Skip to main content

Se la Rai finisce in bolletta

La “detenzione di apparati atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo” obbliga al versamento di una imposta. Lo ha stabilito un regio decreto emanato il 21 febbraio 1938, e convertito in legge il 4 giugno dello stesso anno. Da allora, quel tributo – oggi, semplicemente, canone – è stato ed è oggetto di contestazioni, polemiche ed azioni giudiziarie, in particolare dopo l’entrata in esercizio delle televisioni private. Dal blog di Beppe Grillo alla costituzione di gruppi su Facebook, è tutto un fiorire di iniziative per l’abolizione del “balzello”, come spesso viene definito. Addirittura, secondo un’indagine, realizzata nel 2006, il canone di abbonamento radiotelevisivo risulterebbe essere ai primi posti tra le imposte “più odiate dagli italiani”. Viene spontaneo domandarsi come sia possibile che il canone radiotelevisivo, che incide per poco più di 100 euro annue (poco meno fino a qualche anno fa) sul reddito delle famiglie, preceda in questa graduatoria tributi di gran lunga più onerosi come Irpef, Iva, etc. Formiche ne ha discusso con Angelo Maria Petroni, consigliere del Cda Rai, che si era già occupato nel 2006 dell’annosa questione del canone Rai. “Questa tassa è così odiata perché è visibile, la gente odia tutte le tasse che vede” è la risposta in prima battuta di Petroni. “L’Iva, così come l’Irpef, non sono odiate perché vengono detratte e quindi non si vedono. Ma una tassa visibile è anche molto democratica perché la gente sa ciò per cui paga. È chiaro che, dal momento che a nessuno fa piacere spendere, se guardare la Rai fosse gratuito sarebbero tutti più contenti. Allora pongo un quesito: la gente apprezza il nostro servizio pubblico radiotelevisivo? La risposta è sì. La Rai, come dimostrano i numeri, tra le televisioni pubbliche dei Paesi europei è quella con maggiore ascolto. Dunque, potendo scegliere tra Rai, Mediaset, Sky oppure le televisioni locali (Telenorba, Telelombardia, etc), il pubblico sceglie la tv di Stato in proporzioni eccezionali. Forse non accadrebbe lo stesso se la scuola pubblica e privata avessero il medesimo costo. Il ragionamento è semplice: consideriamo il canone per l’abbonamento radiotelevisivo e l’Irpef; pensate cosa succederebbe se l’Irpef, anziché essere detratta dallo stipendio, dovesse essere pagata alla posta come il canone. La gente quale odierebbe di più?”. Allora, però, il fatto che, a fronte del canone meno oneroso rispetto a quello di tutte le altre nazioni dell’Europa occidentale, la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo italiano assicuri un monte orario di programmazione che è tra i più elevati di questi Paesi non dovrebbe essere un incentivo per i cittadini a pagare? “È una questione di education. Il nostro servizio pubblico – continua Petroni – offre una quantità immensa di canali, nessun’altra televisione pubblica offre la stessa varietà. Il digitale terrestre ci ha permesso di ampliare ancora l’offerta: Rai storia, i canali per ragazzi, Rai 4 che in Sardegna (dove c’è già stato lo switch off) supera La7. A breve, inoltre, a questi si aggiungeranno altri canali che verranno resi fruibili all’intero pubblico invece che a poche famiglie, perché non è stato chiuso l’accordo con Sky. Come emerge dalla tabella di comparazione dei servizi pubblici radiotelevisi (pag. 50), la Rai è la tv pubblica più efficiente d’Europa se si considera il numero delle ore di trasmissione – come avevo già accennato -, lo share, il numero di trasmissioni autoprodotte e il numero di dipendenti che è il più basso di tutte le televisioni europee. Quindi, se si ritiene che il servizio pubblico radiotelevisivo oggi abbia ancora senso, bisogna ammettere che la Rai è il miglior sistema. Si può ancora migliorare e si può risparmiare di più, ma bisogna tener presente che se tutti i servizi pubblici in Italia avessero parametri comparativi rispetto agli stessi europei come quelli che ha la Rai, cioè se le nostre ferrovie stessero alle ferrovie francesi oppure se le nostre infrastrutture e autostrade stessero a quelle tedesche come la Rai sta alla televisione pubblica francese o tedesca, saremmo un paese di eccezionale proporzione.” Probabilmente, però, gli Italiani non sono a conoscenza di tutto ciò. Un esempio: la normativa europea prevede che la società concessionaria predisponga il bilancio d’esercizio indicando in una contabilità separata i ricavi derivanti dal gettito del canone e degli oneri sostenuti nell’anno solare precedente