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La magistratura deborda perché la politica glielo consente. Il corsivo di Cangini

Non c’è mai stato un colpo di mano dei magistrati: l’abrogazione dell’immunità parlamentare, la fine del finanziamento pubblico ai partiti, l’introduzione di fattispecie penali a dir poco scivolose come il traffico di influenze, la rinuncia ad introdurre qualsivoglia forma di responsabilità rispetto alla qualità del lavoro degli uffici giudiziari sono tutti esempi di come la politica abbia spalancato le porte all’intervento delle toghe. Ora dovrebbe riconquistare la propria sovranità. Ma per farne cosa?

“L’Associazione nazionale magistrati si muove a volte come fosse titolare di una sovranità” e questa è “una stortura democratica”. Lo ha detto oggi Luciano Violante al Corriere della Sera e, naturalmente, ha detto il vero. Una verità resa difficilmente contestabile dal fatto che Violante è un ex magistrato e della magistratura organizzata ha per molti anni rappresentato la punta di lancia in Parlamento. Ma la verità di Luciano Violante trae le mosse da una premessa: la “rinuncia della politica all’esercizio della propria sovranità in favore della magistratura”. Cioè a dire che l’ordine giudiziario si è fatto contropotere politico e garante dell’etica pubblica perché così ha voluto la politica. E, purtroppo, è vero anche questo. Ed è questa la verità da cui bisogna partire volendo sperare di ricondurre alla lettera costituzionale quest’insano ed eterno conflitto tra politica e magistratura.

È vero che negli anni Ottanta pubblici ministeri come Gherardo Colombo sostenevano che “il ruolo del magistrato deve essere quello di controllore del potere politico”, il che è una bestemmia costituzionale, ma è anche vero che lo svolgimento di quel ruolo gli è stato consentito dai politici. Tutte le norme oggi considerate populiste e anti politiche sono state infatti approvate con larghe maggioranze di parlamentari ingenuamente convinti di potersi così salvare dall’opera di delegittimazione portata avanti dai pm e dai media, spesso congiuntamente.

L’abrogazione dell’immunità parlamentare, la fine del finanziamento pubblico ai partiti politici, l’introduzione di fattispecie penali a dir poco scivolose come il traffico di influenze, la rinuncia ad introdurre qualsivoglia forma di responsabilità dei magistrati rispetto alla qualità del proprio lavoro, la delega in bianco all’Autorità nazionale anticorruzione delle scelte amministrative dei Comuni, l’incandidabilità o la decadenza dal mandato ex legge Severino, il vuoto normativo su tante questioni a partire dal fine vita, l’uso perverso degli avvisi di garanzia ai fini della lotta politica, la candidatura di Antonio Di Pietro (opera di D’Alema) e il tentativo di intronare Guardasigilli il procuratore Gratteri (opera di Renzi, fortunatamente scongiurata dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), la rassegnazione al fatto che tutte le posizioni apicali del ministero della Giustizia siano ricoperte da magistrati…

L’elenco è parziale, la morale evidente: se la magistratura ha debordato dalle proprie funzioni costituzionali occupando il terreno della politica non è stato a causa di un colpo di mano; è stato perché la politica le ha spalancato le porte. E poco conta che l’abbia fatto per paura (paura di essere ingiustamente incriminati, paura di essere raccontati come una “casta” da giornali e televisioni). La paura, per chi ha responsabilità pubbliche, non può essere una giustificazione. Semmai dovrebbe essere un’aggravante.

Non resta dunque che l’appello di Violante alla Politica affinché “riconquisti la propria sovranità”. E resta il dubbio che di quella sovranità la politica non sappia ormai cosa farne.



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