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Un governatorato della Banca d’Italia difficile e contrastato. L’analisi di Zecchini

Dopo questi dodici anni di storia segnati da straordinarie difficoltà nell’economia e nella finanza nazionali e altresì da contrasti tra istituzioni nell’affrontarle, la Banca centrale si presenta ugualmente come una delle più preziose ed affidabili risorse di cui dispone il Paese per costruire il benessere attuale e futuro e così è bene che continui ad essere anche dopo l’avvicendamento al suo vertice. L’analisi di Salvatore Zecchini

Il prossimo novembre, col cambio di governatore, si conclude un ciclo di storia della Banca d’Italia, di cui resta poco da rallegrarsi. Sono stati dodici anni segnati da straordinarie difficoltà nell’economia e nella finanza nazionali e altresì da contrasti tra istituzioni nell’affrontarle. La Banca ha dovuto farvi fronte contando sulla sua notevole professionalità ed integrità, nonché sul sostegno della Bce, più che su supporti interni, sia di natura politica che da altre istituzioni. Molte le sfide che ha affrontato e limitati i successi da annoverare.

Già il processo di nomina del governatore nel 2011 non era stato privo di contrasti, in particolare tra il direttorio della Banca e il ministro dell’economia, in quanto sostenitori di candidature differenti. L’allora ministro patrocinava per quel ruolo il suo valido direttore generale del Tesoro, mentre l’altra parte insisteva su una soluzione interna individuata nel suo direttore generale. Il contrasto si era protratto per circa due mesi fin quando si raggiunse un compromesso sul nome dell’attuale governatore. In questo modo si ritornava alla tradizione di elevare alla posizione un funzionario proveniente dall’interno, tradizione interrotta precedentemente in circostanze incresciose con la nomina di un esterno, Mario Draghi. Quest’ultimo lasciava l’incarico per prendere le redini della Bce. Va detto che la soluzione interna, adottata sin dal 1960, rappresenta una singolarità italiana in un quadro internazionale che vede, ad esempio, negli altri paesi del G7 l’attribuzione della scelta del governatore al capo dell’esecutivo, naturalmente nell’ambito di esperti di alto livello.

La personalità del governatore assume in Italia una speciale rilevanza oltre che per l’autonomia funzionale di cui gode rispetto all’esecutivo al pari delle altre banche centrali facenti parte del Sistema dell’euro, per la concentrazione nelle sue mani di gran parte delle decisioni della Banca in un assetto interno fortemente gerarchico. In altri termini, la Banca d’Italia è il Governatore e viceversa, con la conseguenza che ne porta tutte le responsabilità e anche i meriti dell’azione dell’istituzione. L’esperienza contrastata della nomina iniziale si ripropose al momento del rinnovo dell’incarico nel 2017 perché alcune forze di governo gli hanno addebitato inadeguatezze nella prevenzione e gestione delle crisi bancarie esplose in quel periodo.

Questa è stata in effetti la prima sfida che ha dovuto fronteggiare immediatamente dopo la nomina. Il Paese stava soffrendo ancora per gli effetti della grande crisi finanziaria globale degli anni 2008-2009 con una economia messa a dura prova dalla recessione e con un sistema produttivo sotto forte pressione. Col sopraggiungere di una nuova recessione nel 2012, le insolvenze sui crediti bancari erano in rapida ascesa e velate agli occhi dell’opinione pubblica per non generare allarmismi con il rischio di corsa agli sportelli. In realtà, nel biennio 2012-2013 le sofferenze sui crediti bancari erano salite all’8,7%, equivalenti a circa un terzo (29%) del patrimonio di vigilanza, e il totale dei crediti deteriorati aveva raggiunto il 16% del credito totale.

Ad accrescere i problemi per il mantenimento della stabilità finanziaria, la frammentazione del sistema bancario italiano (ben 706 enti a fine 2012) costituiva fonte di fragilità per la presenza di troppe banche minori con deboli management. Pertanto, la Banca centrale aveva da tempo messo in opera una strategia di stimolo alla fusione e consolidamento degli istituti minori in entità molto più ampie e con una governance di più alta professionalità, ma la strategia era lungi dall’essere compiuta. Altri interventi per il consolidamento della stabilità del sistema erano svolti dietro le quinte, ma la crisi di quattro banche minori con i rischi per i depositi di tanti piccoli risparmiatori era d’un tratto venuta in piena luce, mettendo in dubbio l’adeguatezza della vigilanza della Banca centrale e richiedendo l’intervento di salvataggio del denaro pubblico in via straordinaria.

I dubbi si accentuarono quando si scoprirono ingenti perdite anche nei bilanci di una grande banca, il Monte dei Paschi di Siena: una perdita di 4,7 miliardi nel 2011 seguita da altre ancor più grandi negli anni successivi, fino al punto che nel 2015 il Tesoro fu costretto a intervenire con una forte iniezione di capitale che lo portò a divenire l’azionista di controllo della banca. Le critiche all’opera di vigilanza della Banca centrale si moltiplicarono, ma furono decisamente contestate dalla stessa adducendo che aveva fatto tutto quanto era nelle sue facoltà d’intervento. Chiedeva, invece, un ampliamento dei suoi poteri fino alla facoltà di rimuovere il management di una banca ancor prima di giungere alla situazione estrema dell’amministrazione controllata, nei casi di irregolarità gravi o di inadeguatezze tali da condurre al dissesto. Questa potestà fu accordata dopo un paio di anni dalla nuova normativa europea.