per l’erogazione delle attività previste dalla stessa legge e dai contratti di servizio. Perché, secondo lei, questi dati non vengono resi noti e comunicati al pubblico? La trasparenza e la comunicazione potrebbero rappresentare un ulteriore incentivo per il cittadino-utente? “Naturalmente. Una comparazione vincente – come questa – migliorerebbe l’immagine della Rai giustificando ulteriormente la spesa per il canone e rafforzerebbe lo spirito di appartenenza. Alla vigilia di grandi sfide, come quella del digitale terrestre, sapere di essere parte di una Azienda vincente fa la differenza. Questi dati dimostrano che la Rai è ancora una grande e competitiva Azienda in campo europeo. ”A questo proposito, l’Italia si distingue per un’altra contraddizione: la percentuale altissima di evasione del canone di abbonamento radiotelevisivo (27%), nonostante si registri un dato elevato di minuti pro-capite dedicati quotidianamente alla visione di programmi radiotelevisivi e il possesso di televisori da parte dei nuclei familiari sia perfettamente nella media… “È così. Anzi, paradossalmente la Rai è più vista nelle regioni in cui c’è maggiore evasione. L’evasione del canone in Italia è la più alta d’Europa. La Corte dei conti ha stimato che l’evasione equivale a 450 milioni di euro. Ragionevolmente, raggiunge i 600 milioni. E ciò senza dimenticare che la Rai ha una situazione unica nel quadro delle televisioni pubbliche europee: l’unica che ricava il 50% dei proventi dalla pubblicità: tutte le televisioni del Nord Europa ricavano la quasi totalità delle loro risorse dal canone o da altre fonti pubbliche. È inevitabile allora che questa peculiarità crei una triplice distorsione ed anomalia: si sottraggono risorse al mercato pubblicitario, lasciando pochi soldi alle tv locali private e ai giornali; la necessità di attrarre investimenti pubblicitari obbliga la Rai a fare trasmissioni costose, in concorrenza diretta con le televisioni commerciali, facendo salire i costi generali del sistema; ed infine, si è obbligati a fare troppe trasmissioni che hanno caratteristiche eminentemente commerciali, e non di servizio pubblico, venendo meno alla sua missione”. Sarebbero quindi davvero numerosi i vantaggi che il recupero dell’evasione apporterebbe al servizio pubblico,in termini di qualità dei contenuti e sviluppo tecnologico… “Non solo”, asserisce l’autorevole componente del Cda. “Con l’azzeramento dell’evasione è possibile fare veramente una politica sociale del canone, mitigando il suo aspetto di imposta regressiva. Ad esempio, dal momento che si recupererebbero 400 milioni di euro se ne potrebbero lasciare 100alle fasce sociali più basse. Penso ai possessori di Social card. In alternativa si può abbassare il canone a 99 euro per tutti”. Come ritiene si possa tirar fuori gli inadempienti da questo limbo d’impunità in cui sono attualmente collocati? “Esiste un metodo perfettamente efficiente per recuperare l’evasione del canone: la connessione con la bolletta elettrica. Ho fatto questa proposta già qualche anno fa, ma non ho inventato niente. Allora lo utilizzavano due Paesi, oggi è adottato in parecchi Paesi, europei ed extraeuropei, ove ormai l’evasione è eguale a zero. Non vi è alcuna difficoltà, né giuridica né tecnica per applicarlo anche in Italia. Basterebbe presumere – ci spiega – che ciascun titolare di un’utenza di fornitura di energia elettrica abbia un apparecchio radiotelevisivo e che sia tenuto a pagare il canone. Questo andrebbe direttamente sulla bolletta elettrica, solo relativamente alla prima casa. Coloro che pur avendo un’utenza elettrica non hanno un televisore (270 famiglie, secondo le statistiche) potranno fare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Attestare il falso, in questo caso, comporterebbe la violazione di una legge penale e non di una norma amministrativa. Per i cittadini che pagano già il canone, ovvero il 70%, vi sono due vantaggi del “canone elettrico”. Primo, non vi è bisogno di andare all’ufficio postale per effettuare il pagamento; secondo, l’importo viene rateizzato nelle sei bollette. Inoltre, gli Italiani vedrebbero finire i controlli vessatori e fastidiosi fatti a casa della Guardia Finanza e degli ispettori Rai che vanno a controllare se il canone è stato pagato. Sarebbe anche la fine delle lettere “minatorie” con cui la Rai chiede il pagamento del canone. Di fatto anche la tassa per il servizio pubblico radiotelevisivo, il canone Rai, diventerebbe invisibile”.
 


×

Iscriviti alla newsletter