Da una parte i rincari sul prezzo del grano dovuti all’annuncio da parte di Mosca di non voler rinnovare l’accordo per l’export del grano ucraino in scadenza tra pochi giorni. Dall’altra il rischio concreto di una speculazione, in un momento di rarefazione di materia prima sul mercato. La tenuta di tante imprese è a rischio e la crisi del settore della panificazione è strutturale
Il prezzo del grano è salito alle stelle. La posizione assunta dalla Russia di non prolungare oltre il termine del prossimo 17 luglio l’accordo per l’export dall’Ucraina dai porti sul Mar Nero ha letteralmente sballato le quotazioni sul mercato. E questo avrà necessariamente riverberi anche sul mercato di grano e cereali sul piano nazionale. Al di là delle quotazioni, questo rialzo interviene “in una filiera già profondamente in crisi”. Ne consegue che “diverse aziende rischiano la chiusura definitiva”, ma ora il problema che si aggiunge ad aggravare questo quadro già a tinte fosche è quello di “un fortissimo rischio di speculazione”.
L’allarme arriva dal presidente nazionale di Assopanificatori Confesercenti, Davide Trombini che a Formiche.net dice di aspettarsi “un ulteriore calo di consumo di pane e derivati cerealicoli da parte delle famiglie italiane. Un consumo che già, rispetto agli ultimi dieci anni a questa parte, ha subito una grossa flessione passando da 250 grammi al giorno pro-capite a circa 80 grammi”.
Crisi strutturale
“Il settore della panificazione – scandisce l’esponente dell’associazione di categoria – è in crisi da anni e, da parte della politica fino a ora non c’è stata una risposta o un tentativo di invertire questa tendenza”. Una crisi strutturale perdurante per un settore che comunque “rappresenta una delle eccellenze italiane”. I rincari subiti all’indomani delle decisioni prese da Mosca, fa notare Trombini, “sono ancora più insidiosi perché vanno ad aggiungersi ad altri rincari che la filiera deve sostenere – dall’energia al carburante – che ancora non stentano a normalizzarsi”.
Approvvigionamenti
Le risorse cerealicole italiane “non sono mai state sufficienti a soddisfare le esigenze del nostro mercato, per cui noi abbiamo sempre importato – scandisce il presidente di Assopanificatori -. E, la Russia e l’Ucraina, sono state i nostri granai”. Già ridotte, le nostre produzioni sono state drasticamente falcidiate dalle alluvioni e dalle forti ondate di maltempo che si sono registrate nei mesi scorsi. “Una parte del raccolto – dice ancora Trombini – è stato danneggiato, in particolare in Emilia-Romagna, a causa del maltempo. Per cui, il combinato disposto tra mancanza di prodotto “interno” e stop della Russia ha provocato un’immediata impennata dei prezzi anche sul nostro grano”.
I numeri
Il nostro Paese, con il 6,3% complessivo sul totale delle esportazioni ucraine di prodotti agricoli, tra grano, mais e olio di girasole, è al quarto posto dietro Cina (24,3%), Spagna (18,3%) e Turchia (10%) tra i Paesi che più hanno beneficiato del Black Sea Grain Initiative, l’accordo Onu che ha sbloccato i flussi commerciali dai porti ucraini. Questi i dati diffusi dal Centro Studi Divulga
In un anno hanno lasciato il territorio di guerra quasi 32,8 milioni di tonnellate di prodotti agricoli, tra mais (51% pari a 16,8 milioni di tonnellate), grano (27% pari a 8,9 milioni di tonnellate), olio di girasole (11% tra olio e semi pari a 3,5 milioni di tonnellate) e altri prodotti secondari, muovendosi dai tre porti inseriti nell’accordo Chornomorsk (38,7% del totale), Yuzhny (31,9%) e Odessa (29,4%). In Italia sono arrivati in totale quasi 2,1 milioni di tonnellate di prodotti, di cui il 65,7% è mais (1,3 milioni di tonnellate), il 21,1% pari a 435mila tonnellate è grano tenero mentre il 5% è olio di girasole (100mila tonnellate).