La qualità paradossale del rapporto tra santità e politica rivela una reciproca coimplicazione dell’una nell’altra. Pubblichiamo un estratto dal volume “Pienezza di vita. Teologia a partire dai vissuti credenti” a firma di don Massimo Naro, con la presentazione del cardinale Marcello Semeraro, pubblicato da Edizioni Studium
Il tema che qui tento di trattare è vasto e complesso. Esso si rivela ancora più arduo quando viene formulato con le parole − icastiche e perentorie − del titolo di questo capitolo.
In realtà, santità e politica diventano entità astratte se non ci si riferisce ai santi e ai politici. Per questo, per sviluppare il tema, si dovrebbe piuttosto parlare di coloro che hanno sperimentato, nella loro personale biografia, la difficoltà di coniugare insieme le due dimensioni. Per limitarci all’Italia contemporanea, per esempio, dovremmo prendere in considerazione personalità come quelle di Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti e, in particolare, Giorgio La Pira. Ciascuno di loro, al contempo, interprete della spiritualità cristiana – tanto che è in corso il processo canonico per il riconoscimento ecclesiale della loro santità – e della vita politica in Italia, a dimostrazione del fatto che santità e politica esistono solo quando sono incarnate e impersonate da qualcuno, e stanno in rapporto solo quando esse s’impastano inestricabilmente nel vissuto degli esseri umani […].
Occorre però sottrarre questa affermazione al carattere indefinito e vago che essa, nella sua (apparente) acritica sicumera, rischia di avere. Per riuscirvi è utile problematizzarla, apponendo un bel punto interrogativo al nostro titolo: «Santità e politica: binomio possibile?». Il punto interrogativo vuole far emergere la qualità non evidente, non ovvia, non scontata dell’esperienza credente, all’interno della quale due prospettive ben marcate come la santità e la politica si incontrano e s’intrecciano. Davvero, dunque, la santità e la politica possono stare insieme? Non sono esse due misure troppo eterogenee? Non rischiano di risultare reciprocamente incompatibili? Non percepiamo un’incolmabile distanza e, anzi, un sotteso dissidio tra di esse?
Il tenore problematico del nostro titolo non deve comunque inibirci: ci deve piuttosto mettere nella disposizione di guadagnarci la risposta (positiva) che il punto interrogativo mette in forse ma non esclude.
Un primo passo verso tale risposta è dato dalla comprensione di cosa sia un binomio. I matematici ci direbbero che il binomio è la somma algebrica di due monomi. Il monomio, a sua volta, è un’espressione algebrica costituita da un numero e da una variabile o da una costante indicate con una lettera dell’alfabeto. I due monomi devono essere diversi: per esempio, 2a + 2b; non invece 2a + 2a, altrimenti questi due monomi ne costituirebbero subito un unico: 4a, e il binomio non ci sarebbe più. Il binomio, dunque, è possibile solo quando le misure di cui si compone sono differenti, anche radicalmente differenti, tanto da non potersi confondere: esse stanno insieme, si intrecciano l’una all’altra, senza però dismettere i loro propri connotati: la a è e rimane a e la b è e rimane b.
A questo punto, sapendo cos’è un binomio, possiamo legittimamente attenderci che la risposta al nostro tremendo interrogativo (santità e politica: binomio possibile?) sia effettivamente positiva: la santità e la politica possono stare insieme, formando un binomio, proprio in forza della loro differenza.
Ma non c’è, a mio parere, soltanto la definizione matematica stricto sensu del binomio, che come tale ci incoraggia a rispondere positivamente all’interrogativo postoci circa il rapporto tra santità e politica. Ci può essere anche una definizione del binomio formulata immaginando che il suo etimo non sia esclusivamente latino (binominis, con due nomi) bensì ibrido, per metà latino e per metà greco: bi-nomio (bis–nomos), doppia-legge, doppia-regola, l’una normativa per l’altra e viceversa. In questo caso emergerebbe un alto tasso di problematicità: la santità può davvero essere normativa per la politica e, viceversa, la politica può esserlo per la santità?
Se prendiamo sul serio questa domanda, imbocchiamo un sentiero che via via può indurci a fare altri importanti ritocchi al nostro titolo: santità e politica costituiscono un binomio non solo possibile, ma persino necessario, nel senso che se esse vogliono confrontarsi e stare in rapporto, allora devono accettare il peso della loro differenza, lasciandosi costantemente interpellare e fors’anche inquietare l’una dall’altra. E tuttavia, alla fine, ci si dovrà rendere consapevoli che santità e politica costituiscono un binomio solo possibile, cioè non scontato, non ovvio, ogni volta sudato e faticato, messo in pericolo dalla stessa differenza che c’è e rimane tra santità e politica e che, comunque, non può cessare d’esserci perché è costitutiva del loro rapporto.
Si vede bene che questo modo di pensare il rapporto tra santità e politica non è freddamente matematico. È piuttosto paradossale. Il paradosso, parente stretto dell’ossimoro, è una figura retorica che spesso rischia di essere confusa con la contraddizione. Il paradosso, in verità, non è una contraddizione.
La contraddizione è costituita da due proposizioni o da due realtà che per la loro radicale diversità si elidono a vicenda: delle due, soltanto una può rimanerne, se non capita addirittura che esse si annullino reciprocamente. Per esempio: la vita e la morte, ce lo ha insegnato Epicuro, si escludono a vicenda, perché quando c’è la prima la seconda ancora non è sopraggiunta e quando questa arriva la prima non c’è più. Uno non può vivere e, al contempo, esser morto. La vita, per essere vita, deve escludere la morte; e la morte, per essere morte, deve escludere la vita. Ciascuna, per essere ciò che dev’essere, deve rimanere confinata nel proprio ordine.
Il paradosso, invece, è costituito da due proposizioni o da due realtà radicalmente diverse che però si esigono a vicenda: esse non solo non si escludono, ma per essere (e per essere vere) devono continuamente fare riferimento l’una all’altra. Gesù di Nazaret, superando la lezione di Epicuro, ha predicato che chi tenta di conservare la propria vita la perde e chi la regala, invece, la possiede ancor di più; con la sua stessa Pasqua, ha mostrato che vita e morte non si escludono più e che quando uno muore consegnandosi a Dio in realtà accede alla vita per sempre.
La qualità paradossale del rapporto tra santità e politica, dunque, rivela una reciproca coimplicazione dell’una nell’altra: dovremo cioè arrivare a dire che si può essere santi in politica e, al contempo, che si può essere politici dotati di una reale attitudine alla santità. La santità infatti non è un’astrazione angelica: essa necessita di situarsi nell’orizzonte terreno della città, della convivenza degli esseri umani; e la politica, per parte sua, non è un valore assoluto, ma ha bisogno di radicarsi e di ancorarsi a ciò che precede e supera l’orizzonte della città e della convivenza degli uomini.