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Landini, quando un sindacato pretende che sia lo Stato a tutelare la contrattazione collettiva

La linea di condotta della Cgil si caratterizza da tempo attraverso la segnalazione di problemi in termini generali e l’attesa delle risposte del governo, come se le soluzioni dovessero passare da lì. A seguire il ragionamento di Landini si direbbe che il sindacato rinuncia al suo ruolo di autorità salariale per affidarlo alle politiche pubbliche. Il commento di Giuliano Cazzola

Maurizio Landini non è certamente un innovatore, ma è certamente un portatore di novità, nel senso che dalla sua fervida meditazione intellettuale il governo, le controparti, i lavoratori e l’opinione pubblica (con Landini i media sono generosi ed ospitali) devono sempre aspettarsi qualche idea originale.

Dopo l’incontro di martedì scorso con un’ampia delegazione del governo guidata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il giudizio di Maurizio Landini è stato molto più critico di quello espresso dalla delegazione della Cisl. Il segretario Luigi Sbarra ha infatti dichiarato: “Incontro molto importante, capitalizziamo due mesi di mobilitazione che avevano l’obiettivo di riannodare i fili del dialogo con il Governo su aspetti di grande priorità. La Presidente del Consiglio si è impegnata per tavoli di confronto’’.

Certo, è facile lamentarsi di tavoli che generano tavoli. È stato così da anni con tutti i governi che si sono succeduti. Ma non si può negare che nelle due ultime leggi di bilancio (la prima del governo Draghi, la seconda dell’attuale esecutivo) la Cisl ha individuato contenuti da valorizzare e da attribuire all’iniziativa sindacale, mentre Cgil e Uil hanno scioperato.

È altrettanto facile per Landini evidenziare che il governo non ha dato risposte alle richieste delle confederazioni. Ma solo l’opportunità di non irritare gli interlocutori ha impedito a Meloni di rispondere che la genericità della piattaforma sindacale rendeva molto arduo, se non impossibile, per il governo, esprimersi sui contenuti; da qui l’esigenza di approfondimenti di merito, seri e impegnativi.

La linea di condotta della Cgil si caratterizza da tempo attraverso la segnalazione di problemi in termini generali e l’attesa delle risposte del governo, come se le soluzioni dovessero passare da lì ovvero dall’azione dell’esecutivo sul versante delle politiche fiscali e sociali. Per certi versi potrebbe essere un passaggio virtuoso in grado di scongiurare una rincorsa dei salari all’inflazione (che non si è verificata come ha attestato nelle sue Considerazioni finali il Governatore Ignazio Visco). Ma a seguire il ragionamento di Landini si direbbe che il sindacato rinuncia al suo ruolo di autorità salariale per affidarlo alle politiche pubbliche.

“Abbiamo posto come tema urgente la questione salariale”, ha affermato dopo l’incontro il leader di Corso d’Italia. “Chiediamo di rendere strutturale per il prossimo anno la riduzione del cuneo, introdurre il fiscal drag per aumentare le detrazioni e poi c’è il tema di rinnovare i contratti nazionali. Al governo abbiamo chiesto di mettere le risorse per i rinnovi di tutto il settore pubblico e fare un provvedimento nel privato: quando non vengono rinnovati i contratti non vanno elargiti incentivi, non bisogna dare la possibilità di partecipare agli appalti’’.

Quest’ultima richiesta riguardante i contratti del settore privato entra a far parte delle “novità’’ di Maurizio Landini; ma è un’operazione improponibile, perché non è consentita una forma sia pure indiretta per obbligare le aziende non solo a contrattare, ma anche a stipulare i rinnovi. La controparte datoriale potrebbe ritenere che le richieste dei sindacati sono insostenibili e legittimamente sottrarsi al negoziato conclusivo. A chi attribuire, in questo caso, la responsabilità della vacanza contrattuale? Lo Stato deve curarsi che le aziende beneficiarie di fondi pubblici rispettano le norme contrattuali stipulate secondo la formula classica delle organizzazioni comparativamente più rappresentative, ma non possono essere obbligate, nei fatti, ad accettare le condizioni poste dai sindacati.

