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Il caso Eusebio Filopatro e la differenza tra i media occidentali e quelli cinesi

Continua la saga dell’analista sotto pseudonimo apparso per la prima volta su un media controllato dal Partito comunista di Pechino. È tornato questa volta sul sito l’Antidiplomatico, che si definisce “una delle voci di riferimento del mondo multipolare che si è affermato sul sanguinoso unilateralismo a guida Usa”

È ricomparso Eusebio Filopatro. Questa volta con un articolo sul sito l’Antidiplomatico, che si definisce “una delle voci di riferimento del mondo multipolare che si è affermato sul sanguinoso unilateralismo a guida Usa” ed è diretto da Alessandro Bianchi, già collaboratore di Alessandro Di Battista, ex deputato del Movimento 5 Stelle.

Ha voluto rispondere a Formiche.net che si era interrogata su un articolo apparso la scorsa settimana sul Global Times, media in lingua inglese del dipartimento per la propaganda del Partito comunista cinese, e firmato da lui. Cioè da Eusebio Filopatro, il cui mito è cresciuto grazie alle nostre attenzioni (prego).

Al fondo di quell’editoriale critico verso l’Italia e il rapporto con gli Stati Uniti, pubblicato in un momento cruciale per le relazioni tra Italia e Cina alla luce dell’imminente decisione sul rinnovo o meno del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, non c’era allora né c’è adesso l’indicazione al lettore che si tratta di uno pseudonimo. Il tutto, nonostante lo stesso media cinese abbia pubblicato, dopo il nostro interessamento, un articolo per fare chiarezza su quello che ha ribattezzato “incidente dello pseudonimo”. Sotto l’editoriale si leggeva e si legge ancora, semplicemente, che Eusebio Filopatro è “analista di politica estera per Italia e Unione europea”.

Distrazione o atto voluto? In ogni caso il lettore è stato tratto in inganno dal Global Times che non gli ha fornito le informazioni necessarie.

Quindi no, “la pubblicazione anonima e pseudonima” non è “esclusiva della stampa occidentale” come giustamente osserva Eusebio Filopatro nel suo nuovo intervento. Ci sono però pratiche, tra cui il dichiarare al lettore il ricorso a strumenti come pseudonimi e anonimato per tutelare una fonte o l’autore di un editoriale, su cui la stampa occidentale ha dato prova di maggior maturità. Sarà perché la pratica continua della libertà aiuta l’Occidente, mentre il regime del Partito comunista cinese non tollera le critiche e soffoca il dissenso.

Infine, visto che insiste con il paragonarsi ad Alessandro Orsini ed Elena Basile, ci permettiamo di insistere anche noi ribadendo quanto già osservato in merito.

[S]ia Orsini sia Basile continuano a mettere la firma al fondo dei loro articoli pubblicati quasi su base quotidiana dal Fatto Quotidiano, che è (…) uno dei giornali italiani più diffusi. (…) Perché fortunatamente l’Italia non è un Paese in cui le idee vengono represse. A differenza della Cina, dove il partito-stato “mantiene il controllo sulle notizie attraverso la proprietà diretta, l’accreditamento dei giornalisti, dure sanzioni per i commenti critici nei confronti dei leader del partito o del Partito comunista cinese e direttive quotidiane ai media e ai siti web che guidano la copertura delle breaking news” (Freedom House).


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