Nei primi giorni di agosto il Dragone ha registrato il maggior deflusso di capitali dai tempi della pandemia e dei lockdown. Ora Pechino può sperare nella benevolenza dei vicini, a cominciare dal Vietnam. Usa permettendo
Fuga dalla Cina. E non è la prima volta. In questo agosto decisamente difficile per il Dragone c’è anche spazio per una crisi di fiducia estiva. Gli investitori internazionali stanno ritirando fondi dalle grandi aziende a causa della crescente preoccupazione per le prospettive della seconda economia mondiale. Un rischio da non sottovalutare visto che se l’avversione e la sfiducia si diffondessero tra gli investitori globali sulla scia di una flessione del mercato in Cina, questo potrebbe portare a un indebolimento dei mercati azionari in tutto il mondo.
Ebbene, un totale di circa 3,7 miliardi di dollari è stato ritirato nei primi 14 giorni di agosto, secondo i dati diffusi quotidianamente dall’Institute of International Finance. Questo è stato il secondo più grande esodo di capitali dal Paese, dopo il ritiro netto di 7,9 miliardi di dollari nell’ottobre 2022, quando l’economia cinese era bloccata nella stasi a causa della sua politica zero-Covid. Le azioni cinesi hanno registrato un primo appeal a giugno e luglio. Dall’inizio di agosto, tuttavia, il trend si è rapidamente invertito poiché gli investitori sono diventati pessimisti sull’economia cinese. Senza considerare l’impatto, non banale, dei problemi finanziari di Country Garden Holdings, uno dei più grandi colossi di proprietà privata del Paese, che hanno sollevato interrogativi sul mercato immobiliare nel suo complesso.
Non è tutto. Anche la fiducia delle imprese si sta indebolendo e gli indici dei prezzi suggeriscono che la Cina potrebbe è ormai in piena deflazione. E allora? A Pechino pare proprio che non resti di affidarsi a qualche buon amico di vicinato. Per esempio, il Vietnam. All’apertura di una conferenza sulla politica cinese ad Hanoi alla fine dell’anno scorso, molti esponenti del governo vietnamita si sono affrettati a rassicurare gli stessi investitori che mostravano i primi segni di diffidenza verso la Cina.
Ma attenzione, c’è da battere la concorrenza degli Stati Uniti, anch’essi desiderosi di guadagnarsi un solido appoggio del Sud Est asiatico. Ciascuno dei 10 Stati membri dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico, d’altronde, ha la propria dinamica bilaterale con la Cina. La quale è il più grande partner commerciale di tutti e dieci i Paesi e il più grande singolo fornitore di aiuti allo sviluppo nella regione, con una dispersione annuale di circa 5,5 miliardi di dollari in termini reali dal 2015. La forza economica della Cina e i suoi investimenti di alto profilo nella regione sotto la bandiera della Belt and Road Initiative, solleva inevitabilmente la domanda: esiste davvero un sud-est asiatico è inevitabilmente sinocentrico? A Pechino converrebbe.