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Le leggi ad personam post mortem secondo Repubblica. Il corsivo di Cangini

L’idea che le norme del pacchetto Nordio possano essere ispirate dal semplice desiderio di correggere alcune storture del sistema giudiziario non è minimamente presa in considerazione. C’è sempre un doppio fine, ed è sempre un doppio fine scabroso…

Come sempre, la giornata è iniziata con quella che Hegel definiva “la preghiera laica del mattino”: la lettura dei giornali.

Si comincia dal Corriere della Sera e si comincia bene. L’editoriale di Angelo Panebianco è, al solito, improntato al realismo. Il politologo liberale individua nella ricerca spasmodica di un “nemico mortale” il vizio d’origine dello “spirito pubblico” italiano. Non avversari, ma nemici politici. Non diversità culturali, ma “divisioni che si pretendevano antropologiche”. “La particolarità del periodo berlusconiano – scrive Panebianco – è che la guerra di civiltà si svolse intorno al ruolo di un uomo. Né l’adesione entusiasta né gli odii feroci (i brindisi in cui ci si augurava la sua morte) erano spiegati dai «successi» della sua politica”. Ma tutto questo, dice Panebianco, è finito con la fine di Silvio Berlusconi. Per esempio: “La polemica sulle leggi ad personam, un tempo carta vincente nelle mani di chi si opponeva agli interventi in questo ambito, è diventata un’arma spuntata, non più credibile. Sarà difficile ricondurre agli «interessi» personali di Berlusconi o a quelli del suo impero mediatico, l’abolizione del reato di abuso d’ufficio (peraltro fortemente voluta anche da molti amministratori locali del Pd) o la stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni”.

Alle 7 del mattino la giornata è cominciata bene, benissimo. Il buonsenso, il realismo e lo spirito laico di Angelo Panebianco indicono al buon umore. Alle 7,30, però, il buon umore svanisce e con esso svanisce il sogno di poter vivere in un Paese normale.

Secondo un’antica gerarchia, dopo il Corriere tocca a Repubblica. E il titolo di apertura di Repubblica ha l’affetto di un calcio nel basso ventre di Angelo Panebianco e di chi come lui si ostina a sperare in un confronto politico fondato sul merito delle questioni e non sugli spettri che di volta in volta alle questioni vengono strumentalmente associati. “La giustizia di Silvio”, è il titolo di apertura di Repubblica. Titolo così spiegato nel sommario: “All’indomani delle esequie il governo cancella l’abuso d’ufficio, rende più difficili gli arresti e mette il bavaglio alle intercettazioni”. È stato Silvio, dunque. Ancora lui! Un evidente caso di legge ad personam post mortem.

L’idea che le norme del pacchetto Nordio possano essere ispirate dal semplice desiderio di correggere alcune storture del sistema giudiziario non è minimamente presa in considerazione. C’è sempre un doppio fine, ed è sempre un doppio fine scabroso. Se ne trova conferma leggendo il pezzo pubblicato a pagina 3 sotto titolo “Il pendolo Calenda-Renzi si ferma sul governo Meloni. È la maggioranza Berlusconi”. L’attacco è chiaro: “Sulla riforma della giustizia sta per nascere una nuova maggioranza in Parlamento”. Cioè a dire che chi in Parlamento voterà, ad esempio, a favore dell’abrogazione dell’assurdo reato di abuso di ufficio come chiedono i sindaci e come suggerisce il buonsenso lo farà perseguendo il secondo fine di un accordo strategico con la maggioranza di centrodestra. Si nega, così, la funzione stessa del Parlamento, si prescinde dal merito delle questioni, si evocano spettri e si delegittimano in radice le scelte politiche non gradite.

No, non sarà la morte di Silvio Berlusconi a migliorare “lo spirito pubblico” italiano e a consentirci di iniziare la giornata senza dover subito metter mano al Maalox.



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