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Ancora una sfida in autunno per la politica economica italiana

Quali che siano gli spazi di manovra sulla finanza pubblica, molto della crescita dipenderà dal ritorno dell’economia europea all’espansione dopo lo shock della guerra in Ucraina e della transizione energetica. Occorre prepararsi per tempo a sfruttare la nuova fase. L’analisi di Salvatore Zecchini

Gli ultimi dati su crescita, inflazione, tassi d’interesse, conti pubblici e saldo import/export gettano poca luce sull’evoluzione dell’economia italiana nei prossimi mesi e sulla sua performance nell’intero anno in corso. Si assiste a una combinazione di indicatori favorevoli e sfavorevoli che lascia molta incertezza sulle prospettive a breve del quadro macroeconomico e rende più arduo per i governanti tracciare l’indirizzo di politica economica per il nuovo anno. Nello scorso trimestre l’occupazione è continuata ad aumentare, anche nella componente dei contratti a tempo indeterminato, l’inflazione ha proseguito lentamente la sua discesa pur restando in ritardo rispetto al calo della media dell’area euro, ma l’attività economica si è lievemente contratta in contrasto con le attese positive, la domanda interna ha rallentato, l’interscambio con l’estero non ha fornito supporto alla congiuntura per l’equilibrio tra export ed import, e il fabbisogno di cassa del Tesoro a metà d’anno è quasi raddoppiato nel confronto col corrispondente periodo del 2022.

Segnali incerti anche dall’Europa: la lieve ripresa economica (0,3%) del secondo trimestre ha una base geografica molto ristretta per poter rappresentare una svolta verso l’espansione; nessun segnale dalla Bce sulla conclusione della fase di restrizione monetaria, in quanto legata a un deciso ripiegamento dell’inflazione verso l’obiettivo del due percento; incerto l’esito della revisione del Patto di Stabilità che condiziona la politica di bilancio; e imprevedibili gli sviluppi della guerra in Ucraina per le conseguenze sui commerci internazionali e sulle spese militari.

A fronte di tanta incertezza stanno alcuni punti saldi ben evidenziati dall’evoluzione dell’economia mondiale. Negli Usa l’espansione economica prosegue benché a ritmi modesti, ma si allontanano le prospettive di una severa recessione indotta dal forte aumento dei tassi d’interesse della Fed. Le aspettative correnti vanno nel senso di un rallentamento delle attività accompagnato da una attenuazione delle tensioni su prezzi in presenza di tassi stabili sui livelli relativamente alti raggiunti, fin quando l’obiettivo d’inflazione della Fed non sarà in vista. Il sostegno alla crescita continuerà a essere fornito dalla tenuta dei consumi privati e dalla dilatazione della spesa pubblica in disavanzo, che è orientata a rilanciare gli investimenti nel settore manifatturiero e nelle infrastrutture, e a promuovere ricerca ed innovazione. Altro punto evidente è il ridimensionamento del contributo della Cina alla crescita mondiale e alla disinflazione. La sua ripresa economica risulta al di sotto delle aspettative, in parte frenata dalle restrizioni economiche sia all’interno, sia nei flussi commerciali con l’estero.

In questo quadro di fondo, il governo in autunno è chiamato ad affrontare la sfida di metter in campo col Nadef e la legge di bilancio un piano di azioni per rianimare la crescita, pur disponendo di margini di manovra oltremodo ristretti e pur dovendo soddisfare esigenze di consenso sociale in vista delle elezioni europee. Molto stretti i margini per far leva sulla spesa pubblica in deficit, nonché sull’aumento del debito pubblico in quanto su entrambi sono stati presi impegni verso l’Ue di ridimensionarli e nel caso di una loro dilatazione sarebbero, tra gli altri, i mercati finanziari a reagire negativamente, accrescendo gli oneri per il Paese. Molto condizionante anche il probabile perdurare della restrizione monetaria, che ha reso più difficile l’accesso al credito da parte delle imprese. Il rischio sempre immanente è, quindi, che l’economia ripiombi in quella quasi stagnazione decennale che si è manifestata dall’inizio del secolo in tassi medi di espansione tra zero e poco più di 1%.

Le speranze di uscirne sono state puntate principalmente sull’attuazione del Pnrr e sui finanziamenti conseguenti, che secondo gli intenti avrebbero stimolato investimenti e riforme, e al tempo stesso offerto ristoro alle finanze pubbliche spostando una parte del loro finanziamento sul bilancio comunitario.

Nella realtà, queste speranze si stanno dissolvendo di fronte all’evidenza di una serie di disfunzioni, ritardi ed inefficienze che smorzano l’impatto positivo degli interventi. Sta divenendo sempre più chiaro che il Pnrr sia nella sua impostazione, che nella fase esecutiva non è in grado di trainare la crescita dell’economia. Ad esempio, i progetti di infrastrutture e di opere pubbliche solo in parte rispondono alle esigenze del sistema produttivo, perché rispecchiano in parte una concezione dello sviluppo calata dall’alto e per altra parte rappresentano progetti delle amministrazioni centrali e decentrate fondati su preesistenti sistemi a limitata efficienza e produttività con l’intento di migliorarli e non di rinnovarli.

