New space dialogue, responsible behaviors, innovative new commercial space partnerships: il professor Paolo Gaudenzi spiega il significato di tre concetti fondamentali della dichiarazione congiunta di Biden e Meloni sulla partnership rafforzata tra i due Paesi. “La vera ricchezza da stimolare è la ricchezza di idee, proveniente anche da mondi che non necessariamente sono prettamente spaziali”
Un nuovo dialogo spaziale, un comportamento responsabile in orbita e nuovi partenariati spaziali commerciali innovativi sono i punti spaziali più salienti della dichiarazione congiunta dei due premier, Giorgia Meloni e il presidente americano, Joe Biden. L’analisi del professore dell’Università La Sapienza, Paolo Gaudenzi.
Perché professore, in senso generale, è da considerarsi significativa la dichiarazione rilasciata dalla Casa Bianca?
La dichiarazione Meloni-Biden dedica allo spazio una grande attenzione per le relazioni bilaterali, e acquista ancora maggiore enfasi nel contesto di altri punti fondamentali. Il primo di questi riguarda l’importanza attribuita alla scienza e alla tecnologia, posto alla conclusione del testo, come un sigillo finale: i due Paesi si impegnano a trovare “new ways to enhance high level research and exchanges”. Vi è poi un altro aspetto, contenuto invece nella premessa, che vede sottolineare, poche righe dopo aver ribadito che siamo Paesi alleati, amici e partner strategici, l’importanza della “Italian American community”. Questo significa valorizzare una presenza assai consistente di italiani in America, fatta dagli italo-americani di vecchia generazione, ma anche da giovani studenti e startupper, imprenditori e professori impegnati nelle università e nei centri di ricerca americani. Si tratta di un elemento di forza straordinario, a cui non pensiamo con sufficiente attenzione. C’è dunque una comunità Italo-americana molto articolata e di grande qualità e storia, su cui far leva per sviluppare le collaborazioni tra Italia e Stati Uniti, anche nel settore spaziale.
Nella dichiarazione congiunta resa nota dalla Casa Bianca, si fa riferimento alla creazione di “un nuovo dialogo spaziale” per promuovere la cooperazione industriale. Cosa si intende?
Quando si parte con il dire che c’è non solo un’alleanza ma si parla di “strategic partnership” and “deep friendship” si comprende che l’intenzione sia quella di accelerare e di rafforzare i rapporti. Il “New space dialogue” citato nella dichiarazione è un concetto-chiave e significa che Italia e Stati Uniti sono pronti a mettersi insieme, in qualità di amici, alleati e strategic partner, attorno allo stesso tavolo per discutere del futuro, promuovendo nuove forme di cooperazione e sviluppando una visione comune. È un concetto-chiave di grandissimo peso.
Nel dialogo nello studio ovale, Biden e Meloni hanno ribadito la centralità degli Artemis Accords. In che modo potrà proseguire la cooperazione già iniziata nel 2020?
In primo luogo, significa riconoscersi nelle complesse attività programmatiche, ma anche nei principi stabiliti dal programma Artemis. Anche in questo caso vi è una proiezione strategica di grande importanza, perché significa nuovamente collaborare insieme al più grande programma di esplorazione dei nostri giorni, ma pensando anche ai principi che questo programma ha ispirato e raccogliendone le sfide. Partiamo dall’esistente ma guardando al futuro. Insieme a due colleghi di medicina della Sapienza, il professor Bizzarri e il professor Angeloni, proprio in questi giorni abbiamo pubblicato un paper che tratta di biologia e medicina spaziale. Tale report fornisce un quadro generale delle sfide per il manned space flight che sono presenti nel programma Artemis, una missione concepita sulla base degli straordinari risultati delle missioni Apollo che contiene un salto epocale nelle ambizioni e negli obiettivi.
Andare sulla Luna per restarci è infatti molto più impegnativo rispetto a missioni di breve durata che non garantiscono una permanenza continua. Per missioni di lunga durata, anche sulle stazioni spaziali, le sfide per la fisiologia e per la psicologia sono di grandissima portata. Occorre rispondere con approcci multidisciplinari, dove però le diverse ingegnerie che supportano lo sviluppo dei sistemi spaziali devono sposarsi con le scienze della vita, e insieme creare le condizioni per rendere vivibile l’habitat lunare.