Le sfide per la Banca centrale, peraltro, non si fermarono lì, perché la crisi del debito sovrano, l’ampliamento dello spread, e il deterioramento della qualità del credito bancario accrebbero l’incertezza sulla solidità del sistema bancario con la conseguenza di rendere sempre più difficile il suo approvvigionarsi sui mercati finanziari. A queste difficoltà si dovette porre rimedio con l’ampliamento dell’accesso al credito della Banca centrale nel quadro delle misure adottate dalla Bce.

Le polemiche sull’operato della Banca centrale si riacutizzarono con il nuovo approccio alla gestione delle crisi bancarie patrocinato dall’accordo tra il Presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel. La nuova disciplina tendeva a minimizzare la necessità del ricorso al finanziamento pubblico per risolvere le crisi bancarie e salvaguardare il risparmio dei privati. Oggetto di critiche era la regola dell’Ue del “bail in”, che chiamava alcune categorie di creditori di una banca, ad esempio i titolari di obbligazioni o di grandi depositi, a condividere con gli azionisti l’onere della copertura delle perdite per la soluzione dei casi di dissesto bancario. Uno degli effetti della norma è di allontanare certe categorie di creditori dal finanziare le banche più rischiose. Alla Banca centrale veniva imputato di non aver contrastato abbastanza l’introduzione di questa regola in sede europea, mentre in realtà l’opposizione andava svolta a livello politico nei rapporti tra i governi dei paesi dell’Unione.

Le difficoltà e i contrasti incontrati in quel periodo insieme al ruolo sempre più importante assunto dalla Bce nel salvaguardare l’euro e per la stabilità finanziaria del sistema hanno concorso a un progressivo ridimensionamento dell’influenza della Banca centrale sulla conduzione del governo economico del Paese. La politica monetaria era passata a Francoforte e condivisa con gli altri paesi membri; anche la vigilanza sulle banche di rilevanza sistemica era divenuta una responsabilità diretta della Bce; la disciplina del mercato dei servizi bancari e finanziari era ripartita con l’Autorità Agcm e la competenza sui mercati finanziari con la Consob.

Malgrado questo strisciante ridimensionamento, la Banca centrale può annoverare alcune considerevoli realizzazioni, particolarmente utili per il Paese e la sua stabilità. Oltre al potenziamento delle strutture di analisi e ricerca in campo economico e finanziario, che ne fanno ancora il più rilevante polo di conoscenza disponibile per condurre la politica economica, ha sviluppato una conoscenza approfondita delle economie sul territorio, dei settori produttivi e delle imprese con indagini ad hoc. Ha anche approfondito l’esame della finanza pubblica, degli effetti dei provvedimenti economici e finanziari adottati dai governi, e perseguito un continuo avanzamento nella digitalizzazione delle attività e nell’impiego di avanzati mezzi tecnologici. Ne è prova il compito ricevuto dalla Bce di testare la fattibilità e le implicazioni dell’introduzione dell’euro digitale.

Ha investito ampiamente nel potenziamento della formazione del suo capitale umano, nella collaborazione con i maggiori organismi internazionali e nel fornire assistenza tecnica ad altri Paesi. Nella consapevolezza delle carenze di conoscenze finanziarie di base tra i risparmiatori ha sviluppato un programma d’istruzione finanziaria che si estende all’intero Paese. Altrettanto importante è il sostegno alle attività antiriciclaggio. Ha anche saputo gestire senza particolari tensioni uno spinoso processo di riduzione della sua articolazione territoriale delle filiali e quindi del personale, in linea con il restringersi dei suoi compiti.

L’apertura al dialogo con le altre istituzioni del Paese e al confronto con le opinioni divergenti su scelte e decisioni non è venuta meno durante questo governatorato, neanche quando esse sono state oggetto di critiche e contrasti. Anche attualmente, in una fase in cui si trova alle prese con il vecchio male dell’alta inflazione, un male già incontrato negli anni Settanta degli shock petroliferi, non sfugge al pubblico confronto ed argomenta le sue posizioni con dovizia di argomenti e dati. La sfida in atto è contenere le spinte alla propagazione secondaria delle tensioni sui prezzi ed evitare che una brusca rincorsa costi-prezzi-salari conduca al perpetuarsi dell’instabilità monetaria. Il Governatore, nel riconoscere gli errori di previsione commessi nell’eurozona sulla scorta di modelli econometrici e quindi ammettendo ritardi nell’uscita dalle condizioni ultra accomodanti della politica monetaria post pandemia, ritiene che si debba procedere nella restrizione “gradualmente ma non lentamente”, tenendo presente la necessità di non soffocare la crescita. A parte la difficoltà semantica di distinguere tra graduale e lento, l’esperienza storica ci indica che non si esce da un periodo di alta inflazione senza un significativo contenimento della domanda interna in tempi accorciati e un grande investimento nell’avanzamento della produttività. Per quanto sia difficile calibrarla, la restrizione monetaria non può che essere tempestiva, bilanciata ed attenta a monitorare sin dall’inizio le reazioni di imprese, consumatori ed investitori. In quest’impresa, deve poter contare sul coerente dispiegarsi della politica di bilancio pubblico, in cui assenza è costretta ad essere più decisa nella restrizione.

Quale che sia l’approccio che si dimostrerà più confacente alle attuali circostanze, dopo questo dodicennio di storia la Banca centrale si presenta ugualmente come una delle più preziose ed affidabili risorse di cui dispone il Paese per costruire il benessere attuale e futuro e così è bene che continui ad essere anche dopo l’avvicendamento al suo vertice.

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