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Riforme e partecipazione democratica. I consigli di Bonanni

Se le riforme venissero impostate onestamente e animate dall’idea più elementare delle democrazie, ci si preoccuperebbe prima di tutto della partecipazione dei cittadini alla vita politica con partiti aperti, e rappresentanti del parlamento scelti direttamente dagli elettori per evitare cambi di casacca. Il commento di Raffaele Bonanni

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, sostiene di procedere sulle riforme istituzionali coinvolgendo il più possibile le forze politiche tutte, seppur potrà tirar dritta in caso di disaccordi. È convinta di rimediare a ogni malore che colpisce la governabilità del Paese. Pur di procedere ai cambiamenti, pare disposta a rinunciare persino alla elezione diretta del capo dello Stato, sua proposta originaria, per varare la riforma che consente l’elezione diretta del capo del governo, scansando l’opinione favorevole al mantenimento dell’attuale ordinamento della Presidenza della Repubblica, ritenuta una istituzione collaudata ed efficiente. In definitiva, si è convinta che votando direttamente il presidente del Consiglio dei ministri, le decisioni di governo saranno più pronte e veloci, la stabilità sarà assicurata, e così ne guadagnerebbe la governabilità.

Questa soluzione probabilmente potrebbe migliorare la governabilità, ma è bene mettere in guardia ciascuno a che non si pensi che la governabilità si ottenga a prescindere dalla salute del sistema dei partiti e da sistemi elettorali votati al coinvolgimento degli elettori, nella loro sacra libertà di scegliersi i loro rappresentanti di territorio per il parlamento.

Il piccolo cabotaggio all’italiana dei fantasiosi e fallimentari partiti della Seconda repubblica, spesso ha fatto leva su due fattori per convincere l’opinione pubblica alle riforme: la verticalizzazione e semplificazione della politica; la velocità delle decisioni. Nel corso dell’ultimo quarto di secolo per raggiungere il primo obiettivo, sinistra e destra hanno adottato il maggioritario ai danni del proporzionale e delle preferenze per la scelta dei parlamentari, trasformati sostanzialmente partiti rendendoli di proprietà di persone, o comunque consegnati a una cerchia ristretta di politici di professione personali, chiusi alla partecipazione dei cittadini in contrasto con il dettato Costituzionale. Quale stabilità può nascere da questa miserrima condizione?

E infatti, il bipolarismo coatto non produce coesione nemmeno tra forze politiche alleate, ed in conseguenza la metà dei cittadini non va a votare per delusione. La stabilità è progressivamente peggiorata a causa di alleanze arlecchino, e con elettori privati della scelta dei loro parlamentari da capi partito che ben volentieri li scelgono per la stabilità sì, ma per la loro. Quanto alla velocità delle decisioni, abbiamo tanti casi di decretazione scadente d’urgenza, da rimpiangere i periodi in cui le decisioni venivano più lungamente ponderate.

E allora se le riforme venissero impostate onestamente e animate dall’idea più elementare delle democrazie, ci si preoccuperebbe prima di tutto della partecipazione dei cittadini alla vita politica con partiti aperti, e rappresentanti del parlamento scelti direttamente dagli elettori per evitare cambi di casacca. Riformare questi aspetti certamente renderebbe più forte la Repubblica. Ci sono anche altri aspetti assai rilevanti che rendono malferme le fondamenta delle istituzioni. Soprattutto quelli dei poteri locali che andrebbero risistemate con grande vigore. Esse sono troppe e costose: regioni, alcune grandissime ed altre piccolissime, un numero esorbitante di comuni che andrebbero accorpati in comuni di area vasta, province senza senso che si vogliono resuscitare. Queste entità sono sovraccaricate di compiti e non controllate. Ma quello che è peggio che sono rette da una filosofia di fondo che li concepisce come fossero inquadrate in un ordinamento federale, con aggravi continui dei costi e dei contenziosi tra loro, e tra loro e lo Stato.

Si capisce allora del perché i “cacicchi” delle Regioni vogliono dotarsi di ulteriori poteri di autonomia regionale ed a resuscitare le province. Ed allora la domanda da porre prima di aprire la discussione per il premierato è: i quesiti su esposti sono compresi nel disegno che si intende perseguire? Sarebbe strano se non fosse così. Il paradosso sarebbe quello che gli elettori voterebbero il capo del governo ma non il proprio rappresentante territoriale in parlamento.

Si cercherebbe efficienza e riduzioni di costi e terremo in vita una pletora di enti locali e regioni che hanno più poteri e competenze degli Stati dei più grandi Stati federali del mondo. Si cercherebbe autorevolezza per la governabilità, senza però porsi il tema di come riportare al voto metà elettorato che diserta le urne, con più partiti non scalabili al loro interno che non collimano con la Costituzione, incapaci di assolvere il compito principe delle democrazie partecipative di consentire ai cittadini di impegnarsi per migliorare le condizione del proprio Paese.

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