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Per il clima servono adattamento e mitigazione. La posizione del prof. Zollino (Azione)

Tra appelli, negazionismi e catastrofismi, abbiamo chiesto al professor Zollino qual è la sua posizione (e del suo partito Azione) sul cambiamento climatico: “È impossibile negare l’impatto delle emissioni antropiche. A noi basta sapere che le nuove condizioni climatiche sono allarmanti, ora dobbiamo rispondere in modo responsabile e non usare ogni appiglio per negare le responsabilità umane, come fa certa destra negazionista, evitando gli interventi velleitari o peggio ideologici proposti da certa sinistra massimalista”

Si moltiplicano gli appelli, anche autorevolissimi, ad intervenire rapidamente sul clima per contrastare il cambio in atto, ma c’è anche una minoranza che nega l’influenza dell’uomo e ritiene si tratti di cicli naturali. Su una questione così rilevante, anche per i danni causati da eventi estremi, è inevitabile e anche doveroso che la politica si pronunci. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed Economia dell’Energia e di Impianti Nucleari all’Università di Padova e responsabile Energia e Ambiente di Azione.

Professore, qual è la posizione di Azione?

Premesso che i modelli del clima globale sono estremamente complessi, e infatti anche nei rapporti Ipcc, quando si descrivono cause ed effetti, si impiegano formule probabilistiche, del tipo “è estremamente probabile che” e simili, guardiamo alcuni dati certi. Come lei sa, visto che più volte sono stato ospite sulla sua rivista, in Azione da lì siamo soliti partire, tutte le volte che è possibile.

E allora partiamo dai numeri.

La concentrazione di anidride carbonica, in sigla CO2, può essere misurata anche nell’atmosfera di migliaia di anni fa, per esempio con carotaggi dei ghiacci dell’Antartide, all’interno dei quali sono intrappolate bolle d’aria, di cui è possibile determinare l’età. In questo modo sappiamo che, nell’ultimo milione di anni circa, la concentrazione di CO2 è variata più volte tra un minimo di 200 e un massimo di 280 parti per milione, determinando raffreddamenti e riscaldamenti ciclici della Terra, in tempi delle decine di migliaia di anni, con conseguenti notevoli variazione meteorologiche e di flora e fauna tra periodo caldi e periodi freddi. Dalla comparsa dell’homo sapiens, circa 150 mila anni fa, c’è stato un ciclo caldo-freddo-caldo e ci troviamo ora in un periodo caldo. Tuttavia, l’uso massiccio di combustibili fossili, con la conseguente immissione in atmosfera di sempre crescenti quantità di CO2, ha portato in meno di 200 anni la concentrazione da 280 a 420 parti per milione, dato di inizio 2023, cioè il 50% in più del massimo dell’ultimo milione di anni.

Nonostante questo che lei dice, ci sono alcuni, pochi per la verità, che non credono che il contributo umano sia determinante. Cosa risponde a costoro?

Non voglio entrare nel dibattito accademico, in un settore disciplinare diverso dal mio; rilevo solo che la logica della maggioranza non appartiene ai processi scientifici: se anche ci fosse un solo studioso che la pensa in modo diverso da tutti gli altri, potrebbe aver ragione lui. Tuttavia, all’atto pratico, che è ciò che più conta dovendo decidere che fare, cambia poco. Infatti, è vero che gli scambi naturali di CO2 tra atmosfera e superficie terrestre coinvolgono quantità circa 25 volte superiori alle emissioni umane, ma il ciclo naturale è in equilibrio bidirezionale, le emissioni antropiche sono invece solo verso l’atmosfera, almeno sino a quando non metteremo a punto tecniche efficaci di cattura della CO2 dall’atmosfera.

Aggiungo che la CO2 è un potente gas serra, con un tempo di persistenza in atmosfera dell’ordine delle centinaia d’anni e all’aumento della concentrazione di CO2, di cui dicevamo prima, è correlato l’aumento della temperatura media terrestre di circa 1 °C rispetto al livello pre-industriale. E un grado di temperatura media può avere un impatto enorme sui fenomeni meteorologici estremi. Poi, certo, vi sono anche variazioni cicliche della temperatura terrestre che tuttavia oggi si sovrappongono al trend di fondo correlato alla elevata concentrazione di CO2. Uso appositamente il termine “correlato” perché, come dicevo prima, all’atto pratico non possiamo permetterci il lusso di invocare la prova empirica del rapporto di causa-effetto, a prescindere dalla numerosità di coloro che già la riconoscono o meno. Insomma, da quello che già sappiamo con certezza, non possiamo aspettare 80 o 100 anni per dimostrare empiricamente, nel senso classico galileiano, la tesi della responsabilità umana. Perchè sarebbe a quel punto troppo tardi per porvi rimedio.

Hanno dunque ragione i giovani attivisti che in modo plateale manifestano la loro angoscia e chiedono misure immediate per la riduzione delle emissioni?

