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Varsavia, la minaccia della Wagner e il corridoio di Suwalki

Di Giulia Gigante

Secondo quanto riportato dal Premier Morawiecki, cento mercenari della Wagner si sono mossi verso il corridoio Suwałki. Se Putin intende ricordare ai polacchi “il dono di Stalin”, la storia nazionale polacca dovrebbe far notare che dalla rivoluzione cadetta al miracolo della Vistola fino alla rivolta di Varsavia, la Polonia non ha mai indietreggiato dinanzi al nemico alle porte

Per troppi anni, europei e asiatici hanno declassato i timori di Varsavia al rango di piagnisteo revanscista, o peggio di “vittimismo strumentale”. Oggi, esaminando gli interessi nazionali in ballo e le rispettive politiche di allargamento, possiamo affermare che quello polacco non è proprio classificabile come infondato allarmismo. La narrazione e l’interpretazione del conflitto da parte della Repubblica di Polonia rimandano all’asserzione delle Muse nel proemio del poema cosmogonico e teogonico di Esiodo. “Esse sanno dire molte menzogne simili al vero, ma anche cantare cose vere quando vogliono”.

Mentre l’intero voivodato della Masovia si prepara alle sirene che suoneranno il 1° agosto, alle 17:00 (l’ora W), in onore del 79° anniversario dello scoppio della Rivolta di Varsavia, Mateusz Morawiecki lancia l’allarme da Gliwice e da Tychy: “Cento mercenari della Wagner si sono mossi verso l’istmo di Suwałki”, il corridoio che collega la Polonia con gli Stati baltici e che separa la Bielorussia dall’exclave di Kaliningrad.

Una notizia che era stata anticipata da Aljaksandr Lukašenko durante l’incontro avvenuto il 23 luglio con Vladimir Putin.

“Quelli di Wagner mi stressano, vogliono fare un’escursione a Varsavia e a Rzeszów” aveva dichiarato il dittatore bielorusso, ventiquattr’ore dopo la minaccia sibilata dal presidente russo, secondo il quale “parte dei territori polacchi sono un dono di Stalin, (…) e glielo ricorderemo”.

Lukašenko sottopose a Putin le direzioni strategiche tracciate e intraprese dai mercenari di Evgenij Prigožin, srotolando una mappa sul trasferimento delle forze armate polacche verso i confini con la Bielorussia. “Stanno coinvolgendo attivamente i mercenari” avrebbe annunciato il capo di Minsk “(…) una delle brigate ha trovato posto a 40 chilometri da Brest, e a poco più di 100 chilometri da Grodno è stata trasferita la seconda brigata, mentre Rzeszów sta diventando un campo d’aviazione dove gli americani fanno circolare le attrezzature (…) per quanto riguarda le milizie di Prigozhin per il momento nessun problema, le tengo al campo, in Bielorussia, come abbiamo concordato. Non voglio spostarle da lì perché non sono di buon umore”.

Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick sosteneva che la deterrenza è l’arte di creare nell’animo dell’avversario il terrore di attaccare. Sta di fatto che le avvisaglie di Putin e Lukašenko non hanno ottenuto l’effetto sperato. Varsavia non è scivolata nel panico. È lucida e churcillianamente ha fatto tesoro dei secoli passati per evitare i pericoli e le trappole dei nemici. Quelli sì, sempre contemporanei.

“Da quasi due anni abbiamo a che fare con un attacco permanente al confine polacco” ha affermato il premier Morawiecki nel corso della conferenza stampa presso lo stabilimento di Bumar-Łabędy. “Ora la situazione sta degenerando. Abbiamo informazioni che oltre cento mercenari del gruppo Wagner si sono spostati verso il corridoio di Suwałki vicino a Grodno, in Bielorussia. Questo è un passo verso un ulteriore attacco ibrido al territorio polacco”.

La Polonia, giustamente, intercetta la seconda stagione della crisi migratoria provocata da Lukašenko nel 2021, e sostenuta da Ankara, quando la Straż Granicznala (la guardia di frontiera) eseguì l’arresto di cinquanta persone vicino a Bialowieza, dopo il tentativo di penetrare illegalmente in terra polacca. Destabilizzazione interstatale come varco verso l’Europa. Eppure una parte dell’ala progressista e umanitarista dell’opinione pubblica, e non solo, riciclò quel campanello d’allarme “nel razzismo tipico dei sovranisti del PiS”, senza tener conto che anche l’opposizione, in Polonia, condivideva la lettura di Morawiecki prendendo però le distanze attraverso la proposta di un’internazionalizzazione della crisi e del coinvolgimento di Frontex al confine.

Anzi, secondo un noto rappresentante centrista (Platforma Obywatelska) Paweł Kowal, a seguito dell’avanzata del gruppo Wagner, l’esecutivo di Morawiecki dovrebbe adottare un’azione più incisiva, facendo leva sul peso rilevante conquistato nella rete NATO e sul Consiglio di sicurezza nazionale (Rbn).

Altro che vittimismo strumentale. La Polonia non intende forzare la compassione dei partner europei per mascherare un interesse particolare. Se c’è un pregio che il mondo intero ha il dovere di riconoscere al popolo polacco è la sincerità che manifesta nelle reazioni spesso impulsive e radicali, lontane dal bon ton diplomatico. Sentimento grezzo, istinto politico primordiale, non mediato nella sua evoluzione da piccola colonia all’imminente promozione come primo esercito di terra europeo.

E qualcuno farebbe bene a ricordarlo, prima di omologarsi alla propaganda di Pechino (alcune agenzie cinesi asserivano che la modernizzazione dell’esercito polacco non fosse legata all’invasione russa dell’Ucraina, ma a un piano nazionale di espansione e aggressione) e di allinearsi alle accuse di esacerbazione della realtà.

Varsavia si ritrova costretta, a ridosso delle elezioni parlamentari, a condurre una guerra e a serrare i ranghi su più fronti, ultimo l’istmo di Suwałki. Prospettive interessanti, posizione difficile. Quale sarà la prossima mossa di Morawiecki e del Presidente Duda? Quale la reazione dell’Unione Europea e di Washington?

Certo è che se Putin intende ricordare ai polacchi “il dono di Stalin”, la storia nazionale polacca dovrebbe far notare che dalla rivoluzione cadetta al miracolo della Vistola fino alla rivolta di Varsavia, la Polonia non ha mai indietreggiato dinanzi al nemico alle porte, molto spesso ha combattuto da sola. Come testimonierà la sirena del 1° agosto. Non conviene a nessuno confondere l’inclinazione polacca a declinare la realtà nell’epica con il vittimismo dei vinti.

Perché questo significherebbe non capire quanto la Polonia sia disposta a fare, a osare pur di preservare il posto che, oggi, con dignità e sacrificio ha guadagnato nella sfera euro-occidentale. E dove intende restare da neo-potenza sovrana, capace di decisione e di influenza. Soprattutto, nel perenne stato d’eccezione in cui sembra condannata dalla storia e dai nemici della porta accanto. Magari, è proprio qui il segreto della sua resistenza interiore, che Winston Churchill elogiò con le seguenti parole: ” l’anima della Polonia è indistruttibile, essa risorgerà di nuovo come una roccia, la quale può essere per un momento sommersa dalla marea, ma sempre roccia rimane”. E’ la costante minaccia di un pericolo improvviso, la paura di un nuovo isolamento, di un abbandono ingiustificato, a segnare la grandezza e la genuina saggezza della Matka Polka.



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