traduzione pratica della ‘lista dei desideri’ del satrapo Kim Jong Un, cioè quei progressi che vorrebbe vedere dall’annuncio del piano fino al suo compimento – nel 2026. I passi avanti fatti finora, come il lancio di missili da laghi sottomarini e da treni in corsa, confermano che l’interesse del regime sia quello di diversificare la gamma di sistemi di lancio rendendo di fatto la Corea del Nord un unicum rispetto alle potenze nucleari riconosciute a eccezione della Russia. Da ultimo, l’annuncio il 13 aprile scorso del primo missile balistico intercontinentale a propellente solido, un traguardo che Pyongyang stava inseguendo da molto.  

Narrazioni e interessi

“Se mettiamo insieme tutte queste novità, tese a rendere il deterrente nucleare più credibile agli occhi degli avversari, troviamo la peculiarità del programma nucleare e missilistico nordcoreano. La nostra tendenza è quella di ragionare in termini di economia di scala, ossia produrre una limitata gamma di sistemi d’arma per contenere i costi. Nonostante le risorse economiche siano estremamente limitate, Kim Jong Un mira ad avere il maggior numero di più opzioni possibile, come segnala anche la ripresa dei lavori al sito di Punggye-ri, dove da mesi tutto sembra pronto per un nuovo test nucleare”, spiega Frassineti.

Ma esiste lo spazio per negoziare con Pyongyang? “Da ottobre del 2019 il processo è sospeso – risponde Frassineti – Kim non mostra alcun interesse per le offerte di dialogo avanzate da Washington. A dispetto di questi inviti, l’amministrazione Biden non ha mai considerato il dossier nordcoreano come una priorità per la sua agenda di politica estera e Kim sta agendo pressoché indisturbato sfruttando i mutamenti nello scenario internazionale derivanti dalla competizione strutturale tra Stati Uniti e Cina e dall’aggressione russa all’Ucraina. Pechino e Mosca hanno fatto fronte comune in sede Onu e affossato le iniziative promosse dagli americani per condannare e rallentare l’attività missilistica nordcoreana. Nel caso in cui Pyongyang decida di effettuare il suo settimo test nucleare, si può facilmente intuire che la maggior parte delle analisi si concentrerà sulla risposta cinese e russa”.

Deterrenza e percezioni

Per l’esperta, oltre alle sfide alla stabilità regionale provenienti dalla Corea del Nord e dalla Cina, l’impulso ad approfondire il coordinamento tra Tokyo, Seoul e Washington è la risposta agli anni della presidenza Trump che ha rischiato di far vacillare la fiducia alla base del sistema di alleanze costruito dagli americani all’indomani del secondo conflitto mondiale, e per questo si torna a porre l’accento sul concetto di deterrenza estesa. Ankit Panda, uno dei massimi esperti mondiali del contesto nordcoreano, dice che la deterrenza è un “esercizio infinito di gestione delle percezioni”: è così? “È piuttosto vero per i sudcoreani, perché sia tra l’opinione pubblica sia tra la classe politica l’ipotesi che Seoul si doti di un arsenale nucleare autonomo non rappresenta più un tabù o una questione limitata alle frange più radicali dei conservatori, ma è diventato un discorso completamente mainstream”. A gennaio Yoon è stato il primo presidente sudcoreano in epoca democratica a suggerire una simile ipotesi provocando l’allarmismo americano. 

Washington ha dovuto fare passaggi significativi per rassicurare Seul e scongiurare una corsa agli armamenti: attività diplomatiche e pianificazioni militari per riaffermare la credibilità dell’ombrello nucleare. Per esempio sono state ripristinate le esercitazioni congiunte “Vigilant Storm” lo scorso anno,  l’accordo per inviare a rotazione sottomarini nucleari statunitensi nelle basi sudcoreane il mese scorso, maggiori movimentazioni dei B52 nelle basi dell’Indo Pacifico (per esempio Guam).

Seul e Tokyo: cooperazione Made in Usa?

L’amministrazione Biden ha esortato Corea del Sud e Giappone a trovare un accordo per collaborare nell’ambito  dei meccanismi di deterrenza estesa, e sembra che Yoon e Kishida stiano recependo questo invito. La Dichiarazione firmata da Biden e Yoon al termine della visita di stato del presidente sudcoreano è stata descritta come un “aggiornamento di software dell’alleanza piuttosto che di hardware”. Come spiega Frassineti “non si parla della possibilità che le armi nucleari tattiche americane tornino in Corea del Sud, ma piuttosto del coinvolgimento di Seul nei colloqui sul potenziale impiego di armi nucleari in scenari riguardanti la Corea del Nord, ma ciò non si traduce in alcun modo nell’obbligo per il presidente americano di consultare l’alleato”.

Però in Corea del Sud ci sono diversi politici di primo livello, molti dei quali papabili candidati conservatori alle prossime presidenziali, che vogliono rassicurazione sulla protezione americana e sono aperti a discutere del nucleare per Seul. Inoltre, gli alleati in Asia nordorientale pressano perché gli americani facciano con loro qualcosa di più simile a quello che fanno con gli amici Nato. Va anche aggiunto infatti che certe dinamiche sono in parte mosse dalla necessità/volontà di accontentare i desiderata di Washington per ottenere un maggiore tornaconto, ma altrettanto sono frutto di consapevolezze individuali dei singoli Paesi dell’Indo-Pacifico, che percepiscono il crescere della centralità della regione e vogliono avere un proprio ruolo.

Corea, Giappone, Nato

A proposito della Nato, Frassineti sottolinea come il crescente interesse a dialogare coi partner dell’Indo-Pacifico riconosca il valore strategico di quest’area per l’equilibrio e la sicurezza dei Paesi euro-atlantici – lo scorso anno Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea hanno partecipato per la prima volta a un summit Nato – e incontri la volontà di questi Paesi ad approfondire i legami con l’Europa, e diversi membri Nato per diversificare i partner commerciali e diplomatici. È in corso uno sforzo, spiega, “per mostrarsi come interlocutori credibili e affidabili e creare nuove opportunità di collaborazione al fine di ridurre la magnitudo delle logiche legate alla competizione strutturale tra Cina e Stati Uniti in particolare l’eccessiva esposizione alla coercizione economica di Pechino. La difesa e l’industria della difesa sono tra i principali settori coinvolti come dimostrano il programma Global Combat Air Programme che coinvolge Italia, Giappone e Regno Unito e l’accordo quadro tra Corea del Sud e Polonia”.

×

Iscriviti alla newsletter