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Modello regioni. Le riforme istituzionali secondo Lupi

Conversazione con l’esponente popolare della maggioranza: “Gli errori da evitare? Cercherei il metodo del dialogo ma non l’unanimità. Da un lato puntiamo a rafforzare in maniera chiara il potere dell’esecutivo a fronte di un utilizzo abnorme di decreti leggi, dall’altro i poteri di controllo vanno dati al Parlamento preferendo il modello governativo nelle regioni”

La riforma istituzionale in senso presidenziale è un acceleratore per dare ai governi una spinta oggettiva e dare seguito al programma elettorale. Lo dice a Formiche.net Maurizio Lupi, presidente di Noi con l’Italia e già ministro delle Infrastrutture che plaude all’iniziativa del governo di convocare le opposizioni e indica il passo successivo: ascolto, sintesi ma poi decisione.

La riforma istituzionale in senso presidenziale è un acceleratore per dare ai governi una spinta oggettiva e quindi dare seguito al programma elettorale?

Faccio una premessa: le riforme sono fondamentali per rafforzare le istituzioni e la democrazia. Quindi la riforma che stiamo pensando di fare va in quella direzione, perché o le istituzioni moderne sono in grado di rispondere alle esigenze delle sfide attuali, oppure si rischia di svilirle. Ho sempre preferito la riforma in senso presidenziale più che l’elezione diretta del Presidente della Repubblica che in questo momento secondo me va tutelato come forma di garanzia. Da un lato puntiamo a rafforzare in maniera chiara il potere dell’esecutivo a fronte di un utilizzo abnorme di decreti leggi, dall’altro i poteri di controllo vanno dati al Parlamento preferendo un modello su tutti.

Quale?

A me piace il modello governativo delle regioni: secondo me andare in quella direzione rafforza la democrazia, non la indebolisce. Credo che se la democrazia non sia decidente, ovvero se non siamo in grado di dimostrare che l’elettore sceglie e chi governa ha la possibilità di tradurre in azioni la fiducia che gli è stata data, si rischia poi di indebolire il legame tra elettori e istituzioni, come dimostra il fenomeno dell’assenteismo.

Il tavolo con tutte le forze politiche promosso da Giorgia Meloni che segnale è?

Un segnale doppio. Il primo è di tipo politico, mi riferisco alla volontà di questa maggioranza e non solo del governo di fare le riforme: noi intendiamo farle perché abbiamo cinque anni di legislatura davanti proprio per essere misurati sui fattori di cambiamento. Tra l’altro questa non è l’unica riforma che stiamo facendo: c’è quella del lavoro, quella fiscale e ci sarà quella della giustizia. In secondo luogo voglio sottolineare che, pur essendo un dovere politico della maggioranza andare nella direzione chiesta dai cittadini, il metodo non può che essere quello del dialogo, del confronto e dell’ascolto.

Fino a quando?

Proprio perché in materia di riforme costituzionali è necessario ascoltare e confrontarsi abbiamo scelto questa strada. Ma sarà poi compito della maggioranza fare la sintesi e io mi auguro che su questo punto ci sia un segnale preciso all’esterno: certamente valorizzare l’apporto di tutti, compresa la società civile che ascolteremo, ma con l’auspicio che non vi sia un pregiudizio o un preconcetto da parte delle opposizioni. Sono ben consapevole che ognuno farà la propria battaglia e darà il proprio contributo, ma mi auguro che si possano trovare dei punti di accordo.

Sul Fatto Barbara Spinelli, per criticare la riforma, osserva che la democrazia decidente è una trappola. Ma un governo che finalmente decide non è esso stesso il più alto frutto democratico, in quanto rispondente al mandato popolare ottenuto nelle urne?

Abbiamo appena festeggiato i 75 anni dalla prima Assemblea al Senato e abbiamo compreso quanto sia fondamentale questa democrazia che è nata dalla Resistenza e dal dopoguerra: noi abbiamo il compito di tutelarla. Vedo in questo un elemento importante da prendere in esame e da far apprezzare dai cittadini e dagli elettori: la democrazia è il bene più prezioso che abbiamo e per educarlo c’è la politica che, altro non è, se non il servizio alla comunità e al bene comune. Chi a distanza di 75 anni ha compreso che questa forma non è decidente allora non dà risposte. Sostenere che “tanto non cambia nulla” equivale all’anticamera della non-democrazia e il pericolo della democrazia è in chi dice “a questo punto prendiamoci l’uomo forte”. Sta a noi far capire che la politica è vicina ai cittadini nelle proprie debolezze, facendo capire loro che il voto espresso conta a tal punto che mette gli eletti nelle condizioni di poter governare.

Quali gli errori da evitare rispetto ai passati tentativi riformatori?

Io non farei troppi cambiamenti, mi concentrerei su alcuni passaggi essenziali. Faccio un esempio: mi muoverei passo dopo passo, ascolterei tutti e farei la sintesi. Ma poi direi con coraggio e con forza che esiste un segnale importante, che è quello determinato dal fatto che dopo dieci anni di non governo politico e quindi di governi non solo tecnici ma anche di governi tra virgolette di unità nazionale, per la prima volta c’è un governo politico. Mi chiedo: quale il dovere di un governo politico a proposito di democrazia? Quello di attuare i programmi per cui gli italiani lo hanno votato. Per cui il metodo del dialogo è corretto, e un momento dopo dobbiamo sottolineare che noi vogliamo assumerci la responsabilità, metterci la faccia e trovare le convergenze possibili. Ma poi decidere e andare avanti. Dunque cercherei il metodo del dialogo, ma non cercherei l’unanimità.

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