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Gli F-16 e i rapporti di forza in Ucraina. Scrive Jean

Consentire la consegna a Kyiv di F-16 da parte di altri Paesi che sostengono la resistenza ucraina rappresenta un nuovo cauto passo di Washington per ribadire con progressività il suo sostegno a Kyiv, un grosso successo politico per Zelensky e un ottimo tonico per il morale della popolazione e dell’esercito ucraino. L’analisi del generale Carlo Jean

La decisione di consentire la consegna a Kyiv di F-16 da parte di altri Paesi che sostengono la resistenza ucraina, ma non di quelli in servizio nelle forze americane, rappresenta un nuovo cauto passo di Washington per ribadire con progressività il suo sostegno a Kyiv, evitando eccessivi rischi di escalation e mantenendosi aperta la possibilità di nuove mosse, ad esempio della consegna di propri F-16.

Evidentemente, si tratta di una valutazione politica basata sulla previsione della presumibile risposta del Cremlino, più che sull’impatto che la disponibilità di F-16 avrà sulle capacità operative di Kyiv. Si tratta di una ripetizione di quello che è stato il comportamento americano nel sostenere la resistenza ucraina. È stato sempre graduale, con il trasferimento di sistemi d’arma sempre più potenti e con maggiore gittata, come nei casi dei cannoni da 155 mm, poi dei lanciarazzi multipli e, successivamente, ancora dei carri armati. Probabilmente tale gradualità deriva sia dal timore di provocare un crescendo da parte del Cremlino, sia reazioni negative nella propria opinione pubblica e negli alleati. Penso che Washington tema le seconde più della prima. Comunque, il provvedimento annunciato al G-7 parla solo di autorizzazione alla consegna a Kyiv degli F-16 e dell’addestramento di piloti e tecnici (per un’ora di volo – un aereo di quarta generazione come l’F-16 richiede 50 ore di lavoro a terra). Non si sa chi fornirà gli aerei, né quando né quanti verranno dati all’Ucraina che ne chiede 200, un numero cioè pari a quelli che aveva prima del conflitto (la Russia ne dispone di quasi 2.000). L’autorizzazione di Washington di dare all’Ucraina aerei costruiti negli Usa, comporta il divieto di impiegarli in attacchi sul territorio russo.

La decisione americana può essere derivata da vari motivi. Primo: ribadire ancora una volta, alla presunta vigilia della controffensiva ucraina, l’intenzione degli Usa di sostenere l’Ucraina, finché la Russia sarà indotta a trattare alle condizioni di Kyiv. Certamente Biden conta al riguardo sul fatto che la neutralità del Sud Globale – che in realtà è equivalsa al suo sostegno a Mosca – incomincia a scricchiolare, come si è visto con l’India al G7. Inoltre, con la conferenza di Xian fra la Cina e i cinque Stati dell’Asia Centrale, la Russia ha preso atto che Pechino – “alla faccia” dell’amicizia senza limiti – sta erodendo lo spazio d’influenza russa, dando loro garanzie di sicurezza, evidentemente contro ingerenze di Mosca.

Continuando così, la Russia diverrà vassallo della Cina, che sta forse coordinandosi con gli Usa per far cessare in qualche modo il conflitto in Ucraina. Senza una netta vittoria dell’“operazione militare speciale”, Putin può incominciare a sentirsi perduto. La decisione degli F-16 potrebbe costituire un’ulteriore “spinta” per ammorbidirlo. Terzo, il motivo della decisione di Biden può essere letto come una preparazione per le trattative del post-conflitto. Il loro elemento essenziale consisterà nelle garanzie di sicurezza fornite all’Ucraina contro una ripresa dell’aggressione russa.

