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Prova di maturità per l’Ecowas. Dal Niger passano i destini dell’Africa

L’organizzazione deve gestire la crisi in Niger senza compromettere le stabilità interne (del gruppo e dei Paesi che la compongono), senza sembrare influenzata dall’Occidente, ma mantenendo una posizione affidabile ed esercitando deterrenza

Alla vigilia del vertice odierno, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), ha fatto sapere di credere nella via diplomatica sul Niger. L’organizzazione presieduta dal presidente nigeriano Bola Tinubu aveva dato ai leader del colpo di stato a Niamey un ultimatum scaduto domenica 6 agosto: poi aveva annunciato la possibilità di intervenire ancora più duramente (intanto con le sanzioni, poi con la forza?) se l’ordine istituzionale democratico non fosse stato ristabilito. Il leader del colpo di stato, il generale che giuda la Guardia presidenziale Abdourahmane Tchiani, ha detto più volte che non si piegherà alle pressioni per reintegrare il presidente deposto Mohamed Bazoum, che è detenuto nella capitale nigerina. La giunta ha nominato un nuovo primo ministro proprio mentre l’Ecowas si riuniva per decidere gli step successivi: è una mossa simbolica, messaggio di chiusura apparente. Ma potrebbe anche essere un modo per darsi una struttura in vista di future trattative.

Molto dipende dalla Nigeria

La situazione è ferma, ma l’intervento militare dell’Ecowas è in dubbio, dopo che il senato della Nigeria aveva respinto, sabato 5 agosto, l’invio di truppe. La Nigeria è la nazione guida del raggruppamento panafricano non solo perché lo presiede di turno: sin dalla nascita, con il Trattato di Lagos del 1975, la Nigeria è stata il Paese fulcro dell’Ecowas. Ha il più grande esercito della regione e una forza aerea meglio equipaggiata; ha una proiezione di crescita che la porterà a essere (secondo varie stime) tra le prime economie nel mondo nei prossimi 50 anni; è la nazione più popolosa dell’Africa (oltre 200 milioni di abitanti). Ma c’è poco appetito tra i politici del Paese per impegnarsi in una guerra con il loro vicino.

Come spiegato da Maddalena Procopio (Ecfr), sono le condizioni interne ad Abuja – crisi economica, situazione politico-istituzionale dopo le elezioni di maggio, insorgenza jihadista al nord – a dettare le priorità. Non è questo il momento per intervenire, e il pensiero nigeriano sembra diffuso tra i membri dell’organizzazione. L’ultimo intervento dell’Ecowas è stato nel 2017, quando il blocco, guidato anche in quel caso dall’allora presidente nigeriano Muhammadu Buhari, aveva inviato truppe senegalesi e ghanesi in Gambia per rimuovere con la forza il dittatore Yahya Jammeh, che si era rifiutato di concedere una sconfitta elettorale.

Le truppe del Senegal e del Ghana erano state sostenute attraverso un blocco navale e voli di sorveglianza da parte dell’esercito nigeriano, che hanno portato i lealisti di Jammeh a farsi da parte, ammettendo la superiorità militare. Era stato un impegno per molti aspetti più leggero di quello prevedibile in Niger, dove per altro la giunta golpista di Tchiani potrebbe anche ricevere sostegno dalle giunte militari che hanno sovvertito l’ordine istituzionale in Mali e Burkina Faso negli scorsi anni. L’esercito nigeriano è stato anche schierato in Liberia e Sierra Leone negli anni Novanta, sempre sotto un mandato dell’Ecowas.

Tinubu, che è a capo dell’organizzazione da meno di un mese, è desideroso di proiettare credibilità e risolutezza in patria e all’estero, anche attraverso la linea dettata all’Ecowas. Per questo sta vagliando le opzioni anche sulla base di interessi e priorità. In Niger ci sono circa 200 mila rifugiati nigeriani, scappati dall’insorgenza jihadista che da anni colpisce la fascia settentrionale del Paese. Abuja ha osservato quanto accaduto con la presa del potere militare in Burkina Faso, con l’impatto prodotto sulla sicurezza nelle città di confine del Ghana. Vuole evitare una ricaduta simile, che possa facilitare le attività dei vari gruppi jihadisti presenti nella regione di confine. Altrettanto però è consapevole che la caoticizzazione prodotta da una guerra può avere effetti analoghi.

Il Niger è un Paese senza sbocco sul mare che dipende quasi interamente dalle vaste rotte commerciali della Nigeria per la sicurezza alimentare; nel frattempo, la Nigeria riceve il 97 per cento della produzione di bestiame del Niger e gran parte delle esportazioni commerciali. I precedenti divieti di flusso commerciale in Nigeria hanno provocato un forte calo per l’economia nigeriana. Tinubu ha già tagliato l’elettricità al Niger, che dipende dalla Nigeria per il 70 per cento. Entrare in clima bellico è una scelta molto sensibile con effetti diretti su entrambe le popolazioni.

