La Guida Suprema sostiene che una qualche intesa sul nucleare possa non essere esclusa. Parole che dall’Iran aprono a qualcosa di nuovo?
La Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, ha esortato a continuare la cooperazione con l’organo di controllo nucleare delle Nazioni Unite, segnando un momento importante per la narrazione di Teheran che dà spazio alle speranze che i tentativi di normalizzazione attorno alla Repubblica islamica possano toccare anche il programma atomico. Mettendo in guardia dal soccombere al “bullismo” basato su “affermazioni infondate”, parte della retorica dalla quale la Guida non può esimersi, domenica Khamenei ha parlato agli scienziati nucleari del Paese e detto che “la cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) nel quadro delle norme di salvaguardia dovrebbe essere mantenuta”.
Val la pena evidenziare che una delle reazioni iraniane all’uscita unilaterale dell’amministrazione Trump dall’accordo Jcpoa — il piano per il congelamento del programma nucleare iraniano — fu proprio l’alterazione del programma di collaborazione con l’Aiea. Non è dunque banale la richiesta di Khamenei. Anche perché nel suo discorso di domenica, il leader supremo, pur sottolineando che “l’infrastruttura esistente dell’industria nucleare non dovrebbe essere toccata”, ha anche detto che si potrebbero raggiungere accordi in alcuni campi e “non ci sarebbe niente di sbagliato” nel farlo.
Il contesto
Il programma nucleare iraniano è stato a lungo oggetto di esame da parte delle potenze occidentali, con conseguenti sanzioni che hanno paralizzato l’economia del Paese. Il Jcpoa è un accordo del 2015 tra l’Iran e le potenze mondiali pensato per normalizzare la situazione — all’interno di un perimetro controllato dall’Aiea, soprattutto per evitare l’arricchimento di materiale atomico al grado militare — e dare alla Repubblica islamica un sollievo dalle sanzioni internazionali. Ma nel 2018 gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dall’accordo e hanno reimposto l’intera panoplia sanzionatoria, spingendo Teheran a rimangiarsi gli impegni assunti per limitare l’attività nucleare, compreso l’arricchimento dell’uranio.
Gli sforzi per rilanciare l’accordo non hanno finora prodotto risultati. L’amministrazione Biden, che si era prefissata come obiettivo la ricomposizione del Jcpoa, ha trovato davanti a sé un contesto assolutamente alterato sul piano della fiducia reciproca. In questa alterazione rientra anche il rapporto tra Teheran e l’Aiea. Ci sono state fasi di sostanziale blocco degli scambi, con l’agenzia lasciata al buio delle evoluzioni del programma, mentre attualmente sta leggermente aumentando la collaborazione. Tuttavia, l’osservatorio onusiano ha anche rilevato che negli ultimi mesi l’Iran ha aumentato in modo significativo le sue scorte di uranio arricchito.
Narrazioni e interessi
L’Iran ha sempre negato qualsiasi ambizione di sviluppare una capacità di armamento nucleare, insistendo sul fatto che le sue attività sono interamente pacifiche. Domenica Khamenei ha ribadito la negazione di iniziative volte all’acquisizione di un’arma nucleare, in linea con “i nostri principi islamici”. “Altrimenti nessuno sarebbe stato in grado di fermare [i nostri piani]”, ha continuato, “così come non sono stati in grado di fermare il nostro progresso nucleare fino ad ora”. Marcatura ideologica molto forte, utile anche alle posizioni più reazionarie, che ha questo significato: non programmiamo armi atomiche perché siamo una repubblica islamica, non perché abbiamo paura delle reazioni dell’Occidente.
Nonostante siano infarcite di propaganda, queste parole sono interessanti perché sembrano simili a quelle che hanno ufficialmente aperto la possibilità di stringere sul Jcpoa. E forse non è un caso che arrivino proprio adesso. Il mese scorso, funzionari statunitensi e iraniani hanno tenuto colloqui indiretti sul nucleare in Oman, con funzionari omaniti che hanno fatto la spola tra le loro stanze separate per consegnare i messaggi: si tratta del primo impegno di questo tipo tra Stati Uniti e Iran in diversi mesi.
Preoccupazioni e speranze
Gli Stati Uniti sono molto preoccupati per i progressi nucleari dell’Iran, ma hanno anche due altri generi di timori. Il primo riguarda Israele: Gerusalemme sembra sempre più persuasa che il rischio di vedersi i nemici della Repubblica islamica armati della Bomba possa essere contrastato solo con un attacco militare. Il secondo: dopo aver visto Teheran e Riad mediare l’avvio di una fase di dialogo a Pechino, Washington vuole evitare di farsi sfuggire il dossier iraniano (e anzi, magari capitalizzare dal nuovo momento irano-saudita per ottenere un’intesa, dopo che il regno era stato uno di principali oppositori del Jcpoa).
Il passaggio di domenica è importante anche perché il presidente Ebrahim Raisi è stato di fatto autorizzato a mediare, investito del ruolo di leadership sul dossier — chiaramente in stretto coordinamento con la Guida, secondo dinamiche già viste con Hassan Rouhani ai tempi del Jcpoa. Khamenei sottolinea il prestigio e il peso politico internazionale che la capacità nucleare può garantire al suo Paese, ma torna sui concetti noti della “flessibilità eroica”. E questo aumenta le chance per una qualche nuova intesa. Certe dichiarazioni servono anche a evitare escalation nel breve periodo e marcare la linea contro chi all’interno dell’Iran vuole mantenere costante e continuo lo scontro con gli Usa anche attraverso il dossier nucleare, e blocca velleità di chi ambisce nello spingere per un programma atomico militare iraniano.