Quanto ai tempi di esecuzione di molti progetti nei diversi campi, nella revisione del Pnrr appena presentata alla Commissione europea, si riconosce che sono stati inizialmente sottostimati rispetto alle capacità di gestione delle amministrazioni, o a quelle del mondo produttivo di realizzarli, e pertanto si chiedono dilazioni o abbandoni. Su un progetto importante di formazione digitale di base dei cittadini, cardine della digitalizzazione della società, si sminuisce la portata degradandolo a “iniziative di agevolazione e/o educazione digitale” e riducendo il numero di iniziative. Per altrettanto importanti interventi di contenimento del rischio idrogeologico sono tolti i finanziamenti (1,2 miliardi) e, se possibile, riorientati verso altri progetti in Emilia-Romagna per il post-alluvione. Del tutto azzerati, invece, i fondi (11,8 miliardi) per progetti per la sicurezza di infrastrutture sul territorio e la rigenerazione dei centri urbani. Per entrambi la motivazione di fondo è l’incapacità di rispettare tempi e modalità richiesti per il Pnrr.

Anche progetti innovativi nei campi della produzione ed impiego dell’idrogeno subiscono il taglio dei finanziamenti (1,7 miliardi). Nel Piano, e ancor più nella revisione proposta, rimane ben poco di innovativo e di impatto consistente, particolarmente nell’ambito delle riforme che avrebbero dovuto rappresentare un fattore di rinnovamento e d’impulso al potenziale produttivo. Queste non incidono sufficientemente sull’assetto preesistente, ma tentano di migliorarlo gradualmente senza andare alla radice del problema, che si risolve col cambiamento di sistema e delle sue istituzioni. Nella revisione del Pnrr tutte le riforme menzionate sono costellate o da scarsi risultati, o rinvii nel tempo, o depotenziamenti.

Quella del processo civile non ha raggiunto il risultato obiettivo di smaltire l’arretrato e viene quindi ridimensionata. Quelle su digitalizzazione delle procedure, su PA, norme di contabilità pubblica, appalti pubblici e revisione della spesa sono rimodulate nel senso del cambiamento graduale nel tempo. Dilazioni altresì nelle riforme per il contenimento dell’evasione fiscale con giustificazioni speciose ed inconsistenti, quali l’impossibilità di controllo da parte delle autorità e il peggioramento della liquidità delle imprese. Persino per la riforma dell’istruzione si propone di spostare in avanti i termini per le riforme degli istituti tecnici e del reclutamento dei docenti, nonché per la costruzione di alloggi per gli studenti, e di eliminare vincoli nel riformulare i curricula universitari. In tema di concorrenza, si propone per le concessioni autostradali un allentamento delle condizioni giustificandolo con le decisioni dell’Autorità dei Trasporti e con l’incredibile sentenza della Corte Costituzionale che tende a proteggere l’affidamento in house di parte dei contratti di lavoro, servizi e forniture, pratica già dimostratasi fonte di tante inefficienze ed oneri aggiuntivi.

Le modifiche, gli aggiustamenti e le correzioni sono molto estesi, investendo 144 tra interventi e riforme su 195 (3/4 circa del programma iniziale) tra cui molti rilevanti, e palesando l’eccessiva frammentazione tra le autorità chiamate a realizzarli. Certamente le riforme non assicurano uno stimolo alla crescita nel breve periodo, ma nel medio sono essenziali per elevare la linea di sviluppo tendenziale dell’economia e assicurare una baseline ascendente attorno a cui possono succedersi oscillazioni nel ciclo economico. In ogni evenienza, va ammesso sin d’ora che il Piano non darà la sperata scossa allo sviluppo, ma servirà solo a emendare alcune sue falle.

Considerato che l’attuazione del Pnrr procederà per gradi e con aggiustamenti al ribasso delle sue ambizioni, su quali fattori il governo dovrà contare per dare una spinta alla crescita nel 2024? La prima risposta consisterebbe nel puntare sull’estrarre maggiore valore aggiunto dalla spesa pubblica a parità di risorse di bilancio disponibili, senza aumenti di tassazione. Si potrebbe cogliere l’occasione offerta da un intervento programmato nel Pnrr per compiere una prima revisione della spesa nell’ottica di disboscare la parte meno produttiva di sviluppo e concentrare le risorse su fattori di competitività, quali stimoli ad innovazione, produttività ed export. Perseguire una maggiore efficienza nella spesa per commesse pubbliche e nei servizi, inclusa quella per la tutela della salute, permetterebbe di contenere la deriva dei costi a fronte di un miglior livello di prestazioni. Al tempo stesso va posto un argine alle misure assistenziali, che oltre a sottrarre risorse umane al mondo del lavoro, alimentano pretese insostenibili nel tempo. In particolare, sarebbe costruttivo incentivare l’attività anche durante il pensionamento, data l’estensione del periodo di vita in buona salute.

Dal lato delle entrate, le modifiche che saranno apportate andrebbero orientate a sostenere l’iniziativa imprenditoriale, le opportunità d’investimento nel rinnovamento produttivo ed i rendimenti della formazione specialistica nelle competenze richieste dalla rivoluzione tecnologica in atto. Il tema dominante non è semplicemente alleggerire il peso della tassazione sul costo del lavoro, ma remunerare meglio il merito.

Quali che siano gli spazi di manovra sulla finanza pubblica, molto della crescita dipenderà dal ritorno dell’economia europea all’espansione dopo lo shock della guerra in Ucraina e della transizione energetica. Occorre prepararsi per tempo a sfruttare la nuova fase, piuttosto che accontentarsi di un incremento del prodotto nazionale attorno all’1% annuo.



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