La Cina è un partner commerciale (e non solo) che risponde perfettamente alle esigenze saudite di sviluppo tecno-scientifico. L‘ampiezza dei cambiamenti trasformativi in atto nel regno porta Riad a cercare sponde per spingere il proprio sviluppo. Pechino risponde secondo i propri interessi. Lo studio Carnegie
Secondo il paper “How Saudi Arabia Bent China to Its Technoscientific Ambitions” del Carnegie Endowment for International Peace, l’Arabia Saudita ha lavorato attivamente per coinvolgere la Cina nel perseguire i suoi obiettivi tecnoscientifici. Questa collaborazione si è concentrata su aree chiave come l’intelligenza artificiale, l’energia rinnovabile, la medicina e la robotica. Settori determinanti per aiutare la transizione del regno petrolifero e farlo diventare un hub avanguardistico internazionale.
Durante il corso di cinque decenni, l’Arabia Saudita ha perseguito con determinazione l’ambizione di raggiungere una supremazia nel mondo tecnoscientifico regionale. Questo impegno si è intensificato ulteriormente nell’ambito della Visione 2030 e della strategia tecnologica associata. In questo contesto più ampio, il regno ha coltivato un dinamico rapporto con la Repubblica Popolare Cinese, disposta a condividere (leggasi vendere) qualsiasi genere di tecnologia senza remore etiche — quelle che invece limitano alcune aziende occidentali su vendite come quelle dei sistemi utilizzabili per sorveglianza e attività in generale che limano i diritti civili.
Tuttavia, il report del Carnegie sottolinea che questa sinergia non è scaturita da un tentativo cinese di esercitare maggiore influenza attraverso le vulnerabilità tecnologiche o da una supposta spinta saudita “sbilanciata da una parte” in una nuova guerra fredda tecnologica che coinvolge Pechino e Washington. Piuttosto, tale partenariato ha trovato origine nelle necessità di sviluppo e tecnoscientifiche stesse dell’Arabia Saudita. Ossia, Riad dimostra di essere orientata su un multi allineamento guidato solo dagli interessi diretti e non dalle dinamiche di competizione tra potenze.
Sebbene la Cina abbia dimostrato di essere un affidabile catalizzatore per la localizzazione tecnologica, anche in ambiti sensibili come missili balistici a lungo raggio e droni aerei, dove gli Stati Uniti e altri tradizionali alleati del regno sono stati a volte riluttanti a cooperare, esistono effettive lacune che minano questa collaborazione. Queste lacune emergono dalle restrizioni nei legami delle risorse umane e nei flussi di capitale. Ecco un punto chiave da considerare per il think tank americano: la Cina è soltanto uno dei partecipanti nel processo di trasformazione tecnoscientifica guidato dall’Arabia Saudita.
Accordi simili a quelli sull’e-government e sulle infrastrutture digitali rientranti nell’ampia gamma delle intese incluse nella Belt & Road Initiative, sono stati stipulati da Riad anche con Russia (nel 2017), Giappone (nel 2019) e Corea del Sud (nel 2019). Inoltre, un ampio accordo tecnoscientifico è in atto con gli Stati Uniti, in vigore dal 2008 e rinnovato per ulteriori dieci anni nel 2021. È interessante notare per altro che, tra le partnership universitarie e formative con istituzioni prestigiose in tutto il mondo, non figura alcuna università o centro di ricerca cinese.
La cooperazione con la Cina ha portato benefici tangibili fondamentalmente perché la forza dell’Arabia Saudita (la chiarezza delle sue priorità nazionali, la crescente capacità istituzionale, la notevole liquidità di capitale e il positivo rapporto con Pechino) ha reso ciò possibile. Va aggiunto un incrocio di interessi: gli investimenti cinesi sono guidati non solo dalla ricerca del profitto, ma anche dagli imperativi politici e diplomatici della Repubblica Popolare. Questo è evidente anche in Arabia Saudita, e ancor di più considerando che gran parte del capitale utilizzato è saudita, il quale facilita il processo e riduce i costi associati all’adempimento di questi imperativi per la Cina stessa.
In definitiva, le attività cinesi nel campo tecnoscientifico si orientano a soddisfare le esplicite esigenze dell’Arabia Saudita – che può dettare le condizioni – ma derivano anche dall’approccio strategico della Cina nel costruire un legame significativo con il regno. Con le risorse a disposizione dell’Arabia Saudita, che gestisce un’economia G20 a sé stante, e con l’ampiezza dei cambiamenti trasformativi in atto nel regno, il processo di localizzazione delle tecnologie cinesi può essere considerato unico rispetto ad altre circostanze.