Skip to main content

Il ruolo degli Stati nel mundus furiosus. La lezione di Tremonti

Al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri, Giulio Tremonti, presidente della Commissione Affari esteri della Camera dei deputati, ha tenuto un seminario partendo dal mundus furiosus, cioè dall’Europa del Cinquecento dopo la scoperta delle Americhe e l’avvento rivoluzionario degli sterminati spazi atlantici, per arrivare ad oggi. Ecco cosa ha detto

“Il ruolo degli Stati nel mundus furiosus” è il titolo del seminario tenuto da Giulio Tremonti, presidente della Commissione Affari esteri della Camera dei deputati, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.

Tremonti ha introdotto il tema soffermandosi sul significato della definizione “mundus furiosus”, citando un passo di un suo libro omonimo: “Così si chiamava l’Europa nel Cinquecento: mundus furiosus, dopo la scoperta delle Americhe e l’avvento rivoluzionario degli sterminati spazi atlantici, ma di nuovo furiosus è il mondo di oggi, dalla crisi della finanza alle migrazioni di massa, dalle macchine digitali che distruggono il ceto medio rubandogli il lavoro fino alle nuove guerre coloniali e alla rete, che nonostante le apparenze erode le basi della democrazia e della gerarchia, trasformandole in anarchia per nuovi emergenti tribuni politici”.

Il professore ha quindi citato Jake Sullivan, politico e funzionario statunitense, che si riferisce alla “crisi della globalizzazione”, fenomeno che avrebbe avuto origine nel 1989, anno della caduta del muro di Berlino e dell’avvento di internet.

La rete, generata ed occultata come arma della Nato, si è diffusa rapidamente fino a diventare l’alternativa ai tradizionali confini degli Stati. Ciò ha significato che, superati i territori, la nuova patria della politica e dell’economia del mondo sarebbe diventata la rete.

Tremonti ha poi ricordato l’articolo chiestogli dal Corriere della Sera per commentare la ricorrenza del bicentenario 1789-1989, rammentando come avesse proposto l’idea che il 1789 rappresentasse l’avvio delle assemblee nazionali quale luogo della nuova politica anche in concomitanza dei parlamenti nazionali e dei principi di “libertè, egalitè, fraternitè”.

In realtà, il paragone riguardava da un lato l’anno dell’inizio delle rivoluzioni parlamentari, identificato nel 1789, e dall’altro l’anno di avvio delle rivoluzioni extra-parlamentari, identificato nel 1989 e ricondotto alla fuoriuscita dai confini della ricchezza finanziaria destinata a materializzare la repubblica internazionale del denaro. Riprendendo il titolo che il Corriere della Sera diede all’articolo (“Una rivoluzione che svuoterà i parlamenti”), ha affermato che quanto dichiarato si è poi realizzato nel momento in cui siamo passati dai principi di “libertè, egalitè, fraternitè” a quelli di “globalitè, marchè, monnè”.

Un altro passaggio fondamentale della globalizzazione è rappresentato dall’accordo sul “World Trade Organization”, siglato nel 1994 a Marrakesh in Marocco, definito dal docente quale trattato politico alla base della globalizzazione e non trattato commerciale. Di base, questa tesi si fonda sull’idea che il mercato potesse funzionare come matrice della democrazia, della pace e del benessere per tutti.

La globalizzazione, avviata con il “World Trade Organization”, si è poi formalizzata nel 2001 con l’ingresso della Cina e dell’Asia nel Wto, per poi svilupparsi fino alla crisi del 2008, definita dal professore non come una crisi finanziaria ma una crisi economica e politica dagli effetti finanziari: “Una crisi della globalizzazione”.

Su questo punto Tremonti ha di nuovo ripreso le tesi di Sullivan, ponendo l’esempio delle conseguenze successive allo spostamento di uno stabilimento industriale in Asia, identificabili in un effetto di impoverimento dell’Occidente.

Quest’ultimo aspetto dimostra il fondamento delle tesi di Karl Marx relative alla competizione salariale internazionale, che spiegano la perdita di posti di lavoro della working class occidentale e l’allineamento dei salari su base asiatica a fronte di un invariato costo della vita.

L’effetto finanziario di questo processo viene individuato nell’intervento degli “swap in”, mezzi finanziari per compensare, con la finanza, la perdita dei compensi sul lavoro.

Detta ricostruzione porta al 2016, l’anno della pubblicazione del suo libro “Mundus furiosus”, in cui il modello della globalizzazione stava esaurendo il suo processo, coincidente con il periodo storico segnato dalle successive elezioni negli Stati Uniti con la vittoria dei repubblicani, con il presidente americano che ha bloccato lo scivolamento dell’America verso l’Asia.

Lo slogan: “America First, America great again”, rappresentava il passaggio politico di tipo globale a un sistema politico reattivo e difensivo.
A  proposito ha fatto riferimento anche alla frase pronunciata a Berlino dal presidente americano Barack Obama, che nel 2016 a ridosso della vittoria repubblicana e a proposito della crisi della globalizzazione, disse: “Non è la fine del mondo ma la fine di un mondo, di quello globale. La globalizzazione si sviluppa come un’ideologia e non è imperniata solo sul commercio, sui traffici, sul profitto. È un’ideologia dell’uomo nuovo che entra nel mondo nuovo e lo costruisce con un suo sistema di regole. Non abbiamo il passato ma abbiamo il futuro”.

Infine, riflettendo sullo sviluppo che ha avuto la globalizzazione per due e decadi condizionando in maniera importante le nostre vite e la struttura del mondo, il professore ha evidenziato lo stretto lasso temporale che racchiude un così enorme cambiamento e che viene delimitato da alcuni eventi importanti a partire dalla caduta del muro di Berlino alla sigla del World Trade Organization. Ciò sembra aver generato delle piaghe che ancora oggi ci trasciniamo quali quelle climatiche, economiche e sociali.

Tremonti ha concluso con l’auspicio del ritorno a un sistema di regole, di “global legal standard” e con una ulteriore importante riflessione: “La democrazia è un processo che parte dal basso verso l’alto e richiede tempo. Il futuro dell’Europa è nel dialogo e nel riconoscimento dei diritti. Non si può avere un futuro totalmente distaccato dalla tradizione e dalla famiglia”.


×

Iscriviti alla newsletter