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La Cina è un problema anche per l’Italia. Parla il dissidente Samuel Chu

Il dissidente di Hong Kong ricercato dalla Cina spiega in un incontro a cui ha partecipato Formiche.net che l’atteggiamento di Pechino è diventato un problema rispetto ad anni fa. E su questo occorre acquisire consapevolezza e serve un dibattito trasparente

Per Samuel Chu, viaggiare tra le città di Paesi come l’Italia è un modo per continuare non solo a raccontare la sua storia, ma anche di parlare di un problema che si chiama “Cina”. Chu ha una pagina Wikipedia ricca di impegni nel mondo dell’emancipazione dei diritti pro-democrazia, è un attivista di origine hongkonghese basato negli Stati Uniti e per il suo coinvolgimento in temi poco graditi al Partito comunista cinese, e per i suoi contatti internazionali, è ricercato dalla Repubblica popolare. Contro di lui, due anni fa, scattò la mannaia della legge per la sicurezza nazionale con cui Pechino obliterava definitivamente il concetto di “Un Paese, due sistemi” su cui si basava l’handover con cui Londra affidava il futuro della città-Stato alla Cina.

Chu, 42 anni, è fondatore e amministratore delegato dell’Hong Kong Democracy Council, con sede a Washington, che ha lavorato per sensibilizzare i media internazionali sull’erosione delle libertà democratiche nell’ex colonia britannica. Chu è stato tra i primi cittadini stranieri a cui la legge si è rivolta; “un banco di prova” si definiva. La Cina, diceva, “sta inviando una minaccia agli abitanti di Hong Kong: se avete legami [con me], potreste essere coinvolti”. Formiche.net lo ha incontrato in Italia, dove Chu era ospite di un evento organizzato dall’ambasciata statunitense, per parlare, attraverso la sua esperienza, dei comportamenti coercitivi cinesi.

L’attivista ha spiegato che attualmente il suo lavoro non è “focalizzarsi sui diritti umani” soltanto, ma “sulla Cina” in generale. Pensando alla trama di penetrazioni e investimenti che Pechino ha costruito in varie regioni del mondo, Chu sostiene che occorra “aiutare a fare più buchi possibili e vedere dove la gente si sveglierà per dire che forse è quello che è successo nel 5G e in Huawei che conta”. “So che l’Italia ha un proprio dibattito in questo momento sulla Belt & Road Initiative”, continua parlando a proposito del rinnovare – o meno – il memorandum di intesa con cui nel 2019 venne siglata l’adesione italiana all’infrastruttura geopolitica cinese.

Per quanto noto, la discussione è in corso all’interno del governo Meloni, dove si stanno valutando i possibili effetti di una scelta che secondo alcuni lati dell’esecutivo sarebbe già dettata: non rinnovare l’adesione, che nei fatti non ha portato i successi auspicati. “Non si tratta di demonizzare un Paese o un gruppo di persone, ma di essere disposti a parlare in modo sincero, onesto e trasparente di ciò che stiamo affrontando. E credo che questo sia il punto”, spiega Chu – secondo cui questo “risveglio”, un aumento di consapevolezza riguardo agli interessi e alle ambizioni cinesi, potrebbe essere anche legato all’invasione russa dell’Ucraina.

Perché? “Perché fornisce uno dei più vigorosi campanelli d’allarme”, dato – spiega – che l’Europa ha scoperto il rischio di avere una dipendenza strategica, quella energetica dalla russa, con la consapevolezza che se Mosca avesse chiuso i rubinetti del gas da un giorno all’altro gli europei avrebbero avuto pesanti riduzioni delle forniture. “Ma credo – dice Chu – che fino agli ultimi anni non ci sia stata una valutazione chiara, onesta e trasparente degli investimenti cinesi e che, intenzionalmente o meno, si sia trascurato il fatto che come tutti sappiamo, in Cina non esistono aziende private. Quando entrano e comprano le vostre infrastrutture e possiedono la vostra azienda energetica, non si tratta di un interesse privato”.

In Cina il concetto di privato è quasi inesistente, con il Partito che ha vari strumenti per partecipare alle attività delle aziende, o di controllarle. Chu racconta di essere appena arrivato dal Portogallo, e aggiunge di aver osservato con i portoghesi che “forse non è una buona idea che una società statale cinese possieda la vostra rete elettrica, è come se ci fossero delle conseguenze e un effetto che permea tutto il sistema”, facendo riferimento al ruolo centrale che aziende cinesi hanno raggiunto nella Energias de Portugal. Ma aggiunge anche durante i suoi viaggi più recenti ha iniziato a notare un aumento della consapevolezza sui potenziali rischi legati all’eccessiva esposizione alla Cina.

Il problema oggettivo è anche che la Commissione europea non è dotata di un quadro giuridico per “proteggere” gli interessi comuni dell’Ue e creare sistemi di screening degli stessi. La discussione è in corso, inserita tra i punti di un Work Programme della Commissione per il 2023, ma – sebbene in generale l’umore nei confronti della Cina stia cambiando come nota l’attivista hongkonghese – molti Paesi sono restii a usare misure troppo ruvide con Pechino.

“Penso che lentamente certe questioni stanno prendendo spazio nell’attenzione” europea, fa notare comunque Chu, il quale sottolinea sotto quest’ottica anche l’avvio del dibattito sulla possibilità di inserire nel prossimo pacchetto sanzionatorio contro la Russia strumenti per colpire chi aggira le sanzioni – come alcune società cinesi. Secondo le ultime informazioni, l’ultima bozza (a cui si riferisce Chu) è stata comunque modificata e si dovrebbe raggiungere l’intesa sulla possibilità di inserire intanto un “warning”, un’avvertimento pre-sanzionatorio prima di vere e proprie misure.

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