La logica seguita al riguardo potrà essere di due tipi. Innanzitutto, l’ammissione in qualche modo informale dell’Ucraina alla Nato. Malgrado tutte le possibili acrobazie diplomatiche, fatte per mascherare la realtà, penso che la soluzione sia inaccettabile per Mosca. La seconda consisterebbe in un forte riarmo di Kyiv, tale da metterlo in condizioni di difendersi da solo in caso di ripresa dell’aggressione russa per un tempo adeguato a consentire la mobilitazione di una coalizione internazionale per sostenerlo. Per inciso, è la soluzione suggerita da Antony Blinken, il Segretario di Stato americano ed è quella che sarebbe più accettabile anche in caso di una soluzione coreana, di congelamento del conflitto. Una componente aerea sarebbe assolutamente indispensabile. La larga diffusione dell’F-16 aereo e il fatto che è in corso di sostituzione con aerei di 5° generazione, permette di prevederne una larga disponibilità per trasferirli all’Ucraina a costi ragionevoli.

Gli F-16 non potranno invece significativamente modificare entro l’anno le sorti del Ucraina. Ciò non deriva solo e, neppure tanto, dai tempi perché divengano operativi (è stato suggerito da 2 a 4 mesi per i piloti e almeno 6 mesi per il supporto logistico), quanto perché il loro numero che non supererà di molto – nel stico – un centinaio di esemplari di tale velivolo multiruolo. Nel breve-medio periodo potranno rappresentare una minaccia per il ponte di Kerch e per le navi russe nel Mar Nero, ma non ridurranno significativamente gli attacchi missilistici, molto più di quanto già fanno le difese controaeree ucraine. Impossibile sarà per l’aeronautica ucraina acquisire la superiorità aerea, essenziale per avere un impatto decisivo sul combattimento terrestre. L’Ucraina non potrà attaccare le basi aeree, che sono in territorio russo. Inoltre, la loro azione sarà contrastata dalla poderosa contraerea russa, che si avvale di mezzi modernissimi come gli S-400.

Per valutare l’efficacia del trasferimento degli F-16 contro le unità russe, a parer mio un interessante paragone può essere effettuato con i risultati conseguiti sulle forze serbe in Bosnia-Erzegovina e, soprattutto, nella guerra del Kosovo. In quest’ultima, in 78 giorni di attacchi, la Nato – con 720 aerei Usa e oltre 300 di altri Paesi dell’Alleanza – effettuò circa 27.000 sortite, di cui 7.000 di attacco e bombardamento. La priorità non fu data agli obiettivi militari a cui vennero grosso modo dedicate 2-3.000 sortite, anche per la decisione di Clinton di effettuare una campagna “air-only”. A parte l’Aeronautica serba, i cui Mig-29 e Mig-21 furono distrutti per il 70 e il 40%, l’esercito – postosi al riparo negli abitati e nei boschi – subì perdite irrilevanti (le ho potute rilevare come derelict equipments essendo stato personalmente responsabile dell’Arms Control previsto dagli accordi di Dayton per la ex-Jugoslavia). Si trattò di 14 carri armati, 21 veicoli corazzati e 27 fra mortai e artiglierie, verificati con una certa sorpresa dopo che era stata annunciata la distruzione di 550 mezzi. L’effetto maggiore consistette nell’indurre i serbi a limitare i loro movimenti, senza peraltro far loro cessare gli attacchi e persecuzioni alla popolazione kosovara. Quando Belgrado decise di arrendersi, l’esercito si ritirò dal Kosovo in buon ordine.

Insomma, se l’impatto politico della decisione sugli F-16 è rilevante, quello operativo lo è molto meno. Rappresenta comunque un grosso successo politico per Zelensky e un ottimo tonico per il morale della popolazione e dell’esercito ucraino. Per garantirsi la continuità del sostegno occidentale – specie in prospettiva di una possibile elezione di Trump alla presidenza degli Usa – Kyiv ha disperato bisogno – come d’altronde lo ha anche Putin – di un successo nel combattimento terrestre, che resta decisivo. Essenziale al riguardo è l’afflusso di munizioni.


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