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La missione complicata della vicesegretaria Usa Nuland in Sudafrica

La vicesegretaria di Stato Nuland è in tour africano. Passerà dal Sudafrica, che ospiterà il summit dei Brics e dove era stata nel 2021 durante una missione diplomatica che l’aveva portata anche in Niger — attualmente sotto un colpo di Stato militare. L’impegno complesso di Washington

L’ultima visita di Victoria Nuland, funzionaria di altissimo rango del dipartimento di Stato, in Sudafrica risale al 2021. Dal 31 luglio al 6 agosto si era recata a Pretoria poi in Botswana, Tanzania e in Niger. Durante il viaggio in Niger, Nuland aveva incontrato il presidente Mohamed Bazoum per discutere di sicurezza nel Sahel, crescita economica e rafforzamento della governance di Niamey e regionale. Perché ai tempi, il Niger e Bazoum erano considerati paradigmi positivi di come il valore della democrazia fosse un propulsore di crescita e sviluppo, e l’unico in grado di resistere agli scossoni autoritari che stavano infestando i Paesi vicini. Da una decina di giorni il Niger è caduto in mano a una giunta militare che – esattamente come in Mali, Burkina Faso, Sudan, e in qualche modo in Ciad – sta sfruttando il deterioramento del contesto securitario regionale, legato alla diffusione di gruppi jihadisti, e la scarsa crescita economica per proteggere propri interessi diretti sul potere.

Scontro tra modelli

Nuland probabilmente sta parlando anche di questa situazione con i suoi interlocutori tra Sudafrica, Costa d’Avorio e Repubblica democratica del Congo. Un viaggio iniziato il 29 luglio che durerà fino al 4 agosto. La funzionaria attualmente è definita da State come “Acting Deputy Secretary” e “Under Secretary for Political Affairs”. “Acting” significa “facente funzione”: il dipartimento di Stato nelle fasi in cui il presidente sta per diventare “lame duck” inizia a svuotare le caselle, perché c’è chi cerca soluzioni alternative nel privato, chi anticipa la pensione (come la ex vicesegretaria Wendy Sherman), chi vuole evitare eccessivi sbilanciamenti in vista delle elezioni – che ci saranno a novembre 2024. Nuland ha un compito ancora più delicatissimo quindi: mentre partecipa a eventi come il US-South Africa Working Group on African and Global Issues (Wgagi) deve parlare a un continente che non accoglie più con troppa speranza le istanze occidentali. Frutto di politiche poco decise, anche di sfruttamenti e promesse non mantenute, c’è una parte di Africa che sta cambiando modello da seguire.

E se le bandiere russe sventolate dai manifestanti pro-golpe davanti all’ambasciata francese nelle scorse ore significano che Parigi è di fatto percepito come un attore (ex) colonialista autore di politiche (a cominciare da quelle securitarie) tutt’altro che efficaci, il Sudafrica è ancora più simbolico. Pretoria tra meno di un mese ospiterà il summit dei Brics, di cui la Repubblica Sudafricana è parte. Là si darà spazio a una narrazione riguardo alla governance internazionale spinta da Paesi come la Cina (e differentemente la Russia). Linea tendenzialmente anti-occidentale, che trova eco tra diversi dei partecipanti al gruppo degli “in via di sviluppo” (anche se ormai sono sviluppati) e tra coloro che ambiscono a entravi. Una lista di 40 application attende l’approvazione per l’allargamento dei Brics, che per Pechino sarà una base di riferimento per le sue iniziative globali e per Paesi come il Sudafrica sarà ulteriore occasione per lavorare in modo alternativo.

Il modello Nuland

Una fonte locale ribadisce che le elezioni del 2024 saranno “un nuovo 1994”, ossia le prime tenute a suffragio universale e senza discriminazioni razziali in Sudafrica, e aggiunge che la presenza di Nuland in questi giorni è stata circondata da costruzioni complottiste secondo cui la funzionaria starebbe pianificando “stratagemmi americani” per alterare il voto – a favore di Washington. Il nome di Nuland, una delle più esperte funzionarie diplomatiche statunitense, è tirato in ballo in varie teorie del complotto, dalle operazioni in Somalia alla guerra in Iraq, dalla deposizione del rais Gheddafi ai moti del 2014 in Ucraina. La realtà è che quello sudafricano, così come quello nigerino e altri nel continente africano, sono tessuti sociali e politici inclini al complottiamo anti-occidentale. Per sentimento popolare e per le campagne di alterazione prodotte dalle attività di infowar e psyops orchestrate dai nemici dell’Occidente – come Russia e Cina. Per capirci: giorni fa, Julius Malema, il leader del partito sudafricano Combattenti per la libertà economica si è rivolto al pubblico che lo ascoltava in comizio dicendo: “Noi siamo Putin e Putin siamo noi”.

Il partito, noto con la sigla Eff, guida l’opposizione, ha visioni di estrema sinistra, pan-africaniste, comuniste leniniste, è stato protagonista di situazioni particolari e secondo il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa è un progetto dell’MI6, l’intelligence estera britannica. Ramaphosa l’ha dichiarato durante una seduta parlamentare a febbraio 2019 e tanto basta per comprendere il clima: il capo di Stato del Sudafrica ha detto che il partito che gli si oppone (attualmente inneggia a Putin) è un progetto di destabilizzazione interno di Londra. L’Eff ha anche posizioni razziste, in particolare contro le minoranze interne e contro gli indiani: il partito ha accusato gli investigatori anti-corruzione che stavano cercando o di far luce su alcune vicende che lo coinvolgevano di essere membri di una “cabala indiana”, commentando la presenza di indiani sudafricani nella squadra investigativa.

L’esempio dell’Eff rende chiare le complessità sudafricane, che sono in qualche modo rappresentative del contesto continentale. La posizione contro gli indiani ha anche una lettura più complessa del razzismo: l’India, membro dei Brics, è vista come esposta nei confronti dell’Occidente, a cui è collegata attraverso forme di cooperazione e interessi. E infatti uno dei lavori che Narendra Modi sta lavorando a sua volta per costruire uno standing terzo, sulla tradizione storica di non-allineamento, per poter così muoversi come modello alternativo. È questo l’ecosistema che Nuland dovrà muoversi. Recentemente Putin ha ospitato un summit a San Pietroburgo per parlare con i Paesi africani, la vicenda in Niger ha sancito la destabilizzazione totale del Sahel, Ramaphosa aspetta i Brics e Malema chiede ai leader del gruppo di boicottare l’incontro perché il governo sudafricano ha mediato con il Cremlino la non partecipazione di Putin – su cui la Corte penale internazionale ha spiccato un mandato di arresto per i crimini contro i bambini ucraini e dunque il Sudafrica lo avrebbe dovuto arrestare.

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