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Il caso Elkann e la necessità di un vero dialogo intergenerazionale. Scrive Tivelli

I giovani, più che lanzichenecchi, stanno diventando purtroppo una “risorsa scarsa”, oltre che una “materia prima critica”, sul piano numerico, soprattutto visti gli assurdi trend demografici di questo paese, ma sono però anche la risorsa e il bacino più prezioso. Sarebbe ora che le nostre élite scendessero dai palazzi e salissero sugli autobus per scoprire i talenti che si nascondono sotto quei tatuaggi. L’appello di Luigi Tivelli, Academy Spadolini

Oportet ut scandala eveniant. L’ultimo tormentone tra stampa e gioco di sponda con i social è il caso Alain Elkann. Non credo di sovrappormi ai tanti articoli usciti, e che usciranno, né alle, per certi versi legittime, proteste del comitato di redazione di Repubblica. Elkann lo ho conosciuto, specie quando era consigliere dell’allora ministro dei beni culturali Giuliano Urbani che ho sempre frequentato e che sento ancora molto volentieri, ed anche perché talvolta mi ha intervistato per qualche mio libro per la bella trasmissione su La7 che all’epoca conduceva. Ne ho sempre apprezzato l’eleganza e lo stile. Ho sempre saputo però che era figlio ed espressione fisiologica di certe élite. A cominciare da quelle piemontesi (ed anche francesi), che ruotavano, ed in parte ruotano ancora, intorno al mondo di quello che era ed è la Fiat e che in parte ben conoscevo e conosco.
Non credo sia felice di essere tornato alla ribalta con la sua gaffe di ieri. Detto tra noi, credo che mettere insieme la lettura della Recherche di Proust o del Financial Times con ragazzi tatuati, chiassosi di questa generazione mi sembra sia frutto di un po’ di inconsapevole arroganza intellettuale alimentata da una sorta di elitismo fisiologico sia sul piano culturale che sul piano economico sociale. Comunque, in ogni caso, va riconosciuto ad Elkann un merito inconsapevole. Ovvero di aver scoperchiato senza volerlo la pentola fumante e un po’ maleodorante di una delle questioni più importanti per la società italiana odierna: quella del dialogo intergenerazionale.
Per la vita professionale che ho fatto, dentro le istituzioni, anche con ruoli apicali ho dovuto per molti versi stare anche in mezzo alle élite. Poi onestamente, Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Max Weber li avevo letto e studiati già sin da giovane e queste letture mi hanno sempre indotto a stare attentissimo a capire vizi e virtù delle élite politiche, burocratiche, economiche di questo nostro strano Paese. Anche per questo sono sempre stato molto attento non solo a occuparmi, da quando avevo vent’anni (ora ne ho sessantotto), della questione giovanile e dell’occupazione giovanile, ma anche a frequentare sempre i giovani, compresi quelli pieni di tatuaggi e chiassosi. In queste settimane, sono impegnato in un importante ciclo di presentazioni di libri a Sabaudia e spesso prendo un treno locale (che da Roma arriva, purtroppo solo, a 15 km da Sabaudia, anche per la stupidità delle nostre politiche infrastrutturali sin qui condotte…) e salgo volentieri in seconda classe su treni che sono pieni di giovani, quasi sempre tatuati e chiassosi, e di extracomunitari.
In quel tratto di treno rinuncio sempre alle mie letture e al lavoro culturale, cui tengo tanto, per cercare di dialogare, come spesso riesco a fare, con quei giovani, cercando sempre di cogliere il loro lato migliore, perché in ognuno di essi c’è un lato positivo, almeno per chi è capace di coglierlo oltre i propri pregiudizi. La stessa ragione per la quale ad esempio passo tutte le volte che posso alla redazione di Formiche, tra Piazza del Gesù e largo Argentina, per intrecciare qualche ragionamento con quei giovani straordinari che vi lavorano. Sono sempre stato legatissimo, pur vivendo per molto tempo incardinato nelle istituzioni, alla mia dimensione di “cittadino” e di “repubblicano in Repubblica”, come diceva quel grande vicepresidente della Assemblea Costituente che fu il repubblicano Giovanni Conti.
Ho sempre pensato infatti che senza dialogo intergenerazionale non è possibile rilanciare questo Paese. Lo faccio oggi soprattutto in qualità di fondatore e presidente della Academy di cultura e politica Giovanni Spadolini, in cui ci sono “grandi vecchi”, come Giuseppe De Rita, Lamberto Dini, Andrea Monorchio e Paolo Savona, e giovani straordinari, di grande talento (qualcuno pure con i tatuaggi) che vanno stimolati e supportati, ma soprattutto rispettati. In questo momento ho un giovane assistente di 22 anni, laureato in economia e laureando in scienze economiche e lettere moderne, che ho cercato di fare crescere e stimolare al meglio ed è un giovane talento straordinario, ma ne potrei citare tanti altri che risparmio ai lettori, compreso un giovane straordinario di nemmeno vent’anni, membro della nostra segreteria tecnica, di Milano. I giovani stanno diventando purtroppo anche una “risorsa scarsa”, oltre che una “materia prima critica”, sul piano numerico, soprattutto visti gli assurdi trend demografici di questo paese, ma sono però anche la risorsa e il bacino più prezioso del Paese.
