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Jp Morgan e Citi non bastano. La Cina snobba (ancora) la finanza occidentale

Nonostante i tentativi delle grandi banche americane di gettare nuovi ponti con il Dragone, nei primi sei mesi dell’anno la quota di Ipo cinesi sostenute e curate dagli istituti stranieri è scesa al minimo storico. E così il Dragone rimane prigioniero di se stesso

Strano Paese la Cina. Nei giorni in cui la grande finanza americana prova a costruire nuovi ponti con il Dragone, i numeri raccontano un’altra verità. E cioè di un Paese che non ne vuole sapere di avere tra i piedi proprio quelle banche occidentali che stanno tentando di arrivare laddove la politica, finora, ha fallito. Nelle ultime tre settimane, come raccontato da Formiche.net, sia Jamie Dimon, numero uno di Jp Morgan, sia Jane Fraser, a capo di Citigroup, si sono recati nell’ex Celeste Impero per incontrare investitori e imprenditori locali, nel tentativo di creare un nuovo habitat per la finanza americana in loco.

Buoni propositi che però sbattono il muso contro una realtà fatta di numeri. E cioè che nell’ambito dell’Ipo, il ruolo delle grandi banche straniere in Cina rimane assolutamente marginale. Come noto, quando si vuole approdare in Borsa, per sostenere la quotazione c’è sempre un intermediario, detto bookrunner, che si occupa del collocamento, cercando investitori e capitali per dare gas all’Ipo e renderla convincente e appetibile agli occhi del mercato. Ebbene, nei vari processi di bookbuilding, la partecipazione delle banche straniere alle offerte pubbliche iniziali nella Cina continentale è scesa al livello più basso in oltre un decennio, a dimostrazione delle difficoltà che si incontrano nel chiuso sistema finanziario del Paese.

Finora e banche estere, ha raccontato il Financial Times, sono state coinvolte in appena 297 milioni di dollari di nuove quotazioni, pari all’1,2% del totale relativo ai primi sei mesi del 2023. E pensare che fino a 13-14 anni fa, i medesimi istituti erano coinvolti in circa la metà delle quotazioni totali in termini di valore. A dimostrazione che la Cina è tutt’altro che inclusiva, c’è un altro dato: lo scorso anno le banche occidentali hanno curato il 3,1% delle Ipo, quest’anno solo l’1,2%, anche se siamo ancora a metà anno. E nessuna banca statunitense è stata coinvolta nelle 109 Ipo del vasto mercato azionario cinese nel 2023.

Solo Credit Suisse e Deutsche Bank hanno agito come bookrunner. “Sono stupito dal fatto che ogni settimana ci siano miliardi di dollari in termini di Ipo a Shanghai e che le banche che le sottoscrivono siano quasi esclusivamente nazionali”, ha dichiarato un dirigente di una banca globale in Asia, che non ha voluto essere nominato. “Le banche globali hanno delle iniziative onshore, ma a quanto pare siamo coinvolti in poche operazioni nazionali. Deve succedere qualcosa: gli istituti non cinesi devono essere coinvolti in queste operazioni, oppure dovremmo abbandonare il settore e smettere di destinarvi risorse”.

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