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Dal mattone all’atomo. La Cina scommette (e rischia) ancora

Dopo il clamoroso fallimento del mercato immobiliare, eletto da Pechino a motore della crescita ma imploso sotto il peso del debito, ora il Dragone punta a un mercato dell’energia nucleare da mille miliardi di yuan​ per recuperare la crescita perduta. Ma non ha fatto i conti con la dipendenza da Paesi terzi

Una Cina decisamente atomica. Nei sogni di grandezza del Dragone c’è anche l’energia nucleare, che Pechino vuole trasformare in un mercato da 1000 miliardi di dollari entro il 2025. Ma il rischio, non sarebbe la prima volta, è quello di fare i conti senza il classico oste. Un film già visto nella Repubblica Popolare, con gli investimenti forsennati nel mercato immobiliare, poi rivelatisi una trappola mortale per il debito nazionale.

Ora la possibile mina si sposta sul terreno dell’energia nucleare. Secondo un recente rapporto della China nuclear energy association (Cnea), Pechino intende ritagliarsi un mercato da mille miliardi di yuan per le tecnologie nucleari con finalità civili nei prossimi due anni. Oltre agli usi militari ed energetici, nel Partito c’è la convinzione che i progressi nucleari abbiano il potenziale per essere un motore più grande per la crescita economica attraverso un uso più ampio in campo medico, industriale, di protezione ambientale e in altre aree civili. Come a dire, fallito il tentativo con il mattone, si gioca la carta dell’atomo.

Raggiungere l’obiettivo di 1 trilione di yuan (141 miliardi di dollari) entro il 2025 farebbe insomma progredire ulteriormente il fiorente mercato atomico, il cui valore di produzione è passato da 300 miliardi di yuan nel 2015 a 700 miliardi di yuan nel 2022, pari allo 0,57% del Prodotto interno lordo cinese dello scorso anno. L’utilizzo dell’energia nucleare in Cina è cresciuto rapidamente da quando è entrato in funzione il primo reattore, Qinshan 1, nel 1991. Attualmente sono 55 i reattori operativi per una capacità di 57 GWe, mentre altri 22 reattori sono in costruzione per un totale di 26 GWe, tutti da ubicare in 19 siti. Seguendo questa traiettoria, la Cina supererà presto la Francia, che ha attualmente 56 reattori operativi, diventando la nazione con il secondo maggior numero di reattori nucleari dietro gli Stati Uniti, che ne contano 93.

Questa fonte di energia svolge un ruolo importante nella strategia energetica della Cina, soprattutto nelle zone costiere, dove l’economia si sta sviluppando rapidamente. Per la loro natura, infatti, le centrali nucleari possono essere costruite vicino ai centri di domanda, a differenza dei siti eolici e idroelettrici che spesso sorgono più lontano rispetto a dove l’energia è consumata. Ma, attenzione, bisogna saperli fare bene i conti quando si parla di investimenti, soprattutto strategici.

Lo stesso rapporto della Cnea ha messo in guardia Pechino, osservando come la Cina dipenda ancora pesantemente dalle importazioni per le attrezzature di alto livello e i materiali chiave, il che significa che sono necessari maggiori investimenti e innovazione per migliorare l’autosufficienza del Paese nel settore. Tradotto, ad oggi il Dragone può contare quasi essenzialmente su forniture terze. Le quali, in un mondo globalizzato, sono legate ai prezzi del mercato, sotto pressione a causa dell’ondata inflattiva globale. Insomma, l’obiettivo dichiarato del Paese è quello di diventare indipendente non solo nella realizzazione delle centrali nucleari, ma anche nella produzione di combustibile per tali centrali. Ma ancora oggi il Paese si affida a fornitori stranieri, per esempio, per l’approvvigionamento di uranio.

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