Se il primo ministro indiano confermerà la sua presenza solo virtuale all’incontro dei Brics, sarà un’ulteriore conferma di come l’India voglia mantenere una posizione distante dal modello autoritario proposta dalla Cina e, sebbene con le sue eccezionalità, più coerente con quello democratico occidentale
Ci sono concrete possibilità che il primo ministro indiano, Narendra Modi, partecipi al summit dei Brics solo in forma virtuale. La riunione dei cinque Paesi ex in via di sviluppo (ché ormai sono sviluppati) è programmata dal 22 al 24 agosto, a Johannesburg. Secondo fonti indiane della Reuters, Modi potrebbe non viaggiare in Sudafrica, ma prendere parte solo in videoconferenza agli incontri con gli altri membri del gruppo (cinesi, russi, brasiliani e sudafricani appunto).
Uno dei punti di frizione potrebbe essere la questione dell’allargamento del gruppo (la Cina lo chiama “Brics+”). La lista di chi ambisce a esserne parte è lunga, sono circa 40 i Paesi, tutti appartenenti a quel Global South che sta diventando sempre più un elemento centrale negli affari globali. Un allargamento diluirebbe il peso indiano, e permetterebbe alla Cina, anfitrione di questa strategia, di essere ancora più protagonista del raggruppamento. E val la pena ricordare che Pechino e Nuova Delhi vivono una stagione non propriamente rosea delle relazioni, culminate con uno scontro armato tra le alture contese tra i confini himalayani nel 2020 e non ancora scesa dai picchi di tensione.
Tant’è che Modi ha anche organizzato il vertice della Shangai Cooperation Organization in forma virtuale, a inizio luglio. Anche nel caso della Sco, c’è una dinamica di allargamento in corso. Diversi Paesi (alcuni sono gli stessi che vogliono entrare nei Brics), vedono nell’organizzazione a vocazione politico-economica, e in parte securtiaria, un’opportunità. Anche alternativa alle realtà multilaterali dominate dall’Occidente. Ed è qui il cuore del problema.
Mentre per Pechino gli allargamenti servono a rendere più pervasiva la narrazione che il Partito/Stato propone (con conseguente influenza politica e commerciale) e per Mosca sono una boccata d’aria tra le asfissianti sanzioni occidentali (conseguenza della sciagurata invasione dell’Ucraina), per Nuova Delhi diventano questione inopportuna. Modi sta cercando di costruire un’immagine del suo Paese affinché sia effettivamente alternativo, e nel farlo però – a differenza del modello proposto da Cina e Russia – non attacca l’Occidente. Anzi, vuole dimostrare di esserne in qualche modo partner, alleato anche se non sempre allineato.
Tant’è che l’India è stata presente con convinzione alla riunione organizzata dall’Arabia Saudita in questi giorni per ascoltare le ragioni dell’Ucraina – e forse iniziare a muovere qualcosa verso un reale processo di pacificazione (che non sarà immediato). Non è stupefacente: d’altronde funzionari indiani erano presenti anche all’incontro precedente, a giugno, a Copenaghen, perché – spiega il ministero degli Esteri – la partecipazione “è coerente con la nostra storica posizione, secondo la quale il dialogo e la democrazia sono la strada da seguire”.
L’India pone enfasi sulla questione democratica, anche perché il riconoscimento internazionale sul tema (“la più grande democrazia del mondo”, si sente spesso dire sui media) è utile per il dibattito interno – dove Modi è spesso accusato di un comportamento non proprio democratico con opposizioni e minoranze. Dai ministeri indiani escono spesso riferimenti alle attività con le democrazie occidentali, di cui l’India si professa “like-minded”. Vedere per esempio, restando sulla strettissima attualità, il comunicato con cui la Difesa indiana ha annunciato la missione del cacciatorpediniere INS Chennai, che in questi giorni si sta esercitando con l’unità da trasporto anfibio San Marco della Marina militare: “Concentrarsi sul rafforzamento delle partnership con marine like-minded”, dice il governo di Nuova Delhi come obiettivo delle manovre.
Per l’India è importante mantenere questo eccezionalissimo all’interno di sistemi dominati da altri modelli, come i Brics o lo Sco (che Nuova Delhi percepisce come un vettore narrativo cinese contro l’India, e dunque reputa ancora più scomodo). L’obiettivo è essere ponte di dialogo tra mondi. E di diventare riferimento – grazie alle dimensioni da potenza demografica e in futuro economica e militare – per tutta una serie di Paesi. In definitiva, essere un’alternativa democratica per il Global South. Una dimensione che gli viene riconosciuta anche dall’Occidente, spendibile pure in ottica G20 (che ospiterà a settembre). Essere fisicamente distante da quel genere di narrazione che i messi del leader cinese Xi Jinping hanno già avvito nelle riunioni preliminari dei Brics è dunque parte degli interessi strategici di Modi.
Ma non è propriamente una scelta di campo pro-Occidente da parte dell’India, nonostante l’abbraccio totale ricevuto alla Casa Bianca poche settimane fa. Basta pensare che Nuova Delhi ha rinunciato alla partecipazione alle manovre “Talisman Sabre”, a cui era stata invitata dall’Australia (Paese ospitante). La partecipazione dell’India avrebbe potuto “turbare” la Cina e l’India non voleva che ciò accadesse prima del Vertice del G20 del 9-10 settembre, come ha appreso ABP Live. L’India ospita per la prima volta il il G20 e rischiare ulteriori tensioni con i cinesi non è nell’intenzione di Modi, per questo ha rinunciato a inviare le sue truppe alla più grande esercitazione congiunta che Canberra e Washington organizzano nel Pacifico (è iniziata il 21 luglio). Ciò nonostante, Modi sta lavorando per allineare i suoi interessi di sicurezza anche con l’Australia, nell’ambito del quadro strategico dell’Indo-Pacifico, anche con l’obiettivo comune di contrastare l’assertività di Pechino nella regione.