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Iran-Usa, un accordo possibile. Anche sui droni alla Russia

Washington sta provando a pressare Teheran per tagliare i rifornimenti di droni iraniani alla Russia. Gli Usa stanno provando a costruire un accordo informale con l’Iran, ma ci sono vari livelli di complessità

Non sarà una normalizzazione dei rapporti, e nemmeno un nuovo Jcpoa, ma l’accordo che nei prossimi mesi (o forse settimane) Stati Uniti e Iran potrebbero raggiungere potrebbe anche non essere troppo “mini”, come veniva descritto in precedenza. Dopo indicazioni sulla riduzione del grado di materiale nucleare arricchito (al 60%), dopo l’accordo per la scarcerazione di alcuni cittadini americani detenuti nella Repubblica islamica (ora ai domiciliari), dopo lo scongelamento di 6 miliardi di dollari di asset iraniani bloccati in Corea del Sud, Washington avrebbe chiesto a Teheran di sospendere le vendite di droni alla Russia. Una moral suasion su cui gli iraniani starebbero valutando costi e benefici.

I droni, un simbolo

Il Financial Times scrive che le discussioni sono state parte dei contatti indiretti gestiti da Qatar e Oman nel corso dell’anno. Probabilmente, un’eventuale intesa sarebbe anche parte di un contesto regionale che vede l’Iran meno isolato, anche grazie alla riapertura dei rapporti con l’Arabia Saudita ed gli Emirati Arabi Uniti, tra i grandi alleati americani in Medio Oriente. In questo quadro, non sorprende che l’ex inviato speciale per l’Iran, l’attualmente sospeso Robert Malley, sia tornato a esprimersi pubblicamente. Nel corso dell’anno, il dialogo con Teheran è stato gestito da lui, e ora rivendica in qualche modo i frutti.

Non è chiaro quanto l’Iran intenda fare sulla questione dei droni, che sarebbe simbolica. Teheran ha in precedenza negato di fornire armi alla Russia, poi ha ammesso che commesse ci sono state, ma a Mosca è stato chiesto di non utilizzarle per colpire l’Ucraina. Al contrario, i droni iraniani sono (e nei mesi scorsi sono stati) uno degli elementi che hanno caratterizzato la pressione russa sulle città ucraine. Attacchi contro obiettivi civili che dovevano servire a piegare la resistenza della popolazione — e portarla magari a chiedere una resa al governo.

L’amministrazione Biden non ha mai nascosto il desiderio di ricomporre l’intesa con l’Iran scalfita dalla decisione di Donald Trump di uscire in forma unilaterale dall’accordo di congelamento del programma nucleare del 2015 (il Jcpoa). La ricomposizione doveva però essere sostenibile, sia in termini pratici che politici: l’invio di droni alla Russia era diventato un elemento che rendeva l’Iran politicamente non accettabile agli occhi di una presidenza come quella del democratico che ha lavorato per sostenere Kyiv come emblema del confronto tra Democrazie e Autoritarismi.

Tanto per rendere il contesto: il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha dichiarato martedì che gli Stati Uniti stanno perseguendo una strategia di deterrenza, pressione e diplomazia per garantire che l’Iran non acquisisca un’arma nucleare e per tenere Teheran responsabile delle violazioni dei diritti umani e della “fornitura di droni alla Russia per il suo utilizzo nella guerra contro l’Ucraina”. “Siamo stati chiari che l’Iran deve mostrarci una de-escalation per creare spazio per la diplomazia futura”, ha detto Blinken. Poi però ha precisato: “Il trasferimento dei nostri detenuti fuori dal carcere e dalla detenzione domiciliare non è legato a nessun altro aspetto della nostra politica iraniana”.

La scadenza di ottobre

Queste dinamiche hanno una tempistica segnata: ottobre, una volta che le clausole dell’accordo nucleare che limitava anche il programma di missili balistici dell’Iran scadranno. Tra meno di due mesi, Regno Unito, Francia e Germania — i tre Paesi europei che firmarono il Jcpoa — potrebbero decidere di re-introdurre alcune sanzioni contro Teheran. Formalmente quelle sanzioni sono state sospese dall’intesa di sette anni fa, anche se l’operatività delle relazioni con l’Iran è bloccata dalle re-introduzioni delle sanzioni (secondarie) statunitensi nel 2018.

Se Washington troverà una quadra con Teheran, allora i tre europei (E3) potrebbero prendere decisioni più aperte. E forse non importa troppo se quella “quadra” sarà un accordo informale (non scritto). L’importante è che funzioni in forma efficace. Per questo si sta costruendo un percorso di fiducia reciproca più stabile, di cui lo scambio di prigionieri potrebbe essere un passaggio importante. Il punto sta nel comprendere quanto del sistema complesso interno alla Repubblica islamica accetti il dialogo con Washington.

In sostanza, il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione (i Pasdaran) e i settori politico-economici connessi all’industria militare, sono d’accordo? Oppure, come successo varie volte in passato, cercheranno di minare i colloqui, anche con azioni ibride condotte tramite i propri proxy regionali? Alcune delle forze interne all’Iran non hanno infatti interesse nell’appeasement, ma guadagnano (economicamente e a livello di influenza) dal continuo scontro a media-bassa intensità con il “Grande Satana” americano, il nemico ideologico khomeinista. Altrettanto, forze contrarie alle intese potrebbero esserci a Capitol Hill, così come all’interno degli alleati americani in Medio Oriente (per primo in Israele).

Per Joe Biden, non sarà facile arrivare a rivendicare un’intesa iraniana durante le elezioni statunitensi del 2024. E le dichiarazioni del ministro della Difesa cinese, Li Shangfu, complicano la situazione: durante la visita in Bielorussia e Russia, Li (sanzionato dagli Usa cinque anni fa per gli scambi militari tra Cina e Russia) ha detto che Pechino intende stringere la cooperazione militare con Teheran e Minsk usando lo spazio comune della Shanghai Cooperation Organization.

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