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Smacco del Senato alle pressioni russe. La lettura di Polillo

Il Parlamento italiano ha approvato la mozione n. 45 sul riconoscimento dell’Holodomor come genocidio ai danni del popolo ucraino e bene ha fatto il ministro degli Esteri Antonio Tajani a rimandare al mittente la missiva firmata dall’Ambasciata russa. Il commento di Gianfranco Polillo

Nei codici che regolano i rapporti diplomatici, il normale interlocutore dell’ambasciatore, residente in loco, è il ministero degli Affari Esteri. A volte, ma già questo è raro, la missiva può essere indirizzata al presidente del Consiglio, che è il capo del governo. Del tutto irrituale è invece rivolgersi, come ha fatto l’Ambasciata russa, ai rappresentanti delle Assemblee elettive, nella speranza di condizionarne il voto. Una sgrammaticatura evidente, per non dire di peggio, considerato che il Parlamento è organo della sovranità popolare. E che quindi eventuali interferenze estere devono essere considerate alla stregua di qualsiasi violazione del principio di indipendenza.

Spigolature, si dirà. Considerato quanto sta avvenendo in Ucraina o le interferenze più vistose che si sono viste nel caso della Brexit o delle elezioni americane, che portarono alla presidenza di Donald Trump. In quei casi, indubbiamente ben più gravi, le operazioni erano state nascoste. Portate avanti da hacker, che avevano inondato, in modo clandestino, il mondo dei social, senza mai scoprire la loro effettiva nazionalità. Di conseguenza era stato facile, da parte russa, respingere ogni possibile accusa. Attribuendo quelle denunce ai soli atteggiamenti preconcetti di un Occidente speranzoso mittente di screditare la figura del suo antagonista.

Oggi quest’atteggiamento vittimistico non regge più. Di fronte all’iniziativa assunta dal Parlamento italiano di approvare la mozione n. 45 sul riconoscimento dell’Holodomor come genocidio ai danni del popolo ucraino, l’Ambasciata russa è dovuta uscire allo scoperto. “Si vuole sperare che i senatori italiani, a differenza dei loro colleghi dalla camera bassa, – è scritto su Telegraph, il sito dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia – mostrino lungimiranza e ampiezza delle vedute storiche e non seguano la via della propaganda del mito politico e ideologico fomentato dalle autorità ucraine per compiacere le forze ultranazionaliste, neonaziste e russofobe e i loro patroni angloamericani”.

Segue quindi la versione edulcorata di quegli avvenimenti. Vale a dire del cosiddetto “holodomor come genocidio del popolo ucraino”. La carestia del 1932-1933, a differenza di altri casi (si vedano le atrocità compiute nei vari teatri di guerra della stessa Ucraina) non è disconosciuta, ma essa non fu conseguenza dei crimini staliniani, bensì “il risultato della sovrapposizione degli errori gestionali da parte delle amministrazioni regionali delle zone agricole dell’Urss sulle condizioni climatiche sfavorevoli dei primi anni ’30”. Quindi le tesi dell’“holodomor-genocidio”, secondo l’Ambasciata sono semplicemente false. Basate sulla mancanza di “accuratezza scientifica” ed “autenticità storica”. Frutto di “manipolazioni e distorsioni, falsificazioni dei dati sui numeri dei morti”. Con l’intento evidente della calunnia.

Siamo ritornati, d’un balzo, come si può facilmente vedere, a prima del XX Congresso del Pcus, che segnò grazie a Nikita Krusciov, nuovo segretario del Partito, l’avvio del processo di destalinizzazione. E forse non è un caso che lo stesso Krusciov fosse di nazionalità e formazione culturale ucraina. Ragione in più per il neo stalinismo ritornante di Putin, in salsa sciovinista, per prendere le distanze da quella tragedia (quale repressione, ma semplici cause naturali!) che rappresentò una delle pagine più buie di quel tragico trentennio: dal 1922 al 1953, in cui la dittatura violenta di Josef Stalin riuscì ad emulare se non superare le barbarie naziste.

Ovviamente le giustificazioni postume dell’Ambasciata russa sono smentite dai fatti e dalle ricostruzioni storiche che quei fatti hanno accertato. La grande carestia fu soprattutto conseguenza di una politica economica dissennata, nel nome di un collettivismo esasperato, che privava il contadino della maggior parte dei frutti del suo lavoro. E che, all’inevitabile resistenza di quest’ultimo, rispondeva a con una repressione disumana. Arresti, deportazioni, fucilazioni in massa, in quelle terre che erano il “granaio d’Europa”, mentre agli eventuali fiancheggiatori, esponenti di un ceto più illuminato, veniva riservata l’accoglienza nei gulag, che furono allora, per le prime volte, sperimentati.

Nemmeno la faccia tosta di Alexey Paramonov, l’attuale ambasciatore russo a Roma, riuscirà a cambiare questa realtà. Nel marzo 2008 era stato il Parlamento dell’Ucraina e diciannove altre nazioni indipendenti a qualificare quelle azioni come atti di genocidio. Cinque anni prima l’Onu aveva definito la carestia come il risultato di politiche e azioni “crudeli” che provocarono la morte di milioni di persone. Si era poi unito, nella condanna, il Parlamento europeo. Non solo atti ricognitivi. Ma prese di posizioni politiche inequivocabili, destinati a marcare quel confine tra verità ed oblio, che si vorrebbe ora cancellare.

Quella lettera, quindi, secondo le parole di Antonio Tajani, il nostro ministro degli Esteri, andava giustamente respinta al mittente. Se non altro perché recava in sé un giudizio estremamente negativo nei confronti della Camera dei deputati, che, per prima si era espressa, sulla vicenda. Deputati descritti come poco “lungimiranti” e faziosamente a corto di ampie vedute storiche. Tutte aggettivazioni, che anche al di là del giudizio sulla vicenda storica, hanno unito nel voto la quasi unanimità dei senatori. Solo quattro astensioni: la sinistra-sinistra e i Verdi. Ancora troppo avviluppati in un storico cordone ombelicale dal quale non riescono ad emanciparsi. Che peccato!



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