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Il mea culpa di Londra sulla gestione del caso Wagner

Un report pubblicato dal Comitato Affari Esteri del Parlamento britannico denuncia l’impreparazione del governo di Sua Maestà ad affrontare la minaccia del caso Wagner. Ma propone anche alcune soluzioni e mantiene alta l’attenzione su altre realtà

La Gran Bretagna non è stata in grado di realizzare e gestire per tempo l’effettiva minaccia rappresentata dal gruppo Wagner al suo interesse nazionale, e potrebbe farlo ancora con altri fenomeni simili. Sono queste le conclusioni del report “Guns for gold: the Wagner Network exposed” pubblicato dal Foreign Affairs Committee della House of Commons britannica: un documento di 82 pagine in cui il comitato individua i principali errori commessi dall’apparato governativo nel gestire l’oramai nota compagnia di sicurezza privata, suggerendo anche delle possibili azioni da intraprendere per limitare ulteriormente i danni.

Nel documento viene ricostruita la storia di Wagner (definito come network, anziché gruppo, per la sua natura tanto estesa quanto poco strutturata) e del suo impiego in Crimea, Ucraina ed altri teatri operativi, soprattutto africani, dove la presenza di miliziani della compagnia fondata da Yevgeny Prigozhin è considerata come certa, probabile o possibile. In contemporanea, vengono delineate le conseguenze negative registrate nei teatri dove la Wagner è stata impiegata; tali conseguenze includono un aumento delle vittimi civili, un indebolimento dei processi di governance democratica e una riduzione del controllo da parte dello stato cliente sui propri asset economici. Un caro prezzo da pagare, per un risultato apparentemente mediocre: dal report emerge infatti che i casi in cui Wagner è riuscita a realizzare gli obiettivi originari dietro al suo dispiegamento sono decisamente minoritari.

Ma oltre a dare una panoramica generale, l’inchiesta parlamentare si focalizza sulle implicazioni che le attività di Wagner hanno avuto sulla sicurezza nazionale britannica. Le conseguenze principali comprendono la distorsione nelle relazioni diplomatiche con altri paesi (quanto avvenuto in Mali ne è un esempio lampante), l’incremento nell’intensità delle dinamiche di instabilità locali, l’indebolimento dell’ordine internazionale e un rafforzamento di gruppi d’interesse che ricorrono alla violenza.

Come risposta, per quanto tardiva, dall’inizio del conflitto in ucraina il Regno Unito ha preso una serie di provvedimenti che vanno a toccare più o meno direttamente l’universo wagnerita. Il tracking di individui e di entità che fanno parte della rete ha permesso di sanzionarli, anche se in una proporzione decisamente minore a quella dei partner europei e statunitensi. E al momento manca un’azione diplomatica effettiva, atta a prevenire un ulteriore diffusione di Wagner nel teatro globale.

Tra i suggerimenti proposti dal comitato parlamentare, rientrano proprio l’istituzione di un meccanismo formale per coordinare con gli alleati le sanzioni rivolte al network facente capo a Prigozhin. Altre proposte incluse nel documento riguardano l’introduzione di travel ban per gli individui riconosciuti come facenti parte del Wagner network, la condivisione dei dati di intelligence e il ricorso ad un approccio “bastone e carota” per scoraggiare altri paesi a ricorrere ai servizi offerti dalla Pmc.

Ma quello di Wagner è solo un epifenomeno di un problema più grande. Sorcha MacLeod, capo del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sull’uso dei mercenari, ha messo in guardia sull’aumento “estremamente preoccupante” dell’uso delle private military companies come proxy da parte della Russia e di altri attori. Alcuni osservatori hanno richiamato l’attenzione sulla significativa crescita del settore privato cinese nel contesto della Belt and Road Initiative, e hanno avvertito che in futuro altri Paesi potrebbero prendere in considerazione l’utilizzo di proxy in modo simile alla Russia, come ad esempio l’Iran, ma anche la Turchia.


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