Mediazioni, narrazioni e interessi

Dopo il colpo di stato in Niger, Tinubu ha messo in campo il sultano di Sokoto, Muhammadu Saadu Abubakar, figura di grande influenza nella comunità musulmana dell’Africa occidentale, includendolo nella delegazione dell’Ecowas inviata in Niger (finora senza grandi successi negoziali). La delegazione è guidata da Abdulsalami Abubakar, ex capo di Stato maggiore nigeriano, che ha supervisionato la transizione della Nigeria. La delegazione ha incontrato a Niamey l’inviata degli Stati Uniti, la vicesegretaria di Stato Victoria Nuland: hanno parlato con i membri della giunta, ma le è stato negato l’accesso a Tchiani e Bazoum. Insieme hanno parlato anche con Moussa Barmou, generale di alto rango dell’esercito nigerino che gli americani consideravano “the guy” dopo averlo formato nelle migliori accademie militari statunitensi e dopo trent’anni di collaborazione. Ora è il the guy di Tchiani, ma è anche un canale di dialogo (nonostante con Nuland pare abbiano litigato).

Non è chiaro se Bazoum possa essere facilmente reintegrato dopo una situazione di stallo di due settimane e crescenti critiche da parte dei nigerini, che affermano di essere diventati burattini della Francia. Questa narrazione è stata amplificata dalla giunta. E da campagne di disinformazione prodotte da attori malevoli esterni, come la Russia, e più nello specifico dalla Wagner, che capitalizzerebbero dal caos e dall’eventuale divisione di Niamey dal mondo occidentale. Nella capitale nigerina, migliaia di persone si sono radunate a sostegno del colpo di stato, portando bandiere russe e gridando slogan contro i francesi.

Sebbene il valore intrinseco di questo sentimento è relativo, i cittadini del Niger vivono una fase di autentica richiesta di sovranità e auto-determinazione, anche confondendo il peso storico delle occupazioni coloniali con le naturali richieste di benessere e sviluppo attuali. Quanto accade ha valore geopolitico. Qualcosa di simile è successo in Mali, Burkina Faso, Ciad, Guinea, Sudan, Repubblica Centrafricana: tutti Paesi in cui negli ultimi cinque anni ci sono stati rovesciamenti del (dis)ordine precedente. Molti di questi rovesciamenti sono stati sostenuti dalle popolazioni, anche grazie alle narrazioni costruite e spinte da attori esterni come la Wagner, che trovavano vantaggi in queste dinamiche. Tuttavia, ognuno di questi Paesi ha beneficiato dell’assistenza occidentale, e il Niger stesso, ultimo baluardo democratico rimasto, ha potuto annotare una crescita economica e una condizione generale di sicurezza migliore degli altri vicini, come ricordato da Ruth Santini (L’Orientale).

Nel clima generale, come fa notare Nosmot Gbadamosi nell’Africa Brief di Foreign Policy, “gli avvertimenti con sfumature neo-coloniali emessi da Parigi non hanno aiutato”. La Francia “non tollererà alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi” in Niger, ha detto una dichiarazione dell’Eliseo, a cui abbinava un ultimatum del ministero degli Esteri per “ripristinare la democrazia”. Parigi è stata molto esplicita nel sostenere l’Ecowas, facendo capire che avrebbe perfino appoggiato l’idea di un intervento militare. Gbadamosi sottolinea che questo “non ha fatto altro che innervosire cittadini e politici nell’Ecowas”. Attenzione a un dato: dei 27 colpi di stato avvenuti in Africa dal 1990, il 70% riguarda stati della cosiddetta “Françafrique”.

Il dilemma dei vicini

Il peso che le realtà occidentali – su tutti la Francia ma anche ovviamente gli Stati Uniti, il Regno Unito e pure l’Italia – hanno quando esprimono sostegno all’Ecowas è considerevole. Se l’attività dell’organizzazione è in linea generale percepita favorevolmente dai cittadini della regione, molto cambia quando viene letto in controluce l’appoggio occidentale.  “Devono tacere, tacere il più possibile; ogni singola parola che pronunciano è usata contro di loro”, ha detto Moussa Mara, ex primo ministro del Mali. “Ma questo è l’atteggiamento francese, purtroppo; non sono in grado di tacere”.

Però va anche aggiunto che, come noto, i paesi occidentali consideravano il Niger un alleato strategico negli sforzi per respingere i jihadisti legati ad al Qaeda e allo Stato islamico nella regione del Sahel. E il rischio è che l’intera regione diventi un Eden per i gruppi radicali islamici, creando i presupposti per un nuovo Califato africano. Dunque certe dichiarazioni sono anche frutto dell’interesse diretto. Il Niger ospita una base di droni statunitensi (ad Agadez) e vi sono acquartierate le forze francesi ed europee (anche italiane) dopo la fine di altre missioni regionali. Il paese è stato il destinatario della maggior parte dell’assistenza militare degli Stati Uniti in Africa occidentale.

L’Ecowas è alle prese con una grande prova di maturità. Da una parte deve preservare la sua integrità, evitare che la situazione in Niger apra divisioni interne e rischi di far percepire in modo negativo l’organizzazione. In questo, dovrà giocare di equilibrio con gli interessi dei partner occidentali. Dall’altra parte deve dimostrarsi credibile, in grado di essere rispettata anche perché capace di applicare deterrenza. Le decisioni e le dinamiche che seguono la riunione di oggi segneranno comunque sia la storia dell’organizzazione e in qualche modo dell’Africa.

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