Il governo modifica la legge 185 sull’import-export della difesa, istituendo nuovamente il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd). L’organo, presieduto dal capo del governo e a cui parteciperanno i principali ministri coinvolti nella materia, si occuperà di formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della stessa legge e delle politiche di scambio nel settore militare
Dopo la modifica dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento decisa la scorsa settimana, il governo voterà al Consiglio dei ministri di lunedì un disegno di legge che modifica le previsioni della legge 185, la norma che regola l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali d’armamento. La principale riforma vede la reintroduzione presso la presidenza del Consiglio dei ministri del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), soppresso nel 1993. L’organo si occuperà di formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della stessa legge 185, e in generale delle politiche di scambio nel settore della difesa. Una misura che, come riportato dalla legge stessa, segue “l’esigenza dello sviluppo tecnologico e industriale connesso alla politica di difesa e di produzione degli armamenti”.
Faranno parte del Cisd, che sarà presieduto direttamente dal presidente del Consiglio, i ministri degli Affari esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle finanze, delle Imprese e del Made in Italy. Le funzioni di segretario saranno svolte dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con funzioni di segretario e alle sue riunioni potranno essere invitati di volta in volta anche altri ministri, qualora interessati al dossier in corso di valutazione.
La misura è stata ripetutamente invocata diverse volte dall’intero settore, con l’obiettivo di portare la responsabilità di una materia delicata come l’import-export militare sotto l’autorità politica più elevata. L’obiettivo di riunire la materia in un comitato di ministri ad hoc è rendere quella che adesso è una responsabilità, anche personale, di una sola figura – nella fattispecie il direttore dell’Uama – una responsabilità invece condivisa a livello politico. Una volta effettuata questa decisione dall’esecutivo, l’Uama potrebbe semplicemente occuparsi di rilasciare le dovute documentazioni e supervisionare la corretta applicazione amministrativa delle misure previste dalla legge.
Al momento, infatti, il ministro plenipotenziario che guida l’Uama ha una responsabilità diretta circa le decisioni da prendere sulla possibilità o meno di esportare (o importare) da un determinato Paese. Spetta a questo funzionario, dunque, una decisione molto delicata e un esame molto approfondito sull’aderenza di potenziali partner commerciali internazionali ai prerequisiti legali previsti dalla legge italiana, primo fra tutto il rispetto dei diritti umani. Compito non facile e potenzialmente foriero di implicazioni enormi.
Una modifica come quella prevista dal nuovo disegno di legge permetterebbe invece di accelerare i procedimenti sui permessi all’esportazione di sistemi d’arma, settore su cui si basa non solo la sostenibilità finanziaria del settore della difesa, ma l’economia stessa del Paese. Quasi il 70% del fatturato industriale del settore, infatti, dipende dall’export, un fatturato che vale 17 miliardi di euro, più o meno un intero punto percentuale di Pil. Del resto è stata proprio la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad), nella sua ultima assemblea a Roma, ospitata dal Centro alti studi della Difesa (Casd), a lanciare l’allarme sulla flessione dell’export italiano della difesa, con le autorizzazioni alle esportazioni in continua decrescita dal 2016.