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Cosa dimostra l’accordo sull’Imu di Letta & Co.

La decisione politica del Consiglio dei Ministri di mercoledì è stata un’affermazione importante del Governo. I quattro punti programmatici, solennemente presentati alla stampa e commentati con dovizia da Enrico Letta, sono diventati un prodotto positivo. In questo caso l’aggettivo ha un valore che deriva dal sentire comune, da quanto profondamente tutti sanno che serve per migliorare la vita degli italiani. Sebbene, difatti, intervenire per dirimere le anomalie della riforma Monti sugli esodati, agire su immobili e mutui, fosse già una risposta efficace a un urgentissimo bisogno collettivo, l’atto simbolico, però, che ha determinato il successo vero e proprio delle componenti di maggioranza, è stato l’abolizione dell’Imu dal 2014.

L’introduzione sostitutiva della Service tax, che raccoglierà i vari oneri fiscali in un’unica imposta, corrisponde a una sensata esigenza di razionalizzazione del carico. Ed è facilmente intuibile perché: mettere un po’ di razionalità significa fissare automaticamente un criterio di maggiore equità nel pagamento delle tasse. Il presidente del Consiglio ha spiegato in tal modo il valore culturale che la tassa sui servizi vorrebbe acquisire. E’ quantificare l’onere in termini di utilizzo dei mezzi posseduti e non di mera stima patrimoniale del bene di proprietà. Perciò anche gli inquilini parteciperanno all’erogazione, avendo in uso con la casa i servizi che essa richiede: illuminazione, immondizia, eccetera.

E’ stato il lancio, insomma, di un’idea coraggiosa, la quale lecitamente ha fatto gridare vittoria al centrodestra che da sempre ha scommesso su una sostanziale defiscalizzazione come propria bandiera politica. La scelta, nondimeno, è stata valutata molto positivamente anche dalla sinistra moderata, dimostrando che le cose giuste si difendono da sole e, dunque, non sono suscettibili agilmente di critiche pregiudiziali e partigiane.
Qualche timore, eppure, resta presente, a causa soprattutto del complesso iter parlamentare che attende il progetto di legge nei prossimi mesi. Letta ha ricordato che l’attuazione del decreto entrerà in vigore nella più organica legge di stabilità che l’esecutivo presenterà in Parlamento il 15 ottobre. Ciò significa che la materiale traduzione in realtà dovrà passare per il vaglio delle forze politiche e delle relative logiche negoziali. E’ un cammino naturale, ovviamente. Un rischio deriva, però, dalla composizione instabile e farraginosa del nostro sistema, curvato su interessi particolari e limitanti. Perciò sarà molto importante vigilare sugli emendamenti e sulla capacità dei partiti di dare seguito e coerenza all’impostazione iniziale che è stata opportunamente adottata.

Guardando al nodo case, ad esempio, è essenziale che i già manifestati malcontenti di Cgil e M5S non abbiano buon corso nell’influenzare il Pd ad applicare aliquote che puniscano, pur nel nuovo contesto della Service tax, i ceti medi. E’ un allarme sensato perché le professioni cui facilmente si ricorre fiscalmente sono proprio quelle da cui è logico attendersi la ripresa economica. Non per altro la crisi, che ha fatto scivolare l’Italia nell’alveo delle aree di mercato non competitive, penalizza principalmente i commercianti, i piccoli imprenditori e le classi potenzialmente emergenti. La porzione del decreto dedicata alle giovani coppie è molto positiva in tal senso: investe sulla futura capacità che potrà avere la valentior pars, ossia l’insieme di quei cittadini che per età e condizione sociale possono generare produttività demografica ed economica.

In definitiva, si può essere soddisfatti di questo parto travagliato della “strana maggioranza”, specie se rapportato agli scarsi risultati precedenti. L’accordo dimostra che la politica resta fondamentale, e la mediazione delle parti ottiene maggiori profitti di pure competenze tecniche sganciate dal contatto diretto con la gente. Conviene, tuttavia, essere vigili e prudenti, non soltanto per la difficile longevità dell’esecutivo, come sappiamo minato dalle incognite giudiziarie su Berlusconi, ma anche e soprattutto per la mentalità di apparato che la palude parlamentare nasconde. In fin dei conti è sempre meglio sapere che i deputati lavoreranno su una buona base, piuttosto che sperare nell’uscita di qualche miglioramento dal loro lavoro.

 



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