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Forlani e la notte prima dell’incubo Mani Pulite. Il racconto di Elio Pasquini

Umiltà e onestà. Sono queste le due caratteristiche con le quali l’ex segretario particolare descrive lo scomparso presidente del Consiglio. La notte prima dell’interrogatorio a Milano, la decisione di non parlare e poi i ripensamenti. La tensione all’arrivo in tribunale, le offese e l’inizio della fine. Conversazione con Elio Pasquini

La memoria di un uomo perbene. Una vita accanto a un galantuomo, Arnaldo Forlani. “La sua vita politica è accessibile a tutti. Io vorrei parlare dell’uomo straordinario che fu l’ex segretario della Dc”. Elio Pasquini si muove in punta di piedi sul sentiero della Storia. La sua, dal 1977, è legata a quella dell’ex presidente del Consiglio, scomparso giovedì sera a 97 anni. Fu il suo segretario particolare. E, come gli piace ripetere, “lo accompagnai ovunque, in giro per l’Italia e per il mondo”. Di Forlani, il segretario ricorda le “straordinarie qualità umane: a partire dall’onestà e dall’umiltà che lo contraddistinsero più di tutto”.

Ed è per questo che si dice dispiaciuto di alcune “narrazioni mendaci e distorte che sono state fatte di Forlani, dopo l’interrogatorio a Milano”. Oltre a quegli attimi convulsi, Pasquini racconta a Formiche.net la notte che precedette il confronto tra l’ex segretario della Democrazia cristiana e il pm Antonio Di Pietro. “Per lui quell’interrogatorio fu drammatico. E le ore che lo precedettero particolarmente convulse”. “La sera prima dell’interrogatorio – racconta Pasquini – arrivammo a Milano con il nostro avvocato e incontrammo Gian Domenico Pisapia, grande giurista, padre di Giuliano. Proprio il legale convinse Forlani ad avvalersi, l’indomani, della facoltà di non rispondere. Non perché il segretario non fosse capace di parlare in pubblico, figuriamoci… aveva parlato di fronte a migliaia e migliaia di persone. Ma l’avvocato gli spiego che l’aula di tribunale, quell’aula di tribunale in particolare, sarebbe stata diversa”. Un altro mondo. Una dimensione completamente estranea a quella di Forlani. L’ex premier si convinse: si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere.

“Arrivammo in albergo – prosegue Pasquini – e passammo la serata a guardare la partita. Ricordo ancora le squadre in campo: Roma-Sampdoria, Coppa Italia. Presi congedo e andai in camera, ma alle 5 del mattino fui svegliato da una telefonata. Era Forlani”. Aveva ripensato alla conversazione con Pisapia e alla scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere. “Ci aveva ripensato – scandisce Pasquini – voleva parlare. Se non avesse parlato, mi spiegò, la Dc sarebbe stata l’unica a non esprimersi, dal momento che avevano già interrogato sia La Malfa (Pri) che Altissimo (Pli)”. Si parte per l’aula di giustizia. “Quando arrivammo in tribunale – ricorda Pasquini – c’era un clima surreale. Fummo sommersi da critiche e insulti veementi. Forlani fu subito attaccato da Di Pietro. Lui, da uomo mite, era tramortito. Non si aspettava questa violenza, che non gli apparteneva. A quel punto, subentrò la rassegnazione”.

Quello fu l’inizio della fine. Non poteva non sapere, dissero. Fu il declino. “Umanamente – riprende l’ex segretario particolare – Forlani mi ha insegnato a non serbare rancore verso nessuno. L’odio era un sentimento che non gli apparteneva”. E forse è anche per questo che decise di ritirarsi dalla scena pubblica. Certo, anche le divisioni interne alla Dc non fecero bene a Forlani. “Eppure – chiude Pasquini – benché evidentemente fosse dispiaciuto da queste divisioni, non disse mai nulla e non manifestò mai il suo dolore”. Un altro tratto di un galantuomo.

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