A quei ragazzi andrebbero spiegate, con garbo e pazienza, alcune questioni fondamentali, che discendono da quanto dicevo prima, in modo che la loro angoscia si tramuti nella difesa razionale e pragmatica di ciò che davvero si può e si deve fare. Andiamo con ordine. Punto primo: la battaglia per il clima -come la chiamano loro- è globale o inutile, poiché gli effetti delle emissioni di CO2 sono globali, ovunque esse avvengano, perciò non serve a nulla azzerare le emissioni solo in Italia (0,85% del totale) o solo in Europa (8,5%), specie se per farlo non teniamo un passo compatibile con i tempi (tecnici ed economici) di sostituzione tecnologica e quindi anche con la competitività della nostra economia e in definitiva con la sostenibilità sociale. Secondo: se anche assumessimo, per pura ipotesi di lavoro, di azzerare stanotte in tutto il mondo le emissioni antropiche di CO2 e tenerle a zero per sempre, allora la concentrazione di CO2 in atmosfera tornerebbe al livello preindustriale in tempi molto lunghi: circa il 70% dell’eccesso sarebbe riassorbito in 150-200 anni per l’azione degli oceani; il restante 30% verrebbe riassorbito in tempi ancora più lunghi, dell’ordine del migliaio d’anni.

Ma se questi sono le grandezze e i tempi in gioco come si possono concretizzare le sollecitazioni che vengono anche dal Capo dello Stato ad agire in fretta?

Le linee di intervento sono due: adattamento e mitigazione. È urgente rispondere al cambio climatico in atto innanzitutto con misure di adattamento del nostro territorio, le nostre reti idriche ed energetiche, le nostre colture, le nostre case, le nostre fabbriche, le nostre infrastrutture, i nostri piani di intervento, ecc. ecc. I tempi lunghissimi di recupero della concentrazione atmosferica di CO2 ci dicono che non abbiamo alternative all’adattamento alle mutate condizioni ambientali. E per questo servono investimenti ingenti, comunque inferiori al denaro necessario per riparare i danni, e una capacità di tradurli in opere efficaci ed efficienti, che nel nostro Paesi va urgentemente ricostruita.

Al tempo stesso occorre ridurre progressivamente le emissioni antropiche sino ad azzerarle. Ma, anche qui, a maggior ragione in considerazione degli ingenti investimenti necessari in adattamento, dobbiamo farlo con molta attenzione, programmando tutti gli interventi necessari su un arco di tempo di almeno 30-40 anni, evitando costose fughe in avanti ed obiettivi roboanti, individuati prevalentemente per marketing politico, ma di fatto inefficaci o irraggiungibili, perché insostenibili dal punto di vista economico e sociale. È invece necessario impiegare tutte le tecnologie idonee disponibili, e al tempo stesso lavorare allo sviluppo di nuove, senza pregiudizi di alcun segno, in modo che la mitigazione venga conseguita nel modo più sostenibile. Cioè con il minimo impiego di materiali, la minima occupazione di suolo, il minimo costo. E a ben guardare questa è condizione necessaria, sebbene non sufficiente, perché il resto del Mondo, e in particolare i Paesi in via di sviluppo faccia altrettanto, almeno in parte. Altrimenti i nostri sforzi di mitigazione sarebbero vani.

Molto chiaro. Tuttavia non sembra questa l’impostazione prevalente tra le forze politiche in Italia e neppure a Bruxelles.

Ne siamo consapevoli. Del resto, come ricorda sempre Carlo Calenda, Azione è nata per contribuire a far accadere le cose necessarie, impegnandosi a spiegarne le ragioni con la forza dei numeri e della concretezza, in modo che diventino popolari per la loro efficacia e non per l’aderenza ad uno schieramento. Lavoriamo e lavoreremo per questo in ogni sede, anche nel Parlamento Europeo.

Per sintetizzare, infine, la nostra posizione in tema di cambio climatico, noi in Azione riteniamo sia impossibile negare l’impatto delle emissioni antropiche sulla concentrazione atmosferica di gas a effetto serra e sul trend di aumento della temperatura media terrestre; lasciamo ai consessi scientifici la discussione se tale contributo sia esclusivo, preponderante o da condividere con altre cause naturali. A noi basta sapere che le nuove condizioni climatiche sono allarmanti e ad esse la buona politica deve rispondere in modo responsabile e non usare ogni appiglio per negare le responsabilità umane, come fa certa destra negazionista. Ma riteniamo anche che servano interventi efficaci e non velleitari o peggio ancora ideologici, come spesso quelli proposti da certa sinistra massimalista.

Noi riteniamo che in fretta si debba investire in tutte le misure di adattamento al cambio climatico necessarie in ogni campo, perché con il cambio climatico dovremo comunque convivere per i prossimi 200 anni; e altrettanto in fretta programmare tutti gli interventi di mitigazione, cioè di sostituzione tecnologica, in ogni settore della nostra economia, che consentano di ridurre le emissioni di CO2, sino ad azzerarle, in tempi tecnicamente, economicamente e socialmente sostenibili. Sempre impiegando tutte le tecnologie idonee disponibili e contribuendo a svilupparne di nuove, senza pregiudizi. Ad esempio, se veramente vogliamo azzerare le emissioni di CO2 nell’approvvigionamento energetico, è necessario lavorare sin da subito al quadro normativo necessario ad attuare anche in Italia il mix tecnologico più sostenibile, che per Azione include tanto solare, un po’ di eolico e una quota nucleare.

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