Si cita inoltre l’importanza di affrontare le minacce spaziali attraverso norme, regole e principi di comportamento responsabile. Potrebbe essere un segnale che indica che vi sarà un aggiornamento del Trattato sullo spazio extra-atmosferico risalente ormai al 1967?
Dopo il “new space dialogue”, richiamo ai “responsible behaviors”: è il secondo concetto-chiave della dichiarazione congiunta sul tema spazio. Trovo molto saggio ancorare ai “responsible behaviors” il riferimento a norme, regole e principi e quindi alla necessità di fare uno sforzo sulla legge spaziale e sui trattati internazionali, una necessità che è di fronte agli occhi di tutti. Si tratta però di promuovere e implementare un comportamento responsabile nei programmi spaziali in corso e in quelli futuri, anche senza aspettare nuove leggi e trattati internazionali, ma rafforzando il loro conseguimento e impegnandosi per la loro definizione anche sulla base di prassi virtuose. Il principio di un comportamento responsabile, già contenuto d’altra parte nello “Outer space treaty”, può sostenere la definizione delle nuove normative a livello internazionale, se adottato come regola da parte di un sempre maggiore numero di Stati anche sulla base di normative nazionali.
Tali regole saranno le stesse per tutti gli ambiti spaziali?
Le condizioni operative di esercizio dei sistemi spaziali, siano essi manned o no, dipendono dai diversi ambienti spaziali. Tante nuove attività si stanno già promuovendo in diversi ambienti spaziali, dall’orbita bassa a quella geostazionaria da ambiti cislunari a quelli interplanetari, per ognuno di questi contesti le regole possono essere anche diverse. Possiamo pensare infatti di dotarci di regolamenti non per lo spazio in generale ma per esempio nello specifico per l’orbita bassa, che a causa dei consistenti e numerosi detriti presenti si troverà rapidamente in difficoltà nella gestione delle operazioni spaziali. Alcune grandi aziende di telecomunicazioni stanno prendendo ad esempio in considerazione di posizionare le proprie costellazioni a 1100- 1200 chilometri di quota, più distanti dalle orbite tipiche dell’osservazione della Terra e utilizzate recentemente per le costellazioni spaziali dedicate alla connettività, già congestionate.
Le orbite basse stanno quindi “salendo” sempre più, perché intorno ai 600-700 chilometri lo spazio è già molto popolato e rischioso perché aumenta la probabilità di un impatto. Il comportamento responsabile citato nella dichiarazione può essere declinato specificamente nei diversi ambiti: nell’orbita bassa, come nelle attività lunari, si deve agire con responsabilità. Nei nuovi trattati bisognerà considerare degli aspetti diversi a seconda dell’ambito spaziale che si andrà a popolare. L’orbita bassa, infatti, non è la Luna e, analogamente, le stazioni spaziali non sono i satelliti artificiali senza uomini a bordo. La mia impressione è che quando si andrà a definire un nuovo insieme di regolamenti si dovrà tener conto delle specificità di ambiti e di funzioni che si svolgono nei diversi contesti.
Non solo, nella dichiarazione si accolgono con favore nuovi partenariati spaziali commerciali innovativi, anche per far progredire il volo umano nello spazio. A cosa si fa riferimento?
Il far riferimento alle “innovative new commercial space partnerships” è il terzo elemento-chiave di grande importanza presente nella dichiarazione. Si parla in particolare di volo umano e credo che ci sia uno spazio molto ampio per attività commerciali, anche non pensate solo per la ricerca e sviluppo, ma per un’utilizzazione dell’ambiente spaziale condotta tipicamente con uomini a bordo. Si tratta dunque di applicazioni delle quali le nuove stazioni spaziali, anche quelle private, potranno in futuro dare larga applicazione. Un esempio tipico, riferendoci anche anche ai voli suborbitali, è l’ultimo di Virgin Galactic che ha coinvolto il Colonnello Villadei e altri ufficiali e ricercatori italiani. Se si ha la necessità di fare un esperimento, si può andare nello spazio pagando un volo come una utility, ma questo può essere fatto per diversi scopi, non necessariamente scientifici. Mi sembra quindi nasca uno scenario tutto nuovo di opportunità commerciali che, soprattutto per l’orbita bassa abitata, quindi per stazioni commerciali umane, darà luogo a una grande quantità di possibili applicazioni.
Quali saranno queste applicazioni commerciali? E perché si dovrebbe pagare per andare in orbita bassa o per un volo suborbitale per trascorrere un certo periodo e nello spazio?
