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Tunisia, Balcani, Ue, la chiave è l’integrazione. La versione di Fassino

“L’accelerazione dell’integrazione dell’Ucraina è una necessità per la stabilità e la sicurezza di quel Paese e dell’Europa e non può venire a scapito dell’integrazione dei Paesi dei Balcani occidentali. Occorre che ci sia un’accelerazione nei processi di adesione dei Paesi balcanici e un’accelerazione anche dell’integrazione dell’Ucraina”. Conversazione con l’ex presidente della commissione esteri della Camera, già Guardasigilli, Piero Fassino

L’integrazione, politica, sociale, economica, è essa stessa anticamera di una maggiore sicurezza e stabilità interna per quei Paesi che, dal Mediterraneo ai Balcani, stanno attraversando una fase complessa. Non solo Tunisia e Libia, ma anche Kosovo e Serbia. L’analisi che Piero Fassino, già presidente della commissione esteri della Camera e Guardasigilli, affida a Formiche.net parte dal presupposto che l’area del Mare Nostrum è tornata centrale nello scacchiere geopolitico mondiale, al pari delle emergenze ad esso connesse come quella migratoria in Tunisia.

La visita “strutturata” a Tunisi di domenica prossima di Giorgia Meloni, Ursula Von der Leyen e Mark Rutte dimostra una maggiore sensibilità europea sul tema?

Dimostra due fatti: da un lato la maggiore sensibilità dell’Unione europea sulla situazione tunisina che, oggi, è una delle maggiori criticità nel Mediterraneo, ma anche un cambiamento di approccio del presidente del Consiglio nei confronti dell’Europa che, dopo essere stata per lungo tempo demonizzata e guardata come un fastidio, oggi viene invocata per realizzare una politica dell’immigrazione comune. Mi auguro che in questa visita, oltre ad affrontare i temi migratori, si richiamino le autorità tunisine a ripristinare una corretta vita costituzionale, essenziale per la stabilità politica ed economica del Paese.

Quali i maggiori ostacoli per la concessione alla Tunisia dell’ulteriore tranche di prestiti del Fondo monetario internazionale?

Il Fondo monetario internazionale è impegnato in un negoziato con il governo tunisino. Credo che il Fmi si aspetti riforme che facilitino il superamento della attuale condizione di grande fragilità economica e si ristabilisca un ordinamento istituzionale in grado di assicurare una maggiore stabilità politica.

Non solo Tunisia, un altro fronte delicato è rappresentato dalla Libia: crede allo sforzo, l’ennesimo, per favorire le elezioni libiche? E quale potrà essere il ruolo italiano nel favorire la stabilizzazione istituzionale di quel Paese?

Intanto è necessario convincere le parti libiche ad andare ad elezioni che, non dimentichiamo, erano già state previste per la fine dell’anno scorso e poi sospese e rinviate per le divisioni e i reciproci veti delle forze libiche. Il primo passaggio essenziale, dunque, ottenere un accordo tra i libici per elezioni trasparenti con modalità che garantiscano che gli esiti del voto siano riconosciuti da tutti e non immediatamente contestati. Naturalmente qualora a questo esito si arrivasse, l’Unione europea e tutti gli Stati più direttamente investiti dalla vicenda, come l’Italia, dovrebbero mettere a disposizione tutto il supporto operativo per garantire elezioni libere, trasparenti e democratiche.

Si aspettava le parole del cancelliere Scholz sul fatto di non dover lasciare i Paesi di prima accoglienza, quindi l’Italia, da soli a gestire il dossier migrazioni?

Non è la prima volta che Scholz lo dice. Io credo che da parte tedesca, da alcuni anni, vi sia la convinzione che il tema delle migrazioni non possa essere scaricato sulle spalle di un solo Paese e soprattutto sui Paesi di primo approdo. L’immigrazione è un tema europeo che va condiviso e gestito in comune.

In questo quadro, la conferma del presidente Erdogan alla guida della Turchia potrà sostenere la stabilizzazione istituzionale della Libia oppure l’Italia avrà un concorrente in più?

Si vedrà. Erdogan ha sviluppato una politica in tutto il Mediterraneo con un’ambizione egemonica. Per ciò che riguarda la Libia, Turchia e Italia hanno interesse entrambe ad agire per una stabilità e per superare l’attuale criticità di due governi libici contrapposti. Quindi tutto ciò che può essere fatto per arrivare a un risultato del genere andrà sostenuto, ancor di più se vi fossero le condizioni per perseguire questo obiettivo insieme alla Turchia.

Il macro bacino Mediterraneo è tornato centrale nello scacchiere geopolitico mondiale, oltre che per la guerra anche per le dinamiche energetiche. Però c’è un pezzettino di Europa che sta oltremodo faticando in questo momento ed è la parte balcanica, con le nuove tensioni in atto tra Serbia e Kosovo. Come intervenire?

Paghiamo nei Balcani una esasperante lentezza nel processo di integrazione nell’Unione. L’Europa ha promesso ai Paesi balcanici l’integrazione subito dopo la pace di Dayton (1995) e ha poi formalizzato quella volontà nel Consiglio europeo di Salonicco (2003). Son passati più di vent’anni e non siamo ancora all’integrazione compiuta di questi Paesi. Questa esasperante lentezza ha prodotto fin qui soltanto esiti negativi: ha frustrato la fiducia nell’Europa dell’opinione pubblica e dei governi di quei Paesi. Ha aperto le porte a una presenza di altri attori come Cina, Russia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti. E ha sostanzialmente offerto l’alibi ai Paesi candidati di rallentare i loro processi di riforma visto che l’Unione europea rallentava.

Con quali conseguenze?

Il riemergere di antiche nostalgie, della rincorsa alla etnicità e della presunzione di fondare Stati sull’omogeneità etnica, suscitando antichi e recenti conflitti. Lo dimostra la vicenda accaduta in Kosovo. Ma c’è una considerazione più generale da fare: giustamente valorizziamo molto il fatto che l’Unione europea, dal 1945 ad oggi, non abbia conosciuto guerre. Ma ai confini dell’Unione guerre ce ne sono state: nei Balcani, nel Caucaso e oggi in Ucraina. Per cui la lezione è molto chiara: se vogliamo sottrarre quelle aree ad una condizione di instabilità e conflittualità – che incidono anche sulla sicurezza dell’intera Europa – bisogna accelerare la loro integrazione portando quei Paesi nello spazio di sicurezza e di stabilità che è l’Unione europea.

Esiste il rischio che Paesi come l’Albania, che hanno affrontato un percorso riformatore ma non sono ancora integrati, possano soffrire vedendo l’accelerazione nei confronti di altri?

Credo che su questo bisogna essere molto chiari. L’accelerazione dell’integrazione Ucraina è una necessità per la stabilità e la sicurezza di quel Paese e dell’Europa, ma non può venire a scapito dell’integrazione dei Paesi dei Balcani occidentali. Occorre che ci sia un’accelerazione nei processi di adesione dei Paesi balcanici e un’accelerazione anche dell’integrazione dell’Ucraina.

L’ingresso della Svezia nella Nato è cosa fatta o Ankara si metterà di traverso?

Sono in corso contatti tra Ankara e il governo svedese, oltre ad una intensa attività del Segretario generale della Nato per appianare tutte le difficoltà. L’auspicio è che si possa portare a compimento l’integrazione sia della Finlandia che della Svezia. È un passaggio essenziale per la coesione europea e per dare maggiore solidità alla politica di sicurezza comune.

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