In conclusione, il leader della Cgil rivendica, allo scopo di superare i c.d. contratti pirata, l’approvazione di una legge sulla rappresentanza. Questa storia dei contratti pirata è usata con toni allarmistici esagerati. Andiamo a leggere il report della Fondazione Di Vittorio sulla contrattazione collettiva. In Italia “sono 16,6 milioni i lavoratori pubblici e privati, agricoli e domestici esclusi, complessivamente tutelati dai contratti collettivi nazionali di lavoro, e altri 251 mila sono i lavoratori pubblici in regime di diritto pubblico coperti direttamente per legge. Di questa platea risulta coperto dai contratti firmati da Cgil, Cisl, Uil, rispettivamente il 97% dei dipendenti privati e il 99,3% dei dipendenti pubblici’’. Sono, però, 992 Ccnl vigenti, e solo un quarto è siglato da Cgil, Cisl, Uil.

La moltiplicazione dei Ccnl interessa un numero esiguo di dipendenti. Dalla elaborazione dei dati Cnel-Inps relativi ai 434 Ccnl e ai 12.914.115 lavoratori, emerge come 162 contratti (37,3%) firmati dalle maggiori organizzazioni sindacali confederali coprano 12.527.049 lavoratori (97,0%) e 272 contratti (62,7%) firmati solo da altre organizzazioni sindacali coprano 387.066 lavoratori (3,0%). Un problema, ma non un dramma. Molto più seria la questione del rinnovo dei contratti scaduti. Sono 591 i contratti nazionali scaduti al 31 dicembre del 2022, che riguardano circa 7 milioni di lavoratori. Entrando nello specifico di alcuni contratti in cui è più alto il numero degli attivi coinvolti, sono tre milioni gli addetti e le addette di turismo, commercio e ristorazione a restare in attesa del rinnovo.

Il problema delle procedure di rinnovo è di competenza delle parti sociali. Lo storico protocollo del 1993 stabilì delle scadenze precise che hanno reso fisiologico il rinnovo dei contratti. Mentre il contratto della vigilanza pecora nera, cattivo esempio per eccellenza di questo andazzo, è scaduto da sette anni e per la sezione servizi fiduciari prevede una paga media di 5,5 euro l’ora. C’è però l’esigenza di rivedere una struttura della contrattazione collettiva di categoria pletorica, praticamente tuttora quella ereditata dal periodo corporativo. Lo stesso Landini lo ha riconosciuto in sede di relazione del XIX Congresso: “C’è bisogno di allargare i campi di applicazione dei Ccnl, riducendone il numero agendo sulle sovrapposizioni dei perimetri contrattuali’’. Si è consapevoli, infatti, che le aziende hanno la possibilità di ridurre i costi anche transitando dall’applicazione di un contratto ad un altro nell’ambito di quelli stipulati da Cgil, Cisl e Uil.

Poi non poteva mancare la precarietà: “Il livello di precarietà non è più accettabile – ha detto Landini – non si può tollerare che 120.000 giovani all’anno vadano a vivere e lavorare da un’altra parte. Per intervenire davvero occorre cambiare le leggi sbagliate degli ultimi anni, come il Jobs Act”.

A parte il fatto che non sono 120mila i giovani che emigrano ogni anno, ma questo fenomeno è serio e grave anche perché coloro che se ne vanno sono in larga misura laureati. Il loro trasferimento all’estero non è dovuto alla precarietà, ma alle possibilità di carriera e di realizzazione professionale; non certo alle leggi sul lavoro dei Paesi ospiti. Il rapporto 2022 degli italiani nel mondo traccia un bilancio equilibrato di una Italia interculturale in cui l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (oltre 5,8 milioni).

Quanto ai contratti a termine, il cruccio di Landini, a difendere l’Italia ci ha pensato la ministra Yolanda Diaz del governo Sanchez. Secondo Diaz la riforma del lavoro in Spagna “ci permette di avere un record di iscrizioni alla previdenza sociale, più lavoro dipendente che mai, 14 milioni di lavoratori a tempo indeterminato, la riduzione di 7 punti il tasso di lavoro temporaneo portandolo al 17,5% (dal precedente 25%, ndr), ossia entro i parametri europei’’. Bene. Ma se la Spagna considera il 17,5% dei rapporti temporanei in linea con i parametri europei, perché accusava il governo Meloni di promuovere dei contratti “spazzatura’’ quando in Italia il lavoro non standard è pari a poco più del 16%? Poi evidentemente gli elettori spagnoli non sono stati della stessa opinione.

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