Le prime cose che vengono in mente sono il turismo spaziale e la conduzione di esperimenti scientifici che richiedano l’assenza di gravità. Lo spazio diventa così, come abbiamo detto, una forma di utility, a disposizione di una vasta gamma di scienziati e di operatori, ma anche di sviluppatori e innovatori industriali che non devono sviluppare conoscenze di base ma realizzare delle tecnologie o realizzare dei prototipi che, sviluppati in orbita bassa, possono garantire la messa a punto di soluzioni tecnologiche innovative. Lo spazio può quindi diventare quindi una utility anche per l’innovazione e lo sviluppo di prodotti. Non si deve poi dimenticare che lo spazio ha una potente attrattività mediatica e, anche per obiettivi commerciali, permette un grande ritorno in termini di visibilità e comunicazione rispetto ad alcune applicazioni. Infine occorre pensare che le tipiche applicazioni spaziali quali telecomunicazioni, osservazione della Terra e navigazione, che oggi sono gestite da sistemi artificiali e da costellazioni unmanned, possono anch’esse beneficiare di attività svolte da attività su stazioni abitate. Vi è dunque un naturale possibile potenziamento delle attività svolte in orbita bassa, essenzialmente manned, per gli stessi stessi canali di applicazione per i quali oggi sono pensate tutte le attività di satelliti artificiali senza uomini a bordo.
Il sostegno viene espresso dunque anche in merito alle stazioni spaziali commerciali. Sappiamo infatti che la società texana Axiom sta sviluppando il suo primo avamposto commerciale in orbita. Che ruolo avrà l’Italia nella privatizzazione dello spazio? Sia in chiave bilaterale con gli Stati Uniti sia in autonomia?
Basti pensare al ruolo nel manufacturing di questi veicoli ad alta tecnologia, ad esempio, alle capacità industriali di Thales Alenia Space Italia che venta una lunga tradizione di costruzione di moduli di stazioni, una capacità che sarà sfruttata anche per le nuove iniziative Axiom. Vi sono quindi competenze e capacità industriali di primo ordine in Italia che la rendono pronta a tale sfida. Ma, oltre alle capacità produttive, l’Italia può vantare le professionalità dei propri astronauti, un insieme di professionisti che dispongono di competenze uniche e che, al di là delle specifiche competenze per il volo spaziale, si articolano anche nelle capacità di sviluppo tecnologico e di promozione dell’innovazione e, con essa, delle ricadute delle tecnologie spaziali sulle tecnologie terrestri.
Quindi su cosa puntare?
Io credo che il nostro Paese non solo possa sempre meglio mettere a frutto le sue competenze e capacità industriali e operative nello spazio, ma che l’Italia possa essere protagonista nel concepire nuove applicazioni. La vera ricchezza da stimolare è infatti la ricchezza di idee, proveniente anche da mondi che non necessariamente sono prettamente spaziali. La Space economy che interessa realmente promuovere, e che può generare i frutti più importanti, è infatti quella che non interessa strettamente le competenze spaziali, ma quella di altri soggetti economici e istituzionali che vedono nello spazio delle occasioni, comprendendo che l’utilizzo dello spazio possa portare nuove opportunità di business e di benefici per la cittadinanza e la società. Il ruolo dell’Italia sta dunque anche nella creatività di concepire quello che si può fare nello spazio. In merito, cito spesso un motto di Seneca: “nessun vento è favorevole per il marinaio che non conosce il suo porto di approdo”. Se non si sa dove si vuole andare e cosa si vuole ottenere dalla propria missione spaziale, è difficile che lo si ottenga. Bisogna quindi promuovere la creatività, per porci obiettivi ambiziosi e una visione nuova dello spazio.
In che modo?
Ovviamente è compito degli specialisti del mondo spaziale far sapere a una comunità molto più vasta quali siano le missioni spaziali possibili, dove si trovino le opportunità e quali siano le condizioni o i limiti per la loro realizzazione, ma la vera Space economy ci sarà soltanto se si coinvolgeranno come protagonisti nello spazio comunità che non hanno strettamente a che vedere con lo spazio stesso. D’altra parte sono la storia delle attività spaziali con l’esempio del broadcasting televisivo via satellite, ma anche la cronaca, con lo sviluppo delle costellazioni per la connettività Internet, a rappresentarcelo con evidenza.