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Elena Milashina aggredita in Cecenia, un altro buco nero del regime russo

Elena Milashina

La giornalista investigativa russa è stata vittima di un agguato nei pressi dell’aeroporto di Grozny, stessa città dove era già stata aggredita nel 2020. L’anno scorso aveva dovuto lasciare la federazione Russa per tutelare la sua incolumità.

Febbraio 2020, Grozny, Cecenia. Nel foyer del Continent Hotel un gruppo di donne si avvicina alla giornalista di Novaya Gazeta Elena Milashina, che in quel momento è in compagnia dell’attivista per i diritti umani Marina Dubrovina. Giunte a corta distanza, le donne cecene si avventano sulla giornalista e sull’attivista: iniziano a schiaffeggiarle e a prenderle a pugni, riprendendo l’intera scena con una videocamera. Al termine dell’aggressione, una delle assalitrici intima alle vittime di abbandonare la città, per poi lasciare indisturbata l’hotel.

Milashina si trovava a Grozny per assistere come giornalista al processo di Islam Nukhanov, un blogger che era stato arrestato, con accuse da lui ripetutamente negate, dopo avere investigato sulle ricchezze della leadership cecena. L’anno prima il leader ceceno Ramzan Kadyrov aveva avvertito gli attivisti per i diritti umani che la Cecenia non sarebbe più stato un posto sicuro per loro. Ma queste minacce non sarebbero certo bastate a fermare Milashina.

L’erede di Anna Politkovskaya, la giornalista russa mentore di Milashina che era stata uccisa a Mosca nel 2006, era fortemente determinata a combattere le sue battaglie e quelle della sua maestra, che aveva deciso di portare avanti dopo la sua scomparsa. Osando addirittura mettere piedi nella Cecenia dominata dal signore della guerra leale a Vladimir Putin. Ma per alcuni questa sua avventatezza non poteva rimanere impunita, e nel febbraio di quell’anno decisero di recapitarle un messaggio, nel tentativo di convincerla una volta per sempre ad abbandonare i suoi sforzi.

Luglio 2023, Grozny, Cecenia. Un taxi arriva all’aeroporto di Grozny e carica i due passeggeri: uno è l’avvocato Alexander Nemov. L’altra è Elena Milashina. Dopo l’aggressione del febbraio 2020 le crescenti pressioni nei suoi confronti, portate avanti anche da Kadyrov stesso che l’aveva definita una “complice dei terroristi”, avevano costretto la giornalista di Novaya Gazeta a lasciare la Russia poche settimane prima dello scoppio del conflitto in Ucraina. Ma anche questo non era bastato a infrangere la sua determinazione nella ricerca della verità. Per questo motivo, in compagnia di Nemov, Milashina aveva deciso di recarsi a Grozny per assistere al verdetto del caso Musayeva.

Moglie dell’ex giudice della corte suprema cecena e noto oppositore di Kadyrov Saidi Yangulbaev e madre degli attivisti Abubakar e Ibragim Yangulbaev, già imprigionati e torturati per le loro attività “sovversive”, Zarema Musayeva si trovava nella sua casa di Niznij Novgorod quando il 20 gennaio 2022 un commando ceceno ha fatto irruzione per rapirla e riportarla in Cecenia. Dopo essere stata trattenuta in cercare per i quindici giorni previsti dalla legge, Musayeva è stata accusata di aver aggredito un agente di polizia, così da poterla tenere imprigionata. Il 15 giugno la pubblica accusa aveva chiesto una condanna di 5 anni e mezzo, ma il verdetto ufficiale sarebbe stato dato proprio il 4 luglio. Un caso troppo importante per Milashina.

Il taxi con a bordo la giornalista e l’avvocato riparte dall’aeroporto. Dopo pochi chilometri, tre vetture lo intercettano e lo obbligano a fermarsi. Alcuni uomini mascherati scendono dalle auto e raggiungono il taxi, immobilizzano il guidatore prima di scaraventarlo fuori dalla macchina, poi entrano dentro. Nemov e Milashna, che in quel momento era al telefono con la commissaria russa per i diritti umani Tatiana Moskalkova, vengono fatti mettere in ginocchio e costretti a farsi legare le mani, mentre gli viene puntata una pistola alla testa minacciando di ucciderli. Dopo iniziano le botte: calci, pugni, colpi di spranga e coltellate. Mentre compiono l’atto violento, gli assalitori ricordano a Milashina tutte le inchieste di cui si era resa responsabile. Un monito in chiusura, come nel febbraio di tre anni prima: “Siete stati avvertiti. Andate via da qui e non scrivete nulla”. Poi gli uomini si ritirano, non prima di  aver distrutto attrezzature e documenti presenti in auto.

Quando arrivano all’ospedale, Nemov ha contusioni su tutto il corpo, e una grave ferita alla gamba causata da una coltellata. Milashina riporta una lesione cranica e ha diverse dita delle mani rotte; le foto disponibili la mostrano con i capelli rasati a forza dagli aggressori e ricoperta di una vernice verde-acqua, probabilmente un antisettico in grado di infliggerle danni permanenti gli occhi e alla pelle.

Questa è la storia di Elena Milashina. Questa è la libertà d’informazione che c’è in Russia.

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