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Meloni va da Biden e la Cina alza la pressione sulla Via della Seta

Supply chain, Xi predica unità ma impone limiti. E la Cina attacca l’Europa

Poche ore prima della partenza della presidente del Consiglio per Washington, Pechino fa sentire la sua voce. Un articolo con commento, due editoriali, un’intervista su un giornale cinese e una al Sole 24 Ore, una dichiarazione della diplomazia. Obiettivo: evitare che l’Italia esca (ma la decisione sembra già presa)

La Cina ha deciso di alzare la pressione sull’Italia in vista dell’incontro di domani alla Casa Bianca tra Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e Joe Biden, presidente degli Stati Uniti. In ballo c’è il rinnovo del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, firmato nel 2019 dal governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte: l’esecutivo Meloni sembra intenzionato a non rinnovare l’accordo e starebbe cercando tempi e modi più appropriati per comunicarlo a Pechino. Che, però, non ci sta. Nelle ultime ore il Global Times ha pubblicato un articolo con commento, un editoriale, un’intervista all’ambasciatore in Italia e un commento esterno; il ministero degli Esteri si è espresso sulla questione; il capo delle relazioni internazionali del Partito comunista ha dato un’intervista al principale quotidiano economico d’Italia. Interventi che sembrano orientati tanto all’Italia come avvertimento quanto (se non di più) alla Cina per “lamentare” il passo indietro di Roma. Inoltre, come spiegato su Formiche.net, Meloni e Biden parleranno sì di Cina, ma più della competizione tra le due superpotenze che del singolo dossier Via della Seta (che, per giunta, non coinvolge direttamente gli Stati Uniti).

GLI ARTICOLI DEL GLOBAL TIMES

Lunedì il Global Times si è interessato alle indiscrezioni sulla possibilità uscita dell’Italia del memorandum e alle parole di Meloni che ha domenica aveva spiegato che con Biden ci sarà un confronto sulla Cina ma non nello specifico sul memorandum della Via della Seta, una questione che “non mi è mai stata posta”. La “smentita” è “un riconoscimento de facto del fatto che gli Stati Uniti stanno esercitando pressioni sull’Italia affinché si ritiri” dall’accordo, ha commentato Wang Yiwei, direttore dell’Istituto di Affari Internazionali dell’Università Renmin della Cina, ha dichiarato lunedì al Global Times.

Il giorno dopo il quotidiano ha avvertito che non è “accettabile o appropriato” che la questione, che riguarda Italia e Cina, diventi tema di discussione tra Italia e Stati Uniti. Inoltre, ha respinto di Meloni secondo cui “si possono avere buone relazioni, anche in ambiti importanti, con Pechino senza che necessariamente queste rientrino in un piano strategico complessivo”, come aveva spiegato in un’intervista al quotidiano Il Messaggero. Infine, ha minacciato l’Italia con la stessa retorica adottata in questi ultimi mesi dalla diplomazia cinese, a partire dall’ambasciatore a Roma, Jia Guide: se esce da “una piattaforma che ha dimostrato la fiducia politica reciproca e ha migliorato il livello strategico della cooperazione tra i due Paesi, ci sono tutte le ragioni per essere preoccupati del potenziale impatto negativo”.

Lo stesso giornale ha pubblicato un articolo di Deborah Veneziale, presentata come “giornalista americana di base in Italia”, secondo cui l’Italia non dovrebbe rinunciare ai vantaggi economici della Via della Seta per seguire gli Stati Uniti nella geopolitica. A novembre la stessa giornalista aveva dato un’intervista al Global Times mettendo in contrapposizione gli Stati Uniti, “un Paese che è stato originariamente costruito sulla schiavitù e sul genocidio”, e “l’ascesa pacifica della Cina”. Il suo intervento in particolare sembra avere come destinatario principale la Cina, con un messaggio che accusa l’Italia (arrivando per giunta dall’esterno) di voler rinunciare alla Via della Seta (progetto del leader Xi Jinping che proprio quest’anno festeggia il decennale) per colpa degli Stati Uniti.

LE PAROLE DELL’AMBASCIATORE

L’ambasciata Jia è stato protagonista di un’intervista “esclusiva” allo stesso giornale. Il racconto della cooperazione sulla Via della Seta come futile è infondato, perché i fatti parlano da soli, ha dichiarato l’ambasciatore. I numeri, però, dicono il contrario e negando l’idea di cooperazione win-win spinta da Pechino. Nell’intervista, Jia cita anche l’accordo dell’italo-francese STMicroelectronics – che soltanto a ottobre aveva ricevuto 292,5 milioni per uno stabilimento a Catania pensato per rafforzare l’autonomia strategica italiana ed europea sui chip – per una joint-venture con Sanan Optoelectronics, che ha lo Stato cinese come azionista di maggioranza.

Non è la prima volta. L’aveva fatto un mese fa intervistato da Fanpage. Come già evidenziato su Formiche.net, anche questa operazione dovrebbe passare sotto i controlli del Golden Power, con cui recentemente il governo italiano è intervenuto per limitare l’influenza cinese su Pirelli.

LE DICHIARAZIONI DI ALTRI DUE DIPLOMATICI

Altri due diplomatici cinesi sono intervenuti sulla questione nelle ultime ore. “È nell’interesse di entrambe le parti sfruttare ulteriormente il potenziale della nostra cooperazione” sulla Via della Seta, ha detto ieri Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, nel consueto briefing quotidiano.

Liu Jianchao, capo del dipartimento per le relazioni internazionali del Partito comunista cinese, reduce da un viaggio in Italia a fine giugno in cui ha tentato di far leva su aziende e partiti, ha concesso un’intervista al Sole 24 Ore spiegando che “nel considerare l’eredità storica, si deve superare l’inerzia e si devono attribuire nuovi contenuti strategici al rapporto Cina-Italia”, che con “nuovi dialoghi politici formano nuovi consensi” e “si intensificano gli scambi istituzionali, dei partiti delle autorità locali, e si rafforza il coordinamento sull’agenda internazionale e in seno alle organizzazioni multilaterali” (parole pronunciate, non a caso, in una settimana in cui Roma è al centro dell’attenzione globale anche per la Conferenza sui migranti e il vertice Fao). Inoltre ha indicato nell’industria manifatturiera, nell’energia pulita e nell’aerospazio le aree di cooperazione “da potenziare” auspicando che “le imprese cinesi in Italia vengano trattate in modo equo”. Una retorica vittimistica che critica i paletti imposti dall’Italia e dai Paesi occidentali per limitare l’influenza del governo cinese sulle imprese nazionali e che, allo stesso tempo, dimenticare i molti report sulla mancanza di reciprocità per le aziende occidentali in Cina.



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