Il presidente del Consiglio Meloni ha fatto bene ad evocare il termine ed autodefinirsi come underdog, in sede di presentazione del governo alle Camere. Ma per fortuna la Meloni non è l’unica underdog della repubblica italiana. Conosco non solo grandi o grandissimi underdog anziani che sono saliti sull’ascensore sociale soprattutto grazie allo studio e alla capacità di cogliere i pochi varchi di meritocrazia presenti in questo Paese, ma l’Italia è piena di giovani attuali o potenziali underdog o che cercano il dialogo intergenerazionale o che non ne sono ancora consapevoli dell’importanza, ma ne avrebbero un grande bisogno. Speriamo che il presidente Meloni che fu anche (grazie soprattutto a Gianfranco Fini, fondatore e leader di An) ministro della Gioventù possa essere sensibile alla questione dei giovani e a quella del dialogo intergenerazionale.
Io ho avuto la fortuna di avere grandi maestri come, sul piano politico, Ugo La Malfa e in parte Giovanni Spadolini, e sul piano professionale-istituzionale, Guglielmo Negri o Antonio Maccanico. Spesso i giovani di oggi invece non trovano mentori o maestri. Io quando avevo vent’anni e ricevevo qualche complimento, non ho mai pensato di essere l’unico giovane bravo e trovo man mano giovani talenti non meno bravi di come ero io allora. C’è però un problema. Questi maestri, penso soprattutto a Guglielmo Negri (che si era specializzato ad Harvard nel 1951 ed era stato anche in gioventù assistente di Adriano Olivetti e allievo di GiovanniConti), appartenevano sicuramente alle élite, ma scendevano il più possibile le scale delle più importanti frequentazioni per stare in mezzo alla gente normale o ai giovani, cui dedicavano più tempo di quello che dedicavano alle élite.
Sarebbe il caso che tanti bravi, seri e competenti appartenenti alle élite capissero che bisogna viaggiare anche in seconda classe, frequentare gli autobus (come faceva ad esempio Guglielmo Negri e come ho fatto io, che l’unico romanzo tra i miei 37 libri lo ho scritto proprio dall’autobus), frequentare la vita reale. Ho visto passare decenni in cui Roma sembrava quella che emergeva da certe cene più o meno eleganti delle élite di una certa sinistra e non solo, per quali l’unico vero ombelico del mondo sono quelle case romane (salotti o sedicenti salotti culturali non ne esistono più). Ho visto e vedo non pochi appartenenti alle élite un po’ troppo “retorici” e incapaci di relazionarsi sia con i giovani che con la gente normale.
Tutte esperienze che mi hanno fatto capire che senza un vero e serio dialogo intergenerazionale (che coinvolga anche parte di quei tanti giovani “lanzichenecchi” stigmatizzati da Elkann) non ci può essere vero sviluppo. Senza che le élite, di cui credo di conoscere certamente le virtù, ma anche i loro non pochi vizi, escano dalle loro case dorate per toccare con mano le vere questioni aperte nel Paese, con un po’ di retorica in meno e qualche apertura al dialogo con giovani e persone normali in più, questo paese non si potrà risanare. A questo fine sarebbe il caso di aprire di più finalmente, come è avvenuto in certe fasi, i palazzi del potere ai cittadini e ai giovani. Tutti, specie in seno alla classe politica, cercano di omettere o non considerare la questioni, che se l’astensionismo nelle ultime tornate elettorali è salito fino al 50-60% ci sarà pure una ragione?
Come ci sarà pure una ragione se dalle analisi più accreditate i giovani under 30 che hanno votato alle scorse elezioni siano solo il 10-15%? Non dico “sotto il vestito niente”, ma che sarebbe il caso che non solo un po’ di soloni o di politici o alti burocrati ingessati nei loro doppi petti capissero finalmente che sarebbe loro dovere dialogare, non solo con i figli delle loro stesse élite o dei loro stessi circoli, ma anche con quelli con i tatuaggi, perché sotto quei tatuaggi, per chi la sa cogliere, c’è più istanza e sostanza di quanto si creda. Mi sembra questo il modo migliore per mostrare finalmente vero amore per il proprio paese perché alla ricerca (un po’ troppo diffusa) di qualche carica pubblica da parte di non pochi delle apparenti élite si sostituisca per il bene del paese un serio dialogo intergenerazionale.
Ai giovani che hanno “fame”, non si può distribuire solo qualche brioches come amava fare con i suoi “amati” sudditi, Maria Antonietta. Certo proprio tra le tante tribù dei giovani italiani si potrà trovare anche qualche lanzichenecco o qualche altro tipo di barbaro, ma tra di essi ci sono tanti coraggiosi cercatori di diritti sociali negati e, per chi sa coglierli, dei veri e propri talenti. Sino a poco fa l’unica vera “droga” o “metadone sociale” è stato il più grande progetto di diseducazione al lavoro della storia repubblicana, “il reddito di cittadinanza”. Adesso va offerta una vera alternativa di educazione alle sfide del presente e del futuro. Per non poco grazie anche al dialogo intergenerazionale.
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