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Le bodycam cinesi ai poliziotti e l’esempio britannico per gestire l’influenza di Pechino

Per affrontare seriamente la Cina non basta più accendere i riflettori su singole tessere del mosaico (5G, porti e cavi sottomarini, reti energetiche, smart cities, videosorveglianza ecc.), ma serve una visione di insieme. Il Parlamento britannico ha pubblicato un report dettagliato, molto apprezzato anche dal premier Sunak. Secondo Marco Mayer, docente Lumsa, sarebbe la strada giusta anche in Italia

In questi giorni le bodycam cinesi destinate alla Polizia di Stato hanno riacceso l’attenzione sulle forniture tecnologiche provenienti dal Dragone. Si tratta di un tema più volte sollevato dal Copasir e che ha radici lontane.

Ricordo per esperienza diretta che nel biennio 2016/17 la Consip fornì al Viminale una mega fornitura di smartphones Huwaei quando l’azienda era già al centro di indagini per spionaggio negli Stati Uniti.

A questo punto più che rincorrere i singoli casi (come si è fatto sinora) ciò che manca è una visione di insieme che consenta al Parlamento e all’opinione pubblica di valutare se e come la presenza cinese presenti rischi effettuali e/o potenziali per i nostri interessi nazionali.

Sulla scia di quanto ha fatto recentemente il Regno Unito e prima di assumere una decisione ufficiale sul rinnovo del memorandum sulla Via della Seta, il Governo dovrebbe elaborare un rapporto dettagliato a 360 gradi sui pericoli connessi alla presenza cinese in Italia che specie in alcune aree appare tuttora particolarmente pervasiva.

Si tratta di esaminare sia quanto avviene nel territorio nazionale sia come il Dragone si comporta in alcuni paesi stranieri dove è alto il rischio di un conflitto con i nostri interessi nazionali.

Come si concilia ad esempio il nostro “Piano Mattei” con i comportamenti della Cina in paesi quali la Libia e il Niger? In Libia la crescente influenza cinese non si limita ad allinearsi al sostegno russo per il generale Haftar in Cirenaica, ma si muove con un approccio decisamente più ampio teso a collegare gli interessi cinesi in Libia con i progetti di penetrazione e di influenza in altri paesi africani.

Un campo da non sottovalutare è quello dell’energia nucleare in cui Mosca e Pechino mostrano una crescente strategia convergente che partendo dalle miniere di uranio comprende la costruzione delle centrali di produzione e delle relative reti energetiche.

Mosca proprio in questi giorni ha confermato con Rosatom costruzione della centrale nucleare di Dabaa in Egitto. In Niger la Cina riapre una delle più importanti miniere di uranio che tra l’altro presenta inquietanti interrogativi per i livelli di inquinamento radioattivo indotto nei decenni precedenti dalla massiccia attività di estrazione condotta da aziende francesi.

Ho accennato all’inizio all’approccio strategico adottato dal Regno Unito perché offre un utile esempio a cui potremmo ispirarci.

Il Comitato Intelligence e Sicurezza del Parlamento britannico (in seguito ad un lavoro iniziato nel 2019) il 13 luglio scorso ha presentato il rapporto sui rischi rappresentati dalla penetrazione cinese nel Regno Unito.

Nel testo citato da Politico le minacce (effettive e potenziali) agli interessi nazionali del Regno Unito da parte del Dragone sono esaminate a 360 gradi: dalle reti di spionaggio agli investimenti in aziende, dall’energia nucleare alle telecomunicazioni, dalla ricerca alla penetrazione nelle università, dai media alle campagne di disinformazione, ecc.

Scorrendo le oltre 200 pagine della relazione – anche se alcuni elementi sono secretati tramite codici – si possono osservare alcune carenze rilevanti e soprattutto i numerosi ritardi nelle attività di intelligence britannica sulla Cina.

Rincorrere gli eventi più che prevederli e prevenirli è un limite che si riscontra anche in Italia. Nel Regno Unito come nel nostro paese il ritardo più che da deficienze tecniche è da attribuirsi soprattutto alla leggerezza con cui la classe politica e parlamentare ha guardato alla crescente influenza del pianeta Cina in Europa.

In ambedue le nazioni i flussi finanziari cinesi e gli indubbi vantaggi a breve termine hanno oscurato una visione strategica di medio e lungo periodo causando gravi danni in materia di sicurezza nazionale.

In Italia esiste da oltre dieci anni un vasto fronte trasversale in parlamento che (più o meno consapevolmente) ha ignorato i tanti segnali di allarme dell’intelligence (soprattutto, ma non solo in campo digitale) sui pericoli che la penetrazione cinese rappresenta per gli interessi nazionali dell’Italia.

Basti ricordare l’ingresso in Cdp Reti ispirata da Renzi e Padoan già nel 2014, la vicenda Pirelli, l’apertura di alcuni porti alla gestione di imprese cinesi nonché il loro coinvolgimento nei progetti smart cities delle grandi città, ecc.

È utile anche ricordare (e ancora meglio riascoltare) gli interventi di alcuni parlamentari alla Camera in aperta difesa di Huwaei e di Zte per rendersene conto.

Il punto centrale è che per affrontare seriamente la Cina non basta più accendere i riflettori su singole tessere del mosaico (5G, porti e cavi sottomarini, reti energetiche, smart cities, videosorveglianza ecc.), ma serve finalmente una visione di insieme.

Del resto solo con una analisi a 360 gradi si possono identificare i molteplici progetti di cooperazione con la Cina che l’Italia può intraprendere senza andare incontro a rischi particolari.

A questo scopo il Copasir potrebbe chiedere al Senatore al Sottosegretario Alfredo Mantovano che gli organismi di intelligence predispongano un rapporto simile a quello elaborato nel Regno Unito.

È un materiale che serve perché i partiti politici, il mondo imprenditoriale e sindacale, le istituzioni accademiche, le nuove start up, ecc. non sono informate sui pericoli a cui possono andare incontro e per farsi che non si ripetano più casi come quelli della Pirelli a cui è difficilissimo rimediare efficacemente ex post.

Nel Regno Unito il Primo Ministro Rishi Sunak ha apprezzato il rapporto sulla Cina anche perché esso ha messo in luce in modo dettagliato gli errori e le sottovalutazioni politiche con cui il Regno Unito ha sinora risposta alla minacce e alle sfide del Dragone.

In analogia al premier Sunak anche il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tutto da guadagnare da una operazione verità sulla Cina in Italia anche se essa dovesse mettere in imbarazzo qualche parlamentare del suo partito e di altri gruppi di maggioranza.

Il costante richiamo agli interessi strategici della Nazione implica inevitabilmente la necessità di colpire tutti gli interessi di bottega, anche quelli di amici